Roma, 28 gennaio 2011 - Omicidi in famiglia: circa 10 al mese, con una media di unb assassinio ogni tre giorni, si sono verificati nel Belpaese tra il 2009 e il 2010. Un totale che fa rabbrividire: 235. Nella maggior parte di casi l’assassino è uomo, la vittima è donna. Il campione analizzato dall’Eurispes è stato costruito attraverso un’analisi e una selezione di articoli di cronaca, estrapolati dai più importanti quotidiani a diffusione nazionale.

In entrambi gli anni, la maggior parte di questi, vedeva coinvolti soggetti appartenenti alla medesima cerchia familiare (97 omicidi nel 2009 e 81 nel 2010). I cosiddetti "omicidi di relazione", invece, sono stati in tutto 57 (25 nel 2009 e 32 nel 2010). Sui 235 omicidi avvenuti nel biennio preso in esame, quasi la metà degli omicidi sono stati commessi nel Nord (52,5% nel 2009 e 47,8% nel 2010). Al Centro se ne sono registrati il 21,3% nel 2009 e il 18,6% nel 2010 mentre a Sud e nelle Isole gli omicidi domestici sono stati il 26,2% e il 33,6% rispettivamente nel 2009 e nel 2010.

- AUTORI (UOMINI) E VITTIME (DONNE). La maggior parte degli autori di omicidi domestici, nel biennio 2009-2010, erano maschi (85,7% nel 2009 e 84,9% nel 2010) e su 126 autori di omicidi il 34,1% erano coniugi o conviventi (mariti o compagni), l’11,1% erano padri, il 7,9% erano figli, il 7,2% erano altri parenti (nonni, zii, cugini, etc.) e il 4,8% erano fratelli. Sempre nello stesso anno, le donne che avevano commesso un omicidio, nella cerchia familiare, erano nella maggior parte dei casi madri (8,7%) o figlie (3,2%). Pochi i casi emersi di mogli, sorelle o altri parenti (0,8% in tutti e tre i casi) autrici di omicidi.

Nel 2009, sono per la maggior parte fidanzati, amanti, rivali o spasimanti a commettere omicidi (6,3% in entrambi i casi). Nel 2010, invece, sono gli "ex" (coniugi o conviventi, ma anche fidanzati o amanti) i maggiori responsabili di uccisioni (11,8% ex fidanzati/amanti e 6,7% ex coniugi/conviventi).

Le donne sono le vittime sacrificali, forse perchè più deboli o peggio perchè non più disposte ad accettare soprusi e angherie. Sono state il 70,5% le donne uccise nel 2009 e il 62,8% quelle che hanno perso la vita (per mano di un omicida maschio nell’84,9% dei casi) nel 2010, tra le mura "domestiche". Tra queste, la maggior parte erano mogli o conviventi (34,4% nel 2009 e 20,3% nel 2010). Tra il 2009 e il 2010, la percentuale di figlie uccise scende dall’8,2% del totale degli omicidi domestici al 2,7% mentre aumenta la percentuale di vittime madri (dal 6,5% all’8,8%) e zie, cugine, nonne (da 3,3% all’11,5%) ma anche di fidanzate, amanti, rivali o spasimanti (dal 5,7% al 6,2%) e di ex fidanzate o ex amanti (dal 3,3% al 9,7%) Considerando i maschi vittime di omicidi (29,5% nel 2009 e 37,2% nel 2010), se nel 2009, questi erano per lo più figli (12,3%), seguiti dai padri (4,9%) e dagli altri parenti maschi (4,1%), nel 2010, invece, erano i padri (10,6%) i principali bersagli della furia omicida, seguiti dai figli (9,7%), dagli ex coniugi o conviventi (7,1%) e dai mariti o conviventi (4,4%).

- ETÀ DEGLI AUTORI E DELLE VITTIME: i minori (fascia d’età 0-17 anni) sono principalmente "vittime" (17,2% nel 2009 e 12,4% nel 2010); infatti, solo nel 2,6% degli omicidi domestici, registrati nel 2010, era stato ritenuto colpevole un minorenne.

