Roma, 3 dicembre 2010 - I telespettatori italiani guardano sempre meno i Tg. Lo rivela il 44esimo Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese-2010. Il confronto dei dati di ascolto dei telegiornali serali nazionali tra settembre 2009 e giugno 2010 evidenzia un calo da 18.333.000 a 14.968.000 telespettatori, con una perdita di audience superiore a 3 milioni (3.365.000 per l’esattezza).


A perdere pubblico sono stati principalmente il Tg1 e il Tg5,
con circa un milione di telespettatori in meno rispetto a una anno fa. Il confronto settembre 2009-settembre 2010 è altrettanto inesorabile: il Tg1 perde il 3,3% di share e 441.000 telespettatori; anche peggio va al Tg5, che registra una media del 21,1% di share e 4.601.000 telespettatori, arretrando di 5 punti di share e di 813.000 telespettatori. Il Censis cita l’Agcom, secondo cui nel mese di settembre Tg1 e Tg5 hanno concesso molti più minuti al Pdl rispetto al’opposizione (il Tg1 il 35,8% del tempo totale contro il 17,3% al Pd, con un’ora e mezza di differenza; il Tg5 il 30,7% contro il 23%, con una differenza di 37 minuti).


Il dato delle reti ammiraglie fa sì che il pendolo dell’informazione si sia inclinato molto più da una parte che dall’altra. Il Censis riporta anche i dati del Tg4 (2 ore in più al Pdl: il 58,6% del tempo contro l’11,8% al Pd) e del Tg3 (21% del tempo al Pd e il 27 al Pdl con quasi un’ora di differenza tra i due a favore del Pdl per via della vicenda Fini-Tulliani). In totale, in un mese i notiziari Rai hanno dedicato 7 ore e 51 minuti al Pdl e 5 ore e 10 minuti al Pd (cioè 2 ore e 40 minuti in meno).
 

Una differenza ancora più marcata si è determinata sulle reti Mediaset, con 5 ore e 48 minuti per il Pdl (il 40,5% dei minuti totali) e 2 ore e 38 minuti a favore del Pd (il 18,5%), con un divario di oltre 3 ore. "Lo sbilanciamento nello spazio concesso alle notizie di una parte piuttosto che dell’altra", scrive il Censis, "può aver provocato il distacco di una porzione di ascoltatori". Secondo le rilevazioni dell’Ads, tra giugno 2009 e giugno 2010 anche tutti i principali quotidiani nazionali hanno perso terreno, fatta eccezione per ‘Il Giornale' (+5,4% di copie diffuse).


ITALIANI DIFFIDENTI DEGLI ACQUISTI ON LINE

Agli italiani piace Internet, ma rispetto agli altri cittadini Ue fanno pochi acquisti sulla Rete perchè non si fidano delle transazioni online e preferiscono leggere notizie e approfondimenti gratis piuttosto che rivolgersi a siti specializzati a pagamento. Inoltre sono ipercritici sullo spam e temono i virus. È il ‘ritratto digitale' dell’italiano medio delineato dal 44esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese-2010, secondo cui il futuro del web in Italia dipenderà dal modo in cui saranno sciolti due nodi non ancora risolti: i problemi di sicurezza delle transazioni online e la questione della totale gratuità o meno dei contenuti reperibili in rete. Al momento, solo il 43% degli italiani che utilizzano Internet si dice pienamente tranquillo sul fronte della sicurezza (solo per il 5% le transazioni sono del tutto sicure, abbastanza sicure per il 38%): un dato nettamente più basso di quel 58% medio rilevato a livello europeo. In effetti, non è trascurabile la quota di utenti che ha sperimentano qualche problema legato alla navigazione da casa.


Il 64% lamenta di ricevere una quantità eccessiva di spam (la posta indesiderata, dietro cui si cela non di rado il rischio di un raggiro), mentre il 58% è incappato su un virus con conseguente danneggiamento dei file (dato sensibilmente più elevato della media europea, pari al 46%). Inoltre, l’8% dei navigatori si è imbattuto in incidenti relativi alla violazione della privacy; il 4% ha subito un’attività botnet (cioè di qualcuno che ha preso il controllo del computer in modalità remota); il 3% denuncia problemi legati alla sicurezza dei minori, e il 2 è stato vittima di phishing ed è finito nella trappola di truffatori. Nonostante il 96% di chi utilizza Internet da casa si sia dotato di tecnologie standard per garantire la sicurezza della navigazione (antivirus, antispam, firewall), la principale precauzione per non finire nei guai rimane quella di evitare le transazioni finanziarie on line (e-commerce, e-banking), come dichiara il 55% degli utenti (dato ancora una volta più alto di quello medio europeo, pari al 42%). Infine, per la grande maggioranza dei cittadini che utilizzano la rete (complessivamente, più di 7 su 10) non è giusto che sia l’utente a pagare i contenuti di informazione disponibili in Internet. Prevale cioè l’abitudine a trovare gratis sui siti web le notizie, gli approfondimenti e i commenti che l’utente desidera o di cui ha bisogno.


PIACE L'E-BOOK, PIU' ACCESSI ALLE NOTIZIE ON LINE

Italiani amanti dei libri, meglio se digitali. Il 44esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 mette l’accento sulla tendenza importata dagli States (nel 2009 l’e-book costituiva solo l’1,5% del mercato, le stime per il 2010 indicano una quota del 5%, più del triplo) che sta prendendo piede anche nel Belpaese. Qui, scrive il Censis, si prevede una quota di mercato dello 0,1% al dicembre 2010, pari a oltre 3,4 milioni di euro. Una fetta di mercato ancora molto piccola, ma triplicata rispetto allo 0,03% del dicembre 2009. Dai dati emerge, inoltre, la flessione del mercato editoriale nel suo insieme (-7,1% tra il 2006 e il 2009, -5,3% dal 2008 al 2009) e nel contempo la forte crescita delle vendite on line, che rappresentano il 21,7% del mercato digitale: +94,4% tra il 2006 e il 2009, +11,9% tra il 2008 e il 2009, con ricavi superiori a 100 milioni di euro. Anche i primi mesi del 2010 sono positivi: rispetto al giugno del 2009, le librerie on line fanno registrare un incremento dell’attività del 24,5%. Nel comparto dell’editoria digitale, sono in diminuzione cd rom e dvd (-24%), mentre il segno è sempre positivo per banche dati e altri servizi Internet (+61,5% tra il 2006 e il 2009, +30% tra il 2008 e il 2009). Sul fronte dei titoli, nel 2009 i libri elettronici pubblicati sono stati 685, per un totale di 2.257 opere disponibili sul mercato. I dati provvisori forniti dall’Aie per l’anno 2010 (aggiornati a settembre) mostrano una produzione pari a 945 titoli (+38%), raggiungendo così un totale di 3.202 titoli elettronici disponibili nel nostro Paese (+41,8%). Si prevede un raddoppio entro la fine dell’anno, per un totale di quasi 7.000 titoli in italiano, corrispondenti al 2% dei titoli ‘commercialmente vivi' (cioè letteratura scientifica esclusa).


