Roma, 22 gennaio 2011 - "Rispetto la magistratura". Con queste parole Salvatore Cuffaro ha accolto la sentenza della Cassazione, che confermava la condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e violazione del segreto istruttorio.

Il senatore ed ex presidente della regione Sicilia si è quindi costituito ed è entrato nel carcere milanese di Rebibbia, scegliendo però un ingresso secondario per dibblare i giornalisti e le telecamere. All’ex governatore della Regione Sicilia sarebbe stata assegnata una cella singola nel reparto 'prima accoglienza', in attesa di una sistemazione definitiva. "Voglio affrontare il carcere con tranquillità", avrebbe detto Cuffaro ai poliziotti penitenziari che hanno provveduto a sbrigare le pratiche di rito quali l’immatricolazione del detenuto e il suo accompagnamento per la visita medica di ingresso.

La sentenza della Corte di Cassazione ha confermato per Cuffaro la condanna che era stata emessa dai giudici della Corte d’Appello di Palermo che lo avevano ritenuto colpevole di avere informato, attraverso l’intercessione dell’ex assessore dell’Udc Mimmo Miceli, il boss di Brancaccio Guttadauro della presenza delle microspie piazzate dal Ros nella sua abitazione.

Non è stata accolta dalla suprema Corte, dunque, la richiesta del procuratore generale Galati il quale ieri aveva chiesto la riduzione della pena per l’imputato, non riconoscendogli l’aggravante mafiosa.

I LEGALI - La sentenza è stata accolta con “stupore” dai legali del senatore. Un atteggiamento, quello della difesa, maturato alla luce della richiesta avanzata ieri dal procuratore generale Galati il quale aveva chiesto alla suprema Corte, con “un’ampia argomentazione”, l’annullamento dell’aggravante mafiosa.
Già nelle prossime ore la Corte di Cassazione potrebbe trasmettere alla Procura di Palermo la sentenza, che di fatto schiuderà le porte del carcere per Salvatore Cuffaro.

CORO DI SOLIDARIETA' - "Rispettiamo la sentenza ma crediamo che Cuffaro non sia mafioso", dichiarano in un comunicato congiunto Pierferdinando Casini e Marco Follini, che si dicono "umanamente dispiaciuti per la condanna di Totò Cuffaro" ed esprimono "rispetto per la sentenza, come èdoveroso in uno Stato di diritto e tanto più da parte di dirigenti politici. Ma, non rinneghiamo tanti anni di amicizia e resta in noi -concludono Casini e Follini- la convinzione che Cuffaro non sia mafioso".

Nota di solidarietà anche da Lorenzo Cesa: “Nonostante le nostre strade politiche si siano separate da qualche tempo, sono sempre stato convinto dell`innocenza di Cuffaro e dell`assenza di qualsiasi legame tra lui e la mafia.  Mi sento umanamente vicino a Totò e alla sua famiglia in questo momento di profondo sconforto”. Il ministro Sandro Bondi si dice  "umanamente e politicamente colpito dalla sentenza. La rispetto anche se non riesco a credere alla verità delle accuse nei confronti di Cuffaro. In ogni caso, cercherò di aiutare cristianamente e umanamente Cuffaro in questa prova che egli ha affrontato con tanta dignità".

“Dolore e vicinanza al senatore Cuffaro" sono espressi anche dal ministro Gianfranco Rotondi, che aggiunge "Cristianamente gli saremo vicini nei giorni difficili che verranno, ma passeranno”. Anche Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello del Pdl esprimono "solidarietà all’amico Totò Cuffaro per la scelta che ha compiuto. Quanto al merito della vicenda, ci ha convito più la Procura della Cassazione che il collegio giudicante". 

CONFERMATE TUTTE LE CONDANNE -  La Cassazione nell’ambito del processo ‘Talpe alla Dda', oltre a confermare la condanna a 7 anni di reclusione per l’ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro, in buona sostanza ha confermato anche le condanne degli altri dieci coimputati. Nel dettaglio, la seconda Sezione penale ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’ex manager della sanità privata Michele Aiello, ritenuto l’alter ego del boss Provenzano nell’imprenditoria condannandolo a 15 anni e 6 mesi per avere ordito una rete di spionaggio che svelava le notizie sulle indagini di mafia.

Sette anni, cinque mesi e dieci giorni all’ex sottufficiale del Ros Giorgio Riolo (nei suoi confronti la Cassazione ha dichiarato la prescrizione per due capi di imputazione dichiarando il ricorso inammissibile nel resto). Ricorso rigettato anche per il dirigente della divisione anticrimine della Procura di Palermo Giacomo Venezia (tre anni di reclusione). Diventano inoltre definitive le condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Palermo lo scorso 23 gennaio nei confronti di Antonella Buttitta (sei mesi); quattro anni e sei mesi al radiologo Aldo Carcione; un anno a Roberto Rotondo; nove mesi a Michele Giambruno; quattro anni e sei mesi a Lorenzo Iannì; nove mesi a Salvatore Prestigiacomo; due anni ad Angelo Calaciura.

UNA VICENDA LUNGA 6 ANNI -  La decisione della Seconda sezione penale della Cassazione scrive la parola fine su una vicenda giudiziaria iniziata nel settembre del 2005, quando il governatore siciliano fu iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo. A chiamare in giudizio Cuffaro, in quello che sarà il processo “talpe” dalla Dda, erano il procuratore Piero Grasso, l’aggiunto Giuseppe Pignatone e i sostituti Michele Prestipino, Maurizio de Lucia e Nino Di Matteo, quest’ultimo uscito dai banchi dell’accusa alla vigilia della requisitoria per contrasti con i colleghi.

Il presidente siciliano avrebbe informato, attraverso l’intercessione dell’ex assessore comunale dell’Udc Domenico Miceli, il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro del fatto che nella sua abitazione vi fossero le microspie istallate dagli investigatori del Ros, bruciando di fatto l’indagine sul padrino.
Cuffaro avrebbe saputo delle microspie dall’ex maresciallo dei carabinieri Antonio Borzacchelli, successivamente eletto deputato regionale.

Ma ad incastrare l’ex presidente della Regione sono stati anche gli incontri avuti, nel retro di un negozio di Bagheria, con il magnate della sanità siciliana Michele Aiello, imputato nello stesso processo e ritenuto vicino a Bernardo Provenzano. Un colloquio che secondo Cuffaro avrebbe riguardato il tariffario regionale. Dopo tre anni di dibattimento, il 18 gennaio 2008, la sentenza di primo grado condannò Cuffaro a 5 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per favoreggiamento semplice. La sentenza fu accolta positivamente dal governatore che “festeggiò” offrendo dei cannoli a palazzo d’Orleans: un episodio imbarazzante che fu immortalato in una foto divenuta storica.

Dimessosi dalla carica di presidente della Regione il 26 gennaio 2008, il processo d’appello si aprì alla terza Sezione della Corte d’Appello di Palermo il 15 maggio 2009. Cinque mesi dopo, a ottobre, viene notificato al senatore un nuovo avviso di conclusione indagini per concorso esterno in associazione mafiosa. I magistrati questa volta affermano che Cuffaro sia stato appoggiato dalla mafia sin dai primi anni novanta. Il processo d’appello si conclude il 23 gennaio 2010, con una condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato, con l’aggravante di aver favorito la mafia e con un inasprimento di pena di due anni.