Roma, 23 dicembre 2009 - "Abbiamo cose più importanti da fare che ascoltare le sue c...". Una frase come questa, pronunciata nel caso in esame durante una lite tra condomini, non può essere ritenuta "offensiva dell’altrui reputazione". Lo sottolinea la Cassazione, confermando l’assoluzione pronunciata dalla Corte d’appello di Venezia nei confronti di un 31enne, imputato di ingiuria e di danneggiamento di una vettura appartenente ad un vicino di casa.
 

La Suprema Corte (seconda sezione penale, sentenza n.49423) ha infatti rigettato il ricorso della persona offesa contro la sentenza d’appello (in primo grado, il tribunale di Dolo aveva invece condannato l’imputato), sottolineando che correttamente i giudici di secondo grado avevano ritenuto la frase in questione "certamente volgare" ma "non direttamente finalizzata ad offendere". In effetti, sottolineano gli ‘ermellini', "non appare manifestamente illogica o intrinsecamente incoerente un’affermazione che ritenga priva di voluto e diretto contenuto lesivo una frase rivolta ad altra persona e con la quale si indicano come ‘c...’ le lamentele formulate da chi gli chiedeva spiegazioni per fatti illeciti che attribuiva all’autore della frase in oggetto".
 

Certamente, l’espressione ‘incriminata' «è irrispettosa e censurabile - ossrevano gli alti giudici - ma la Corte territoriale ha attribuito rilievo al fatto che quella terminologia intendeva descrivere le rimostranze altrui come prive di consistenza e immeritevoli di essere ascoltate oltre" e "non era riferita alla persona di chi quelle rimostranze formulava, per indicarne la pochezza come persona".