Il Censis analizza anche i dati sui quotidiani
più seguiti nel web, da cui emerge che tra il primo e il secondo trimestre 2010 i visitatori Internet nel giorno medio sono aumentati quasi per tutti, fatta eccezione per i quotidiani sportivi.
Subisce una flessione il ‘Corriere della Sera', mentre ‘il Messaggero' registra l’aumento più consistente (+23,8%). Pur non potendo escludere la sovrapposizione tra i visitatori dei siti e i lettori della stampa cartacea, emerge che gli utenti Internet rappresentano per alcune testate una significativa percentuale del totale dei lettori: il 19,6% per ‘la Repubblica', il 18,2% per ‘Il Sole 24 Ore' (anche Qn), il 15,1% per ‘il Corriere della Sera'.


PIU' MINORI USANO IL PC DA SOLI

Il 18,2% dei minori usa il computer da solo in casa. Lo rivela il rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010, secondo cui "la famiglia è sempre meno in condizione di assolvere alla sua funzione educativa, come pure la scuola". In particolare, ha usato il pc negli ultimi tre mesi il 64,9% dei bambini e dei ragazzi con almeno un genitore laureato rispetto al 34,6% di quelli con genitori con al massimo la licenza elementare. Dunque per il Censis i bambini e i ragazzi con genitori con titoli di studio bassi sono svantaggiati sia nell’uso a casa sia nell’uso combinato casa-scuola "a dimostrazione del fatto che la scuola non riesce a colmare il profondo divario dovuto a uno svantaggio sociale".


Il Rapporto punta il dito contro "un problema di agenda che riguarda una politica culturale per le nuove generazioni: se è vero che i più giovani sono ‘digital natives’, è altrettanto vero che non si può lasciarli a se stessi e alle loro esili capacità di discernimento". Per questo "è necessario ripensare complessivamente la possibilità per genitori e insegnanti di interagire con i contenuti in cui si imbattono attraverso i media, formidabile strumento di evoluzione se ben gestiti".


CURARSI ON LINE MEGLIO DEL MEDICO

L’informazione medica corre sul web: per il 12,6% degli italiani Internet è il principale strumento per sapere come curarsi. A rivelarlo è il 44esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010, secondo cui ricorre al medico di famiglia per accedere a una comunicazione diretta il 20,3% del campione (dato che sale al 31,1% tra i meno istruiti), il 2,5 si rivolge al medico specialista e il 2,3 al farmacista. C’è poi il passaparola tra amici, colleghi e parenti, indicato come il mezzo principale per il 18,7% degli intervistati. Ma la prima fonte di informazione resta la tv per il 42,9% delle opinioni raccolte, mentre il 25,8% degli italiani cerca di saperne di più consultando giornali e riviste. Tra coloro che privilegiano Internet per sapere come provvedere alla propria salute ci sono i laureati (il 17,8% di loro si cura sul web), ma se si valuta un uso più generico di Internet in relazione alla salute, il dato degli utilizzatori sale al 34%. Il 29,5% usa Internet per cercare informazioni su patologie specifiche, il 18,4 per trovare informazioni su medici e strutture, il 2,1% si informa su forum, chat, blog e communities di pazienti (il dato sale al 7,4% per i laureati).
Si fa sempre più strada anche l’abitudine di prenotare visite specialistiche e analisi mediche via Internet (il 5,3% degli italiani; e il 9,5% dei laureati), mentre solo 1,9 acquista farmaci on line.


ITALIA APPIATTITA STENTA A RIPARTIRE

Crisi e globalizzazione portano disinvestimento dal lavoro, despecializzazione produttiva, risparmi stagnanti. Nonostante questo, l’Italia tiene grazie a intrecci virtuosi come i continui aggiustamenti del welfare mix e l’irrobustimento delle reti tra imprese. È la foto, scattata dal Censis, di un Belpaese ‘appiattito', cui è venuto meno "il desiderio" e che stenta a ripartire anche per colpa di una "classe politica litigiosa". Mentre nel mondo la ricetta per uscire dalla crisi prevede l’attivazione di tutte le energie professionali con l’auto-imprenditorialità, l’Italia, si legge nel XLIV Rapporto sulla situazione sociale del Paese-2010, ha visto ridursi in questi anni proprio la componente del lavoro non dipendente: 437.000 imprenditori e lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) in meno dal 2004 al 2009 (-7,6%).


L’Italia è anche il Paese europeo con il più basso ricorso a orari flessibili nell’ambito dell’organizzazione produttiva e inoltre ha la più bassa percentuale di imprese che adottano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda. Inoltre, sottolinea il Censis, più della metà degli italiani (il 55,5%) pensa che i giovani non trovino un’occupazione perchè non vogliono accettare lavori faticosi e di scarso prestigio. In questo contesto il rischio di despecializzazione imprenditoriale è alto (tra il 2000 e il 2009 il tasso di crescita dell’economia italiana è stato più basso che in Germania, Francia e Regno Unito) e mattone, liquidità e polizze sono i pilastri cui le famiglie si sono ancorate per resistere alla crisi, realizzando dunque quello che il Censis definisce "l"uso stagnante del risparmio familiare".


Per delineare la situazione in cui il Paese versa, il Censis indica anche l’"artificiale promozione dei consumi, la moltiplicazione delle spese indesiderate e gli eccessi nell’urbanizzazione del territorio".
A permettere al Paese di "tenere" sono soprattutto l’irrobustimento delle reti tra imprese e i continui aggiustamenti del welfare. Le famiglie italiane anche nel 2010 si confermano, sottolionea il Censis, "pilastro strategico del welfare" caricandosi di compiti assistenziali particolarmente gravosi per le situazioni più problematiche di non autosufficienza e disabilità, di fatto "sopperendo ai vuoti del sistema pubblico". ‘Buchì che riguardano anche il sistema dell’istruzione: il 56,5% delle scuole italiane (dalla materna alle superiori) ha chiesto in quest’anno scolastico un contributo volontario alle famiglie, aggiuntivo alle tasse scolastiche e al costo della mensa. Il valore medio versato è stato pari a 80 euro, con punte fino a 100 euro nella scuola primaria e 260 euro nei licei.

