{{IMG_SX}}Se qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio, il convegno della Bagnaia l’ha spazzato via: piaccia o no, ai giornali e ai giornalisti, alla pubblicità e al mondo che le gira intorno, tutti devono fare i conti con il web.

Ora, subito. In teoria, agli stati generali dell’editoria che Andrea Ceccherini promuove con l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori si doveva parlare soprattutto dei giornali  di carta, del milione e seicentomila ragazzi che leggono il quotidiano in classe, della crisi della pubblicità scaturita dalla crisi globale, dei modi per uscirne. In realtà, Internet ha dominato la scena, obbligando tutti a scervellarsi per capire come convivere con una
realtà che non è il futuro,ma il presente.

 Al di là della vexata quaestio (pagare o non pagare l’accesso alle informazioni in Rete) e di tutte le sue declinazioni che Franca Ferri vi illustra nei suoi servizi dalla Toscana, un dato è incontrovertibile. Il web costringe
prima di tutto la categoria dei giornalisti a cambiare radicalmente i modo di fare il proprio lavoro. La velocità supersonica di aggiornamento delle notizie; la mobilità assoluta dei navigatori che vanno su un sito, lo lasciano, ci ritornano e se ne rivanno; le immagini e i video che costituiscono una parte preponderante dell’offerta Internet; la possibilità immediata di interagire in tempo reale con il sito; i blog, i forum, i network sociali, Facebook e i suoib fratelli.

In Rete c’è di tutto e di più. Non sappiamo se e quando il web farà sparire i giornali, come predicono le  Cassandre di carta né quando la pubblicità diventerà così forte da rendere autosufficienti le imprese dei navigatori. Sappiamo un’altra cosa: chi fa i giornali o cambia il modo di farli o verrà inghiottito da questa rivoluzione mondiale. Che non finisce mai.