Boglona, 29 agosto 2010 - "Si figuri che noi alla Facoltà di Medicina abbiamo 2.250 domande per 330 posti". E dunque per il rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi, quello della necessità e dell’importanza dei test di accesso alle facoltà a numero chiuso è un discorso che non si pone nemmeno. Anche perché i test selettivi sono previsti da una apposita normativa sia comunitaria che nazionale."Semmai — aggiunge il rettore Dionigi — il problema vero è come farli meglio o, comunque, come farli meno peggio possibile".


Che significa?
"Per esempio, significa che attualmente è del tutto depotenziato il voto conseguito alla maturità, che andrebbe recuperato il valore del percorso curriculare delle superiori, così c’è invece una selezione darwiniana selvaggia".


Vuol dire che, così come sono, i test rappresentano un azzardo?
"In parte è così, non possono essere veramente attitudinali, a volte ci sono domande bizzarre alle quali non saprebbe forse rispondere nemmeno un docente, ci vorrebbe anche una verifica colloquiale e una valutazione dei titoli, così c’è gente che rischia di vanificare di colpo un percorso scolastico eccezionale".


La verifica colloquiale pare un po’ dura da realizzare quando devi selezionare alcune migliaia di ragazzi...
"Già, e qui si collega il problema dell’orientamento preventivo da affrontare e realizzare con l’ultimo triennio delle superiori".
 

Voi a Bologna state facendo qualcosa?
"All’orientamento abbiamo dedicato una giornata alla quale erano presenti 24mila ragazzi e, in via continuativa, gli studenti delle superiori possono accedere ai siti delle nostre facoltà per rispondere a domande in base alle quali autovalutarsi".


Quali sono a Bologna le facoltà a numero chiuso?
"Medicina, Veterinaria, Architettura, Psicologia, Traduttori e Interpreti".
 

E che succede per le altre facoltà?
"Per esempio, a Economia e Ingegneria da qualche anno ci sono dei test orientativi che non sono vincolanti e non pregiudicano l’accesso".


E come funzionano?
"C’è un punteggio minimo da superare, al di sotto del quale il ragazzi devono frequentare un breve corso di recupero".
 

Lei come giudica questi test?
"Possono essere di aiuto se sono fatti in maniera mirata, specialistica e non cervellotica, e possono essere i benvenuti per i ragazzi e per i docenti perché consentono una specie di verifica del materiale a disposizione. Li facevo già 15 anni fa per il latino, perché mi trovavo davanti ragazzi che arrivavano dal classico e dal professionale e servivano per farmi un’idea del grado di conoscenza della materia".


Cosa può essere migliorato?
"Diciamo che, all’inizio, si pone la questione dell’analfabetismo da affrontare in maniera strutturale come ho già avuto modo di affermare in altre occasioni".