Ma se il Paese non imbocca con decisione il sentiero della ripresa -rivela il Censis- dipende anche dal fatto che sul sistema pesano come macigni un debito pubblico enorme ("che ogni anno drena risorse per il 4,7% del Pil") e un’evasione fiscale che "le stime più rosee valutano intorno a 100 miliardi di euro l’anno". In alcune regioni, inoltre, a complicare la situazione è la presenza della criminalità organizzata, radicata specialmente nel Sud Italia (soprattutto in Sicilia, Puglia, Calabria e Campania). In questo quadro grava anche, per la maggioranza relativa degli italiani (il 34,4%) "una classe politica litigiosa" che incide in negativo sulla ripresa prima ancora della elevata disoccupazione (29,6%). Molti dei provvedimenti varati negli ultimi anni, scrive il Censis, hanno avuto un modesto impatto reale.


Da qui il venir meno della fiducia nelle lunghe derive e nell’efficacia delle classi dirigenti. Di là dai fenomeni congiunturali economici e politico-istituzionali dell’anno, suggerisce il Censis, "adesso occorre una verifica di cosa è diventata la società italiana nelle sue fibre più intime".
 

Perchè sorge il dubbio che "anche se ripartisse la marcia dello sviluppo, la nostra società non avrebbe lo spessore e il vigore adeguati alle sfide che dovremo affrontare".
 

Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. E una società appiattita "fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa". Così all’inconscio, ammonisce il Censis, manca oggi la materia prima su cui lavorare: il desiderio. "Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita", è la ricetta proposta.


LE FAMIGLIE SPENDONO MENO

La spesa media mensile delle famiglie italiane si è attestata nel 2009 su 2.442 euro. Di questi 1.981 euro sono destinati all’acquisto di beni e servizi non alimentari: rispetto al 2007, la spesa media complessiva si è contratta di 38 euro al mese (5 dei quali riconducibili a una diminuzione della spesa alimentare). È quanto emerge dal 44/mo rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del paese.
Con la crisi, si registra una crescita del credito al consumo (+5,6% nel 2008 e +4,7% nel 2009) - segnala il Censis - mentre il valore delle operazioni con carte di pagamento ha raggiunto complessivamente i 252 miliardi di euro nel 2009. Hanno contribuito soprattutto le carte di credito (+9% di operazioni rispetto al 2008), le carte prepagate (+23,6%), i bonifici bancari automatizzati (+1,3%).
I consumi "obbligati" delle famiglie si sono, da parte loro, attestati su un livello mai raggiunto in precedenza.
Erano il 18,9% della spesa familiare complessiva nel 1970, il 24,9% nel 1990, il 27,7% nel 2000 e oggi superano il 30%.
Crescono le forme di pagamento cui non ci si può sottrarre. Gli aumenti tariffari per il prossimo anno vengono calcolati in poco meno di 1.000 euro a famiglia. Poi ci sono i contributi aggiuntivi per le scuole dell’obbligo, le fasce blu per i parcheggi, le multe che sostengono le esangui casse dei Comuni, le revisioni di auto e caldaie, le parcelle per la dichiarazione dei redditi. Complessivamente, la stima della "tassazione occulta" elaborata dal Censis porta a 2.289 euro all’anno per una famiglia di tre persone.

 

FAMIGLIE PILASTRO DEL WELFARE

Le famiglie sono un pilastro strategico del welfare, caricandosi di compiti assistenziali, particolarmente gravosi per le situazioni più problematiche di non autosufficienza e disabilità, di fatto sopperendo ai vuoti del sistema pubblico; mentre il volontariato coinvolge un italiano su quattro. È quanto rileva il Censis nel suo 44/mo rapporto annuale sulla situazione sociale del paese.Il numero delle persone disabili è stimato in 4,1 milioni. La presa in carico di queste situazioni riguarda le famiglie (i caregiver sono madri, coniugi e figli) e il ricorso alle badanti come soggetti principali dell’assistenza riguarda il 10,7% dei casi.
Anche il volontariato continua a garantire una funzione strategica di provider di servizi in tempo di crisi. Secondo una recente indagine del Censis, oltre un quarto degli italiani (il 26,2%) svolge una qualche forma di volontariato. I settori nei quali si opera di più sono la sanità (il 33% dei casi) e nel Sud l’assistenza sociale (il 32,7%).
Il ruolo di supplenza che le famiglie rivestono in ambito di welfare è particolarmente evidente se si esamina il settore scolastico. Il disincanto delle famiglie non è l’unica reazione sociale in campo educativo, sottolinea il Censis, ad esso si sovrappongono i crescenti oneri diretti e indiretti. Il 56,5% delle scuole italiane (dalla materna alle superiori) ha chiesto in quest’anno scolastico un contributo volontario alle famiglie, aggiuntivo alle tasse scolastiche e al costo della mensa. Il valore medio versato è stato pari a 80 euro, con punte fino a 100 euro nella scuola primaria e 260 euro nei licei. Un quarto delle scuole ha aumentato il contributo richiesto rispetto all’anno precedente. Il 36,4% delle scuole dispone anche di altre forme private di finanziamento: donazioni, proventi da distributori automatici di cibi e bevande, sponsorizzazioni, pubblicità o affitto di locali. Le famiglie tengono alle scuole dei figli, tanto che hanno collaborato ai lavori di piccola manutenzione (come ridipingere le pareti) del 13,6% degli edifici. Tra il 2001 e il 2009 aumenta al 15,7% la quota di minori in età scolare che hanno frequentato almeno un corso o lezioni private (+4,7%). Gli incrementi riguardano le lezioni private per il recupero scolastico (+2,3%), i corsi di tipo artistico o culturale (+2%), o di lingue straniere (+1,3%).

