{{IMG_SX}}Roma, 18 agosto 2008 - "Gli ottanta anni della Roma sono i miei ottant’anni". Nella lettera scritta ai tifosi il 26 luglio del 2006, giorno in cui Franco Sensi festeggiava il suo ottantesimo compleanno, una frase semplice, genuina e scritta di getto, riassumeva la passione viscerale per la squadra giallorossa.

 

Quando nacque la Roma, il 7 giugno del 1927, Francesco Sensi aveva appena 10 mesi. Suo padre, Silvio fu capitano e fondatore della Pro Roma, che nel 1926 confluì nella Fortitudo e, un anno dopo, attraverso la fusione con Alba e Roman diede vita all’As Roma. Un aneddoto, uno dei tanti raccontati da Franco Sensi, uno dei quali andava più fiero, racconta che capitan Silvio, suo padre, onorò garanzie per 40mila lire di cambiali di allora, una piccola fortuna, per fermare le Banche che minacciavano rivalse giudiziarie. Poi riversò tutto nella Fortitudo, poco prima della storica fusione.

 

Franco Sensi raccontava, con orgoglio, che Silvio Sensi in cambio chiese solo due tessere, una per lui e una per sua moglie Rosa, sottolineando anche che parte del legname utilizzato per costruire il mitico campo Testaccio, prima culla della Roma, lo aveva messo a disposizione proprio suo padre. Questa generosità irrazionale, frutto della sviscerata passione, ha attraversato la storia del nostro calcio passando di padre in figlio.

 

Tifoso per una vita, e dirigente romanista già nel 1961, quando fu eletto vicepresidente con Anacleto Gianni a capo della società, Franco Sensi capì che la sua storia si sarebbe legata indissolubilmente al successo in giallorosso, quando fu delegato ad accompagnare ufficialmente la Roma in quello che resta l’unico trionfo internazionale della storia giallorossa, la Coppa delle Fiere — che di lì a poco divenne Coppa Uefa — alzata all’Olimpico dopo aver battuto gli inglesi del Birmingham. Altri tempi, altro calcio, con la figura del presidente mecenate che caratterizzava uno sport lontano anni luce dal calcio-business dei giorni nostri.

 

Chi conosceva bene Franco Sensi lo definiva un custode della tradizione romanista. Un testimone raro, unico, secondo lui: "Sono l’ultima espressione della cultura orale del calcio romano", sciorinando aneddoti, retroscena e racconti di una Roma (calcististica) sconosciuta e tutta da svelare.

 

Franco Sensi entra definitivamente sulla scena del grande calcio nel giugno del 1993, acquistando assieme a Pietro Mezzaroma il pacchetto di maggioranza della società, salvandola dal baratro economico della gestione Ciarrapico, dall’esotico interessamento di Bernard Tapie e dall’inquietante voglia di Roma di Pasquale Casillo, ex patron del Foggia. Capisce subito che il biumvirato non può funzionare e il divorzio arriva quando Marco Mezzaroma, nipote di Pietro, ingaggia Luciano Moggi, mettendo in cantina Emiliano Mascetti, fino a quel momento dirigente di punta della società.

 

L’8 novembre dello stesso anno diviene unico proprietario della Roma, divenendo il 18esimo presidente della storia giallorossa. La prima mossa di spicco è il benservito a Luciano Moggi, che si «vendicherà» dirottando nel ’94 Ciro Ferrara e Paulo Sousa, «quasi» giallorossi, a Torino. Lo «sgarbo», fu l’innesco di un duello infinito contro lo strapotere juventino, mentre sulla sponda milanese il Milan di Berlusconi mieteva trionfi dominando la scena.

 

Quella di Sensi, è una personalità forte e sfaccettata: laureato in matematica, petroliere, immobiliarista, editore, finanziere, il tutto vissuto con grande discrezione. Idealista e sognatore, s’immagina una Roma «romana», come quella di suo padre e prova a costruirla. Ingaggia Carlo Mazzone, una vita nel piccolo calcio e finalmente sulla panchina dei sogni e affida le chiavi della squadra a «uno de noi», Giuseppe Giannini, con Francesco Totti che iniziava timidamente a respirare l’aria della prima squadra.

