Lampedusa (Agrigento), 13 settembre 2010 - UNA MOTOVEDETTA battente bandiera libica, ma fornita dagli italiani e con a bordo anche sei nostri finanzieri, ha preso per ore a mitragliate un motopesca italiano nell’azzurro canale di Sicilia. È andata bene perché non c’è scappato il morto, ma adesso che tutto è passato Gaspare Marrone, il coraggioso comandante del peschereccio mazarese Ariete, non sa dare che una spiegazione: «Un miracolo. Ci hanno rovesciato contro un inferno di fuoco e a salvarci è stata la Madonna. Niente altro».

Al sicuro nel porto di Lampedusa, il comandante racconta: «Ci hanno intercettati alle 18 di domenica, ci hanno seguiti per due ore, ma io non mi sono fidato, ho messo i motori al massimo e sono scappato. Così loro, visto che non ci potevano fermare, hanno preso a spararci a raffica, con la mitragliatrice, per tre ore, a intervalli di 15-20 minuti. I proiettili rimbalzavano dal ponte fino alla sala macchine, hanno forato la plancia, il tender, due hanno persino colpito una delle tre bombole di gas». «I libici sono degli incoscienti — protesta il marittimo tunisino Tameur Chaabane, un altro dei dieci uomini d’equipaggio — perché sparare all’altezza della cabina di comando significa voler uccidere. Anche se loro ci avevano avvertito».

GIÀ, l’avvertimento. «Fermatevi o questi vi sparano». Sono le venti di domenica, 31 miglia al largo delle coste libiche, quando alla radio dell’Ariete giunge una voce che il comandante Marrone dice «di qualcuno che parlava italiano meglio di me». E infatti. Come ammetteranno più tardi dal Comando generale delle Fiamme Gialle «a bordo della motovedetta libica che ha attaccato la barca italiana vi erano più militari della Guardia di Finanza, impegnati come osservatori e assistenti tecnici».

Probabilmente due sottufficiali, un radarista e un motorista, oltre ad altri due tecnici, che sono parte dei dieci uomini che sulla base degli accordi firmati dal ministro dell’Interno Giuliano Amato nel 2007, e poi ridiscussi dal ministro Roberto Maroni nel 2009, sono con spirito bypartisan impegnati nel pattugliamento congiunto anticlandestini a bordo delle sei motovedette messe a disposizione dal governo italiano che paga (2 milioni di euro e spiccioli per il solo secondo semestre del 2010) anche «le spese di manutenzione ordinaria e manitenimento in efficacia».

Quei mezzi dovevano essere impegnati contro i clandestini, ma vengono usati anche contro le barche di Mazara, che pur pescando in acque internazionali operano in quella che Tripoli considera «zona di pesca esclusiva» (una pretesa unilaterale che il il trattato di Bengasi del 2008 non ha scalfito).

E COSÌ, gente come il comandante Marrone — un uomo di mare che in ben tre occasioni ha messo la sua barca in pericolo per salvare oltre 730 migranti — finisce periodicamente sotto il fuoco libico. È capitato il 27 febbraio al Luna Rossa, domenica all’Ariete. Sempre con motovedette graziosamente messe a disposizione da noi: alla faccia della ritrovata amicizia.