 

 

LE FAMIGLIE PUNTANO AL MATTONE

Mattone, liquidità, polizze: sono questi i pilastri ai quali le famiglie si sono ancorate per resistere alla crisi. Nel primo trimestre del 2010 i mutui erogati sono aumentati in termini reali del 10,1% rispetto alla stesso periodo del 2008, superando i 252 miliardi di euro. Lo rileva il Censis nel suo 44/mo rapporto annuale sulla situazione sociale del paese. Nella crisi le famiglie si sono quindi trincerate sul potere rassicurante del mattone e per farlo hanno ripreso anche a indebitarsi. Nel biennio è aumentata la liquidità detenuta dalle famiglie (+4,6% in termini reali i biglietti e depositi a vista, +10,3% gli altri depositi). Nei primi nove mesi del 2010 i premi per nuove polizze vita sono aumentati del 22% rispetto allo stesso periodo del 2009. Tra le famiglie che fronteggiano pagamenti rateali, mutui o prestiti di vario tipo, il 7,8% dichiara di non essere riuscito a rispettare le scadenze previste, il 13,4% lo ha fatto con molte difficoltà, il 38,5% con un po' di difficoltà: a soffrire di più sono state le famiglie monogenitoriali e le coppie con figli. Nonostante la generale propensione a evitare impieghi rischiosi, negli ultimi mesi si registra però il ritorno a un profilo meno prudente nella collocazione del risparmio familiare, con un aumento tra il primo trimestre 2009 e il primo trimestre 2010 delle quote di fondi comuni d’investimento (+29,3%) e delle azioni e partecipazioni (+12,5%).

 

DISABILITA' INVISIBILE, FAMIGLIE LASCIATE SOLE

La dimensione sociale prevalente della disabilità è l’invisibilità, o quanto meno una "visibilità distorta" che si allinea con il crescente arretramento delle politiche per le persone disabili. Lo denuncia il 44esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese-2010. Gli italiani tendono a sovrastimare da un lato il peso della disabilità motoria (il 62,9% pensa anzitutto a questo tipo di limitazione), dall’altro a non includere in questo concetto, o a farlo solo in parte, la questione della non autosufficienza degli anziani, che pure rappresenta un tema che pesa nella vita quotidiana di moltissime famiglie: il 29,4% pensa che la disabilità sia equamente distribuita tra i bambini e i giovani, gli adulti e la popolazione anziana. Secondo il Censis, la visione distorta del problema è un importante indicatore della persistente negazione sociale che è alla base delle condizioni delle famiglie, spesso lasciate sole a gestire tutte le difficoltà che la disabilità comporta. Secondo la recente stima del Censis, si tratta complessivamente di circa 4,1 milioni di persone disabili, pari al 6,7% della popolazione, con cui gli italiani mostrano di relazionarsi con difficoltà. Le opinioni raccolte a proposito del livello di accettazione sociale delle persone con disabilità intellettiva riflettono questo modello: la maggioranza degli italiani (il 66%) ritiene che esse siano accettate solo a parole, ma che nei fatti siano spesso emarginate, mentre il 23,3% condivide un’opinione più negativa, per cui la disabilità mentale fa paura e queste persone si ritrovano quasi sempre discriminate e sole.

 

 

CRESCE LA SPESA PER FARMACI

Nell’anno in cui la crisi ha fatto sentire i suoi effetti sulle famiglie italiane, circa il 50% ha dichiarato che la spesa per la salute è molto (11,4%), abbastanza (28,2%) o un po' (8,3%) aumentata, mentre oltre la metà degli italiani (il 53,3%) ha indicato di aver intensificato nel 2009 il ricorso ai generici per risparmiare.
Lo rivela il 44esimo Rapporto Censis che dedica un paragrafo alle ‘Nuove frontiere del consumo farmaceutico'. La dinamica di lungo periodo dei consumi farmaceutici territoriali fa osservare la tendenza a un costante aumento dei consumi complessivi in termini di dosi e di confezioni -scrive il Censis- a fronte di un aumento molto contenuto della spesa territoriale totale. Quella a carico del Ssn (convenzionata) e quella privata (a carico dei cittadini) mostrano andamenti di segno opposto: dal 2001 la spesa convenzionata è rimasta sostanzialmente stabile, mentre quella privata fa registrare un aumento continuo. Le politiche di contenimento mostrano quindi la loro efficacia, ma soltanto sulla spesa a carico del Ssn, mentre i cittadini hanno pagato in questi anni sempre di più, sia per l’aumento dei ticket sia per l’aumento dei prezzi dei farmaci non rimborsabili.


CONTRIBUTI DELLA FAMIGLIE A OLTRE META' DEGLI ISTITUTI

I contributi volontari versati dalle famiglie sono un’entrata sempre più fondamentale per la gestione e la didattica delle scuole statali. Lo rivela il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010, che dedica un capitolo alla richiesta del cosiddetto ‘contributo volontario'. In base ai primi risultati di una indagine del Censis su 1.099 dirigenti scolastici, il 53,1% delle scuole statali di ogni ordine e grado coinvolte nella rilevazione ha richiesto quest’anno il contributo, ma nel restante 43,5% tale consuetudine non si è ancora diffusa. La frequenza della richiesta aumenta al crescere dei livelli scolastici: si va dal 34,7% di scuole dell’infanzia all’85,6% dei licei. Le somme richieste a livello prescolare o di scuola dell’obbligo sono in media di modesta entità (16,4 euro nella scuola dell’infanzia e 19,8 in quella secondaria di I grado). Nelle scuole di II grado, invece, il contributo medio supera, per tutti gli indirizzi, gli 80 euro pro-capite. Le oscillazioni intorno alla media sono però molto ampie e nelle scuole intervistate si raggiungono anche i 100 euro per scuole dell’infanzia e primarie e i 260 euro dei licei. Il 25% degli istituti che già richiedono un contributo dichiara di averne dovuto aumentare l’importo rispetto allo scorso anno, e solo il 20,6% di dirigenti scolastici ritiene di non aver bisogno di reiterare o introdurre tale modalità di finanziamento nel prossimo anno scolastico.
La risposta delle famiglie alle richieste economiche delle scuole sembra essere di "diffusa collaborazione". Ricordando che si tratta di contributi volontari, emerge che aderisce mediamente alla richiesta di contributo l’82,7% dei genitori.
L’ampiezza del livello di adesione appare dettato non solo dalla consuetudine, ma anche da due crescenti esigenze di segno contrapposto: quella di tamponare le carenze di materiali e strumenti per il funzionamento ordinario dell’istituzione e quella di sostenere la qualità e varietà dell’offerta formativa. La destinazione d’uso dei contributi familiari si divide quasi equamente tra queste due esigenze, con una leggera prevalenza (54%) degli interventi a supporto dell’offerta formativa, che comunque riguardano soprattutto l’adeguamento della strumentazione e degli ambienti di studio. Gli interventi consistono soprattutto in acquisto di materiali didattici (77,2% delle scuole), miglioramento di dotazioni informatiche, laboratori, palestre (58,3), ma rivestono un peso considerevole (43,1) anche le finalità di supporto economico agli studenti più indigenti per assicurare la loro partecipazione alle attività didattico-formative. Il quadro si completa con i finanziamenti provenienti da soggetti privati esterni all’istituto scolastico, fenomeno che interessa il 36,4% delle scuole intervistate ma risulta molto più diffuso al nord.