 

Con la gestione Mazzone, dopo una prima stagione tribolata, arrivano i grandi acquisti e il tanto atteso «dopo Viola» è ormai definitivamente nel binario. Sensi compra Balbo, Fonseca (pagato 36 miliardi di lire) e vince il derby stravinto 3 a 0 contro i marziani della Lazio di Zeman e Cragnotti, ma i trionfi sperati non arrivano.
La sua è una presidenza viscerale, impegnata, popolare, sempre a petto in fuori. Perennemente in lotta con lo strapotere delle grandi del Nord, trova alleanze forti con la Lazio, la Fiorentina, il Parma di Tanzi. E’ il promotore del progetto Stream tv, che rompe il monopolio dei diritti tv di Tele+. Da leggenda, i suoi duelli dialettici con Adriano Galliani, con la dirigenza juventina e la triade Bettega-Giraudo-Moggi e le sue lotte in Figc e Lega. C’è anche qualche scivolone, come la vicenda dei passaporti falsi o dei Rolex d’oro regalati agli arbitri.

 

Nel ’96, il divorzio con Mazzone è doloroso ma inevitabile, perchè la Roma staziona ai margini del grande calcio. Sensi prova la mossa esotica, forse la peggiore della sua gestione, con l’ingaggio di Carlos Bianchi — che voleva vendere Totti alla Samp perchè «normale, pigro e niente di che...» — che in Argentina aveva vinto tutto. Un disastro perchè la squadra naufraga e si spacca. Sensi dà il via al ripulisti e a sorpresa, ingaggia Zeman, ex profeta laziale. Le frecciate del boemo alla Juve, la lotta contro il doping e le battaglie di Palazzo rendono il clima rovente. Franco Sensi è ormai un presidente «contro».

 

La consacrazione di Totti — che per Sensi è come un figlio — e i piazzamenti brillanti in campionato non servono a salvare Zeman. Sensi vuole vincere e, nel 1999 ingaggia Fabio Capello comprando Vincenzo Montella per 50 miliardi. Ma è la Lazio di Cragnotti a vincere lo scudetto. Apriti cielo. Sensi soffre quanto e più dei tifosi romanisti e, come suo padre Silvio tanti anni prima, cede all’irrazionale e all’illogico pur di alimentare la passione: compra Batistuta — acquisto ritenuto come maggior causa del rischio fallimento della Roma — dalla Fiorentina strappandolo all’Inter eppoi Samuel, Emerson e scuce lo scudetto dalle maglie biancocelesti conquistando lo scudetto 2000-2001. L’anno dopo compra Cassano dal Bari per 50 miliardi.

 

Sembra l’inizio di un ciclo vincente, e invece è l’inizio della fine. Anche del rapporto con Capello, che andrà sulla panchina dell’«odiata» Juve. Da lì in poi, iniziano i problemi economici e le cessioni eccellenti (Samuel, Emerson) e un rapido declino, con la la stagione dei 4 allenatori, iniziata con Prandelli, passata per Delneri e Voeller prima di finire con Bruno Conti e una salvezza all’ultima giornata. Ma la gestione della squadra era già passata a sua figlia Rosella Sensi, che sceglie Luciano Spalletti per ricostruire e tornare finalmente a vincere.

 

La Roma pian piano torna ai vertici ma lui, stanco e malato, dirada le apparizioni, anche se la sua presenza è palpabile a Trigoria anche quando non c’è fisicamente. Vuole esserci quando la squadre festeggia le vittorie (due coppe Italia e due Supercoppe) e non c’è vittoria di prestigio che i giocatori non dedichino a lui, al «presidente». E questa, raccontano gli amici intimi, resta la gioia più grande di un uomo semplice con una grande passione: la Roma.