di GERALDINA FIECHTER
 FIRENZE, 29 novembre 2010 - L’ESPERIMENTO si basa su un paradosso. I cinesi tendono a chiudersi nella loro comunità? Hanno difficoltà di comunicazione con gli italiani? E allora proviamo a farli stare fra loro, a curarli con la loro stessa debolezza, proviamo a vedere se invece di sentirsi spaesati e di andarsene al primo ostacolo, invece di bocciare e quindi tornare nelle fauci delle comunità-lavoro, si affezionano all’idea della scuola, studiano, allargano gli orizzonti, diventano adolescenti liberi e alla fine più aperti degli altri e più integrabili. Ecco, è nata così l’idea di formare una sezione per soli cinesi all’Istituto Sassetti-Peruzzi di Firenze, una normale scuola secondaria statale con indirizzo turistico commerciale.

SCAVALCANDO la circolare ministeriale che imporrebbe un massimo del trenta per cento di stranieri in una classe, il preside ne ha formata una con il cento per cento di cinesi. Ha cominciato l’anno scorso. E i risultati, dice, sono già incoraggianti. «Nelle classi miste — spiega Saverio Craparo, il preside — il tasso di promozioni raggiungeva al massimo il 25 per cento. Nella classe monoetnica, invece, le promozioni sono raddoppiate». E la circolare? «Non potrei comunque rispettarla — dice ancora Craparo — perché in questa scuola il settanta per cento dei ragazzi iscritti è composto da stranieri, l’ottanta per cento cinesi. Che dovrei fare, respingere le loro iscrizioni? Dire loro di andare al liceo classico o scientifico, dove non andrebbero mai?».
A mettere a punto il progetto — che sarà valutato dall’università di Siena — è stato un professore della scuola, che è anche psicologo. E la discussione nel collegio dei docenti è stata molto dura. «Prima di tutto c’è il rischio di una ulteriore ghettizzazione — dicono i professori contrari — e poi bisogna vedere alla fine del percorso se si integrano di più così o se invece restano isolati e meno preparati dei ragazzi italiani». Vedremo al termine dell’esperimento, dicono gli ideatori. «Ma il ghetto c’era prima — replica il professore psicologo, Massimo Barbieri — quando bocciavano in massa, uscivano dalla scuola e venivano richiamati a lavorare dai genitori. Più riusciamo a tenerli dentro il percorso scolastico, più saranno in grado di integrarsi e uscire dal chiuso della comunità cinese».

LA SCUOLA non è molto distante dalla zona in cui si trova la più grande comunità cinese dell’area fiorentina. I ragazzi, se intervistati, spiegano quasi tutti che dopo la scuola devono aiutare i genitori nelle ditte di pelletteria o nei negozi affini. Non sanno bene l’italiano o perché sono arrivati da poco o perché stanno isolati nella loro comunità. Per questo hanno difficoltà a inserirsi nelle classi miste e per questo l’esperimento della Sassetti-Peruzzi prevede di formare le classi non sulla base delle conoscenze nozionistiche ma per aree omogenee di padronanza della lingua italiana. I ragazzi possono ovviamente scegliere se stare nella sezione mista o in quella dedicata a loro. Ma tutti quelli che all’inizio hanno accettato con perplessità, una volta arrivati in seconda e con voti più accettabili hanno deciso di restare. Come i professori: «Quando l’ho saputo ho chiesto subito un appuntamento al preside, volevo farmi spostare — racconta la professoressa di lettere della sezione cinese — ma dopo il primo giorno ho cambiato idea, la cosa ha cominciato subito ad appassionarmi».
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