Delle oltre 1.000 scuole contattate dal censis, l’84,9% possiede una o più Lavagne interattive multimediali (Lim), dislocate in aule ordinarie o in laboratori e aule speciali, senza particolari differenze tra Nord e Sud Italia (si oscilla tra l’88% nel Nord-Ovest all’83,4% nel Sud).
Stando alle risposte dei dirigenti scolastici, nel 91,4% dei casi le risorse per l’acquisto delle Lim hanno avuto origine ministeriale. In misura notevolmente minore, e spesso in aggiunta all’azione ministeriale, le Lim sono state acquistate dalle scuole con propri fondi (20%) o grazie all’intervento di Regioni e enti locali (10%), o infine donate da soggetti privati (6,6%). Le lavagne interattive sono state assegnate, in primo luogo, a quelle classi in cui sono presenti docenti che hanno effettuato la formazione prevista per la loro introduzione nelle scuole (35,9%) o con le più elevate competenze nella didattica digitale (31,3%). Secondariamente sono state installate in laboratori o aule speciali (37,9%) in cui a rotazione sono presenti più classi o aule ordinarie (12,4%). Solo nello 0,2% dei casi il criterio adottato è quello della scelta delle classi con conesisoni Internet. Il 51,4% dei docenti dichiara che l’uso delle Lime ha prodotto nuovi fabbisogni di formazione non ancora del tutto soddisfatti: "il 48,8% afferma che la scarsa autonomia dei docenti nella creazione di contenuti digitali determina una sotto-utilizzazione delle lavagne e il 34,7% ritiene che l’impiego delle Lim non sia agevolato dalla rigidità dei docenti prossimi alla pensione, che hanno difficoltà a rimettere in discussione il proprio approccio didattico". Per poco più della metà dei dirigenti (50,9%) il numero ridotto di Lim rispetto a quello delle classi rischia di creare un divario nei livelli d’apprendimento dei gruppi, a discapito del diritto di ciascun alunno ad avere pari opportunità nell’accesso ai saperi e livelli di istruzione paritetici; mentre per il 36,6% influisce sull’organizzazione delle attività scolastiche, in termini di criteri di scelta per la loro assegnazione, rapporti tra docenti e con quelle famiglie che lamentano l’indisponibilità delle Lim per i loro figli.

 


RALLENTA CRESCITA DI STRANIERI A SCUOLA

Rallenta la crescita degli alunni stranieri a scuola. Lo dice il Censis nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2010. Pur se ancora di segno positivo, il tasso di incremento della presenza di alunni con cittadinanza non italiana manifesta una progressiva decelerazione, attestandosi sul +7% nell’anno scolastico 2009-2010 (lo scorso anno era stato del 9,6% e due anni fa addirittura del 14,5). In termini assoluti, si tratta di un incremento di 44.232 alunni, pari a un peso percentuale del 7,5% sul totale della popolazione scolastica. In particolare, la presenza di studenti con cittadinanza non italiana supera la quota dell’8% nella scuola dell’infanzia (8,1%), primaria (8,7%) e secondaria di I grado (8,5%), e si mantiene intorno al 5% nella secondaria di II grado (5,3%).


IMMIGRATI, CRESCE LA DISOCCUPAZIONE

Cresce la disoccupazione tra gli immigrati in Italia: uno su 10 non ha lavoro. A riferirlo è il Rapporto Censis sulla situazione sociale Paese 2010 che sottolinea come "il tasso di disoccupazione" tra i migranti sia salito "di ben 2,7 punti percentuali nell’ultimo anno, arrivando all’11,2% contro il 7,5% degli italiani". I lavoratori stranieri nel 2009 sono 1.898.000 (il 68,4% dei quali proviene da Paesi non Ue) e rappresentano l’8,2% del totale degli occupati, con un incremento dell’8,4% rispetto all’anno precedente. Tanto il tasso di attività quanto quello di occupazione -riferisce comunque il Censis- evidenziano una partecipazione al mercato del lavoro della popolazione straniera decisamente più elevata rispetto alla popolazione italiana: gli stranieri presentano un tasso di attività del 71,4% contro il 47,3% degli italiani, mentre il tasso di occupazione è del 63,4% per gli stranieri e del 43,7% per gli italiani. Per il Censis uno degli strumenti che andrebbero utilizzati al meglio per favorire l’ingresso e la permanenza degli immigrati sul mercato del lavoro sono i servizi pubblici per l’impiego, cui risulta accedere un numero sempre più alto di stranieri. Da una recente indagine del Censis su oltre 13.000 lavoratori stranieri, risulta che un immigrato su tre si è recato personalmente a uno dei Centri per l’impiego (Cpi) almeno una volta, mentre solo il 10% dichiara di non conoscerli affatto. Appena l’1,9% degli intervistati, invece, afferma di aver trovato lavoro attraverso l’intermediazione di un Cpi. La stragrande maggioranza dei cittadini stranieri (il 73,3% del totale) ha invece trovato lavoro utilizzando i contatti con amici, parenti e conoscenti.



LA MAGGIOR PARTE DEGLI ITALIANI CONTRARI A PIU' POTERI AL CAPO DELLO STATO

Il 70,9% degli italiani è contrario a dare più poteri al capo del Governo. Lo si apprende dal rapporto Censis 2010. "Leaderismo e carisma - si legge nel rapporto - non seducono più: il distacco è più marcato tra i giovani (75%), le donne (76,9%), i diplomati e laureati (fra il 73 ed il 74%)".
I cittadini italiani pensano anche i principali problemi per la ripresa economica dell’Italia dipendano da una classe politica litigiosa (34%), da una elevata disoccupazione (29,6%) e dalla corruzione (26,2%). A seguire l’eccessiva presenza di immigrati (17,7%), giovani poco tutelati (17,4%), troppi evasori fiscali (16,9%) e tasse troppo alte (16,8%).

