Roma, 25 ottobre 2010 - CI SI INDIGNA per il turismo dell’orrore. Per i famosi pullman che nessuno ha visto, ma di cui tutti parlano, bloccati dall’ordinanza del sindaco sulla via di Avetrana. Giusto. Ci mancherebbe. Quelle corriere fantasma, per quanto macabre possano risultare, sono una conseguenza inevitabile. Non sarà facile fare un passo indietro. Fiction e realtà hanno confini impercettibili. Il plastico di casa Misseri costa quasi quanto una villetta sulla Litoranea salentina. La tecnica narrativa, la definizione dei personaggi che assurgono alla popolarità col nome di battesimo, quel riproporre ossessivamente le stesse immagini e interviste, hanno l’impronta dei reality e dei talent show così in voga. Dal «Grande Fratello» alla «Grande Cugina», pensando a Sabrina Misseri, la cugina grande di Sarah Scazzi, ma anche a Ivano, Mariangela, Alessio e via via a tutti protagonisti di contorno. Non sorprendiamoci se la prossima svolta del caso non sarà giudiziaria, ma l’apertura al televoto. Oggi più di ieri va in scena la trasfigurazione della cronaca in qualcosa d’altro. Più di Cogne, più di Erika e Omar, più del triangolo di sangue tra Meredith, Amanda e Raffaele. C’è molto di più nel giallo di Avetrana. Ci sono innanzitutto i soldi. Si va oltre la seduzione dell’apparire in video, della diretta nazionale, del quarto d’ora di celebrità stigmatizzato da Warhol.

«UNA TELEVISIONE mi ha offerto 50mila euro per gli atti dell’inchiesta e le registrazioni audio degli interrogatori», ha confidato uno dei legali coinvolti nel balletto giudiziario che da giorni e giorni sta andando in onda sulle reti televisive. Coi soldi si comprano interviste. Questa è una verità che nessuno racconta. Soldi te li chiede con innocente sfrontatezza perfino il benzinaio che sta di fronte allo studio di un avvocato: «Te lo dico io se ci sta o no in ufficio, tanto deve parcheggiare qua perché dentro non ha il posto macchina. Se mi dai qualcosa ti chiamo quando arriva, sei della Rai o di Canale 5?». I soldi, travestiti da rimborsi spese per il disturbo, determinano il casting dei grandi contenitori pomeridiani e serali. «Mi dispiace, la concorrenza paga di più», si è sentito rispondere un giornalista televisivo che aveva invitato uno dei protagonisti in studio. Se si guarda oltre la pagliuzza nell’occhio del turismo dell’orrore e si cerca di vedere anche la trave, sono tante le stranezze di una brutta storia di paese in cui soltanto chi ora si trova in carcere ha versato lacrime per la piccola Sarah davanti alle telecamere. Ha fatto bene la famiglia Scazzi a minacciare querele per tutelare la dignità propria e della vittima di fronte all’arrembaggio senza regole dell’informazione. Ma dovrebbe anche riflettere sulla discutibile scelta del padre e del fratello di Sarah, che vivono a Milano, e quando fu scoperto in diretta tivù il cadavere della loro congiunta si fermarono prima negli studi de «La vita in diretta» a Roma e soltanto dopo raggiunsero Avetrana.