 

IL TERZIARIO TRAINA L'OCCUPAZIONE

Nell’ultimo decennio il terziario è stato, assieme alle costruzioni, il settore che più ha contribuito all’aumento della forza occupazionale del Paese, con la creazione tra il 1999 e il 2009 di 2,2 milioni di nuovi posti di lavoro: posti che hanno abbondantemente colmato le pur significative perdite registratesi sia nell’agricoltura (-150.000 unità circa) che nell’industria (-280.000 lavoratori). Lo rileva il 44/mo rapporto annuale del Censis sulla situazione socialer del paese. La capacità di crescita del settore si è andata però progressivamente esaurendo e, assieme a questa, il contributo alla creazione di nuova occupazione è passato da 1,3 milioni nel quinquennio 1999-2004 a 890.000 in quello 2004-2009. Peraltro, il negativo andamento dell’ultimo anno (-0,8% tra il 2008 e il 2009), non controbilanciato da una ripresa nell’anno in corso (al secondo trimestre del 2010 i dati evidenziano una tendenziale stagnazione), sembra confermare i segnali già emersi. Le dinamiche interne al comparto sono tuttavia molto differenziate. Per definizione settore in espansione, tutto il mondo dei servizi sociali alla persona e alla famiglia costituisce un’area in forte crescita occupazionale (+36,3% tra il 2004 e il 2009) (tav. 2). I settori in consolidamento sono invece quelle aree del terziario che già da tempo hanno avviato processi di ristrutturazione interna, come la sanità e l’istruzione, e il terziario alle imprese, che ha registrato una sostenuta crescita del lavoro (+9,9%). Vi sono invece alcuni settori che stanno vivendo una vera e propria fase di metamorfosi, caratterizzata da uno stravolgimento degli assetti organizzativi, come il turismo (+12,7%) e la grande distribuzione (+14%). Più all’insegna dell’immobilismo appare invece la situazione in altri settori, come il credito, il comparto assicurativo e i trasporti, dove non si riscontrano apprezzabili fenomeni sul versante del lavoro, mentre in deciso ridimensionamento occupazionale appaiono comparti come il commercio al dettaglio, che ha subito tra il 2004 e il 2009 un calo dell’occupazione del 6,1%, e la Pubblica Amministrazione (-2,8%).

 

 

LAVORO, INATTIVO IL 16% DEI GIOVANI

Il 16,3% della popolazione appartenente alla fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni risulta innativa: non studia, non lavora e non è nemmeno impegnata nella ricerca di un’occupazione. È quanto emerge dal 44/mo rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del paese.
I giovani, rileva il Censis, sono coloro che più hanno avvertito sulla loro pelle il peso della crisi: nei primi due trimestri del 2010 si è registrato un calo degli occupati tra i 15 e i 34 anni del 5,9%, a fronte di un calo medio dello 0,9%. Tra costoro, le persone che non sono impegnate in un’attività di studio, non hanno un lavoro, non lo cercano e non sembrano interessati a trovarlo sono 2.242.000, un universo pari al 16,3% del totale, percentuale che sale al 19,2% nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni. Si tratta in prevalenza di donne, con un basso livello di educazione (il 51,5% ha al massimo la licenza media) e provenienti soprattutto dal Mezzogiorno (60,3%). Se si escludono quanti, soprattutto donne, stanno a casa per prendersi cura dei figli (20,6%), la parte restante spiega la propria scelta trincerandosi dietro un mix perverso di sfiducia e inerzia: il 20,9% non cerca lavoro perchè sa che non lo troverà, il 13,1% perchè sta aspettando delle risposte, l’11% perchè frequenta temporaneamente qualche corso, il 5,2% perchè non gli interessa e non ne ha bisogno.
Il 10,9%, infine, chiama in causa altri motivi non meglio specificati ma estranei a obblighi familiari o legati all’istruzione.

 

GIOVANI, PERSI POSTI DI LAVORO

La crisi sembra avere prodotto i suoi perversi effetti su una sola componente del mercato del lavoro, quella giovanile: nel 2009, tra gli occupati di 15-34 anni si sono persi circa 485.000 posti di lavoro (-6,8%) e nei primi due trimestri del 2010 se ne sono bruciati quasi altri 400.000 (-5,9%). Lo segnala il Censis nel suo 44/mo rapporto annuale sulla situazione sociale del paese. Di contro, se si esclude la fascia immediatamente successiva, dei 35-44enni, dove pure si è registrato un decremento del livello di occupazione (-1,1% tra il 2008 e il 2009 e -0,7% nel 2010), in tutti gli altri segmenti generazionali, non solo l’occupazione ha tenuto, ma è risultata addirittura in crescita: è aumentata di 85.000 unità tra i 45-54enni (+1,4% tra il 2008 e il 2009) e di più di 100.000 tra gli over 55 (+3,7%). E i primi segnali relativi al 2010 (+2,4% per i primi, +3,6% per i secondi) sembrano andare nella stessa direzione. Tra le ragioni che hanno visto cosi penalizzata la componente giovanile del lavoro, oltre al maggiore coinvolgimento nei fenomeni di flessibilità (tra il 2008 e il 2009, a fronte della sostanziale tenuta del lavoro a tempo indeterminato, si è avuta una fortissima contrazione sia del lavoro a progetto del 14,9%, che del lavoro temporaneo del 7,3%), non va trascurata la crescente inadeguatezza del sistema formativo nel produrre le competenze che servono davvero alle imprese e nel formare i giovani al lavoro. A fronte di una domanda che riflette le esigenze specifiche del sistema produttivo, l’offerta rischia di risultare poco rispondente. In pochissimi casi i giovani che si presentano sul mercato del lavoro possono vantare un’esperienza lavorativa alle spalle: tra quanti hanno 15-19 anni ha seguito nel corso degli studi un programma di formazione-lavoro il 12,3% e svolto un lavoro retribuito il 3,5%. Migliora un pò la situazione nella fascia d’età successiva, tra i 20 e i 24 anni, dove la percentuale sale al 37,2%. Vi è poi una quota ancora estremamente ampia di giovani che si presenta sul mercato senza un bagaglio di competenze e conoscenze specifiche: tra i giovani fino a 35 anni che ricercano un lavoro ben il 37% possiede al massimo il titolo di scuola media; la maggioranza ha un diploma o una qualifica professionale (rispettivamente il 43,1% e il 6,2%) e "solo" il 13,8% è laureato. Infine l’offerta formativa risulta solo in parte adeguata a soddisfare i fabbisogni delle aziende, considerato che nel 26,7% dei casi queste incontrano difficoltà a recuperare le competenze tecnico-professionali di cui hanno bisogno per il ridotto numero di candidati o per la mancanza di preparazione degli aspiranti.

 

OCCUPAZIONE FEMMINILE RESISTE MEGLIO DI QUELLA MASCHILE

L’occupazione femminile sembra resistere meglio di quella maschile: tra il 2008 e il 2009 sono stati gli uomini a registrare i maggiori contraccolpi della crisi, con una perdita secca di 274.000 occupati (-2%). È quanto rileva il Censis nel suo 44/mo rapporto annuale sulla situazione sociale del paese.
Anche le donne hanno visto ridurre la propria partecipazione al lavoro, ma in misura decisamente meno drammatica: sono stati infatti bruciati 105.000 posti di lavoro femminili, con un calo netto dell’1,1%. Una tendenza che sembra confermata anche nell’anno che sta per concludersi, considerato che nei primi due trimestri del 2010, a fronte di un’ulteriore contrazione dell’occupazione maschile dell’1,1%, quella femminile registra un calo "solo" dello 0,5%.
Anche rispetto alla partecipazione al lavoro, le donne hanno tenuto meglio dei colleghi maschi, segnalando, contrariamente alle attese, un tasso di abbandono del mercato decisamente inferiore (le forze lavoro maschili sono diminuite dello 0,6%, quelle femminili dello 0,3%) e un aumento delle non forze lavoro molto più contenuto di quello maschile. Non va sottovalutato come le donne continuino a presentare, almeno sotto il profilo contrattuale, una condizione di rischio maggiore rispetto ai colleghi maschi: nel 2009 risultano infatti occupate con contratti atipici il 14,3% di esse (contro l’8,9% degli uomini), per lo più con contratti a termine (11,9%) e in parte di collaborazione a progetto o occasionale (2,4%).

 

 

EVASIONE FISCALE: 100 MILIARDI L'ANNO

Sul sistema Paese pesa come un macigno l’evasione fiscale valutata intorno a 100 miliardi di euro l’anno. È quanto rileva il Censis nel suo 44/mo rapporto annuale sulla situazione sociale del paese.
L’economia irregolare, dopo un lungo periodo di frenata, ha ripreso a crescere, registrando tra il 2007 e il 2008 un aumento del valore del 3,3%, portando l’incidenza sul Pil dal 17,2% al 17,6%. A trainarla è stata la componente più invisibile, legata ai fenomeni di sottofatturazione e di evasione fiscale (+5,2%), la cui incidenza sul valore complessivo del sommerso raggiunge ormai il 62,8%. Di contro, il valore imputabile al fenomeno del lavoro irregolare resta sostanzialmente stabile (+0,1%) e la sua incidenza scende dal 38,4% al 37,2%. Ma gli italiani iniziano a guardare con preoccupazione al dilagare di questi fenomeni, su cui da sempre si è chiuso un occhio, anche per convenienza personale.
Secondo un’indagine del Censis, il 44,4% degli italiani individua nell’evasione fiscale il male principale del nostro sistema pubblico, il 60% ritiene che negli ultimi tre anni l’evasione fiscale sia aumentata, il 51,7% chiede di aumentare i controlli per contrastare l’evasione. Tuttavia, di fronte a un esercente che non rilascia lo scontrino o la fattura, ancora più di un terzo degli italiani (il 34,1%) ammette candidamente di non richiederlo, tanto più se questo consente di risparmiare qualche euro. Inoltre, posti davanti all’opzione "più servizi, più tasse" oppure "meno tasse, meno servizi", la maggioranza degli italiani (55,7%) propende decisamente per la prima ipotesi, segnando una controtendenza nei confronti di un passato non troppo lontano, una voglia di Stato legata alla crisi, che ha messo in discussione certezze acquisite sia a livello economico che sociale.

 

CRESCE PERICOLO CHE CRIMINALITA' INFETTI ECONOMIA

In tempo di crisi cresce il pericolo che la criminalità organizzata infetti l’economia legale. È l’allarme lanciato dal Censis nel XLIV Rapporto sulla situazione sociale del Paese-2010, diffuso oggi. La presenza della criminalità organizzata contribuisce senza dubbio a determinare "quel quadro di forte ritardo strutturale delle regioni meridionali maggiormente coinvolte", si legge nel documento. Perchè, se è vero che la criminalità organizzata ha ormai allargato i suoi interessi ben oltre il Sud d’Italia e al di fuori dei confini nazionali, è altrettanto vero che nel Mezzogiorno i suoi effetti "restano decisivi in quanto al Sud si crea un circuito perverso con l’economia, la politica, la società civile, tale da bloccare le iniziative di sviluppo nella legalità".
Per Campania, Calabria, Puglia e Sicilia sono stati considerati: i Comuni in cui sono presenti sodalizi criminali, che risultano essere 448; gli enti locali in cui si trovano beni immobili confiscati alle organizzazioni criminali, che sono 441; i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose negli ultimi tre anni, che sono 36. Complessivamente 672 Comuni, pari al 41,8% dei 1.608 Comuni delle quattro regioni, che occupano il 54,8% del totale della superficie territoriale, presentano almeno un indicatore di criminalità organizzata. In essi, rivela il Censis, vive il 79,2% del totale della popolazione delle quattro regioni del Meridione, vale a dire 13.440.130 individui che rappresentano il 22,3% della popolazione italiana. Rispetto a tre anni fa, è aumentato il numero dei Comuni (che nel 2007 erano 610) e conseguentemente sono cresciute le popolazioni coinvolte (nel 2007 pari al 77,2% del totale), nonchè la superficie territoriale interessata (che era il 50,8%).
Gli enti locali ove la pressione mafiosa sembra essere maggiore risultano concentrati in Campania (province di Napoli e Caserta); Calabria (provincia di Reggio e in particolare nella piana di Gioia Tauro); Sicilia, (provincia di Agrigento).
Si tratta di circa 380.000 persone che vivono subendo il pesante condizionamento delle mafie.
La criminalità organizzata preme soprattutto in Sicilia (dove il 52,3% dei Comuni presenta almeno un indicatore), segue la Puglia (con il 43% dei Comuni), la Calabria (38,4) e la Campania (36,3). La Sicilia è al primo posto anche per quantità di popolazione coinvolta (l’83,1% del totale), seguita da Campania (dove abita in un Comune criminale l’81,2% della popolazione), Puglia (il 77,6% di abitanti vive in un luogo in cui si respira la presenza della mafia) e Calabria (67,3%). Se oltre agli indicatori di carattere demografico si considerano alcuni indicatori economici, risulta che nelle zone in cui la pressione mafiosa si fa più sentire si produce un Pil di 211,5 miliardi di euro, pari al 13,9% di quello nazionale.

 

 

MAFIA, 11MILA IMMOBILI SEQUESTRATI

A settembre 2010 sono oltre 11.000 i beni immobili confiscati alle mafie dallo Stato in tutte le regioni, con l’esclusione della Valle d’Aosta, e tra questi più di mille sono aziende: 6.423 risultano assegnati. Lo rivela il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010, che ricorda come la principale strategia di contrasto alla mafia consista nel colpire i patrimoni dei mafiosi, privandoli del principale strumento di potere e controllo del territorio a loro disposizione, il denaro. La maggioranza dei beni immobili si trova tra Sicilia (44,7%), Campania (15,1%), Calabria (13,9%) e Puglia (8,3%), ma è elevato il numero di beni confiscati anche in Lombardia (913, pari all’8,3% del totale, di cui 184 aziende) e nel Lazio (482, il 4,4% del totale, di cui 105 aziende); tanto che Milano e Roma si trovano tra le prime dieci province per numero di beni immobili confiscati. La graduatoria provinciale vede in testa Palermo, dove si trova il 30% del totale dei beni sottratti (3.316 in valore assoluto), seguita da Reggio Calabria (9,2%), Napoli (8,3%) e Catania (5,4%); poi Milano, Caserta, Roma, Trapani, Bari e Catanzaro, per un totale di 8.195 beni confiscati in questi territori, pari al 74,2% del totale. Solo in 13 province non si registra neppure un bene sequestrato. Si tratta di un patrimonio ingente e molto diversificato, che ha comportato però notevoli difficoltà nella fase di gestione e ancor più in quelle di destinazione e consegna, con una quantità di beni destinati (quindi da trasformare in risorsa per la collettività) che a lungo è stata inferiore al numero di quelli confiscati. Per risolvere i numerosi nodi e criticità, la soluzione che da tempo e da più parti si auspicava era quella dell’assegnazione a un soggetto unico della competenza esclusiva e generale in materia di beni confiscati e, nel rispetto delle prerogative dell’autorità giudiziaria, di quelli sequestrati. È proprio quanto è stato fatto quest’anno con l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità. L’Agenzia, organismo autonomo, dotato di proprie risorse finanziarie (3 milioni di euro per il 2010 e 4 milioni per il prossimo anno), sotto la vigilanza del ministro dell’Interno, si pone come cabina di regia nazionale sulla materia.

 

 

SOVRAFFOLLAMENTO CARCERI

Ci sono quasi 70.000 detenuti (nel 2006 erano 60.000) nelle carceri italiane: un tasso di sovraffollamento che supera il 150% e che in alcuni casi è oltre il 170%. L’allarme arriva dal Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010, diffuso oggi. Numeri che però sono destinati a diminuire alla luce del ddl ‘svuota carceri' approvato in via definitiva al Senato a metà novembre. La legge prevede che nel caso in cui il detenuto debba scontare pene inferiori a un anno possa usufruire dei domiciliari. Oltre al sovraffollamento il Rapporto individua altri fattori di disagio "che rivelano quale sia la gravità della situazione": il 36,9% dei detenuti è straniero; il 24,5 è tossicodipendente, il 2,3 è dipendente da alcol, l’1,8 è infetto da Hiv. Inoltre, rivela il Censis, le guardie penitenziarie sono 39.569 rispetto alle 45.121 previste per legge, e il costo medio giornaliero per detenuto è sceso dai 131,9 euro del 2007 ai 113,4 euro stimati per il 2010. A questo si aggiunge che circa 30.000 detenuti (44% del totale) sono in attesa di uno dei gradi del procedimento. Tra questi, la gran parte (15.111) è in attesa del giudizio di primo grado.
Inoltre 18.769 condannati si trovano a dover scontare una pena ?o una pena residua? inferiore a tre anni (e tra questi 11.601 hanno una pena inferiore a un anno), quindi avrebbero i requisiti per usufruire delle misure alternative alla detenzione. Circa 30.000 detenuti si trovano in carcere per avere contravvenuto alla legge sulla droga e circa 4.000 a quella sull’immigrazione. Secondo l’analisi del Censis, "il personale che lavora in carcere risulta completamente insufficiente a gestire una situazione che diventa di giorno in giorno più complessa: a essere sotto-dimensionate non sono solo le guardie carcerarie, ma anche altre figure più esplicitamente votate al recupero dei detenuti, come gli educatori e gli assistenti sociali". Su questa situazione si innesta il Piano carceri, che si propone di ridurre il sovraffollamento attraverso tre tipi di interventi:l’ampliamento del numero dei posti disponibili per complessivi 21.709 nuovi posti. Questi propositi sono stati ridimensionati nel Piano che il Commissario straordinario ha presentato lo scorso 29 giugno. Il secondo è l’introduzione di misure deflattive, con la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena residua agli arresti domiciliari e la messa in prova; su questo punto è stata approvata a novembre la legge che dovrebbe riguardare circa 7.000 detenuti. Ultimo intervento, l’assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria.

 

ITALIANI SCONTENTI DELLA P.A.

Gli italiani sono i più scontenti in Europa per il funzionamento della propria Pubblica Amministrazione. Il rapporto Censis 2010 evidenzia che per il 74% dei cittadini italiani la Pubblica Amministrazione funziona male.
La media Ue vede la percentuale di scontenti fermarsi al 52%. I più contenti sono gli svedesi, per i quali la Pubblica Amministrazione funziona bene nel 64% dei casi.