Considerando, invece, la fascia d’età immediatamente successiva, rappresentata da giovani tra i 18 e i 24 anni si osserva come questi, nel biennio 2009-2010 siano stati - seppure in percentuale minore nel 2010 rispetto al 2009 - più "autori" (14,3% nel 2009 e 7,6% nel 2010) che "vittime" (10% nel 2009 e 2,7% nel 2010). Anche i 25-34enni, sono nella maggior parte dei casi più "autori" (9,5% nel 2009 e 16% nel 2010) che "vittime" (7,4% nel 2009 e 14,1% nel 2010), anche se, rispetto a quanto accadeva nella fascia d’età precedente, sono in aumento nel 2010 rispetto al 2009. Nelle fasce d’età più "mature", quelle dei 35-44enni e dei 45-64enni si conta, in media, il maggior numero di "autori" (30,6% nel 2009 e 29% nel 2010) mentre le "vittime" sono, nel maggior numero dei casi anziane (il 25,1% in media delle vittime dai 65 anni in su), 35-44enni (il 21,3% in media) e 46-64enni (il 20% in media). Da non sottovalutare, inoltre, il discreto numero di anziani che vengono accusati di omicidio "domestico" (il 15,9% nel 2009 e il 9,2% nel 2010).

- GENITORI E FIGLI. Tra gli omicidi più efferati, il figlicidio e il genitoricidio sono senz’altro quelli più difficili da comprendere.

A parte le note patologie psicologiche, le altre motivazioni di questo genere di omicidio sono la disperazione all’impossibilità di curare una malattia grave di un figlio o di un genitore anziano e sofferente o problemi legati all’affidamento dei figli. Nel biennio 2009-2010, sono risultati 39 i figlicidi (25 nel 2009 e 14 nel 2010). Di questi, nel 2009, 14 erano stati perpetrati da padri, 11 da madri. Nel 2010, invece, 4 erano stati compiuti da padri e 10 da madri. Nel complesso, la maggior parte dei figli uccisi dai genitori sono stati maschi (15 vs 10, nel 2009 e 11 vs 3, nel 2010), mentre le madri sono state quelle che hanno ucciso più figli rispetto ai padri (21 vs 18).

Per quanto riguarda i genitoricidi, ad essere stati uccisi per mano dei propri figli sono stati, nella maggior parte dei casi i padri (6, nel 2009 e 14, nel 2010). I matricidi, invece, sono stati 8 nel 2009 e 10 nel 2010. I figli maschi (30), rispetto alle femmine (8), sono quelli che hanno commesso più parricidi (16 figli vs 4 figlie e 14 figli vs 4 figlie).

- INFANTICIDI: uno ogni 20 giorni nel 2010. Stando ai dati ufficiali emerge che il numero di infanticidi nel 2008 è stato pari a 4. Dai dati del Centro documentazione dell’Eurispes emerge un incremento del numero di infanticidi, che aumentano da 11 nel 2009 a 18 nel 2010. Si è passati quindi da un infanticidio ogni novantuno giorni nel 2008, ad uno ogni trentatrè giorni circa nel 2009, per giungere a uno ogni venti giorni circa nel 2010.

- TI AMO? DA MORIRE. Sempre nell’indagine effettuata dall’Eurispes nell’ambito degli omicidi tra "innamorati" o comunque tra individui con legame di natura affettiva/sessuale, abbiamo osservato come l’autore di questi omicidi è quasi sempre un uomo (85,7% nel 2009 e 84,9% nel 2010) il cui sentimento nei confronti della sua "amata" è spesso nient’altro che un mero desiderio di possesso.

Nel biennio 2009-2010, tali omicidi sono stati 103, il 44% circa di quelli totali. La maggior parte di essi è avvenuta a Nord-Ovest (27,2%), seguito dal Centro (23,3%), dal Sud (18,4%), dal Nord-Est (17,5%) e dalle Isole (13,6%). Gli autori sono stati principalmente mariti o conviventi (63,1%), ma anche fidanzati/ex amanti (15,5%), fidanzati, amanti, rivali o spasimanti (13,6%) e ex coniugi o ex conviventi (7,8%). Tra questi, il 32% si è suicidato subito dopo aver commesso l’omicidio e il 15,6% ha tentato di togliersi la vita.

OTTO SU DIECI PESSIMISTI SU ECONOMIA - Otto italiani su dieci sono pessimisti sulla situazione economica dell’Italia: è quanto emerge dal rapporto Italia 2011 dell’Eurispes. Al Nord Ovest e al Nord Est del Paese si manifesta un maggiore scoraggiamento per il futuro rispetto al resto della penisola. Gli italiani, evidenzia il Rapporto, "nella maggior parte di casi (51,8%) considerano la situazione economica del nostro Paese nettamente peggiorata (+4,7% rispetto al 2010). Un dato così significativo si era registrato solo nel 2005 (54%). Se a questi si aggiungono coloro che denunciano comunque un peggioramento anche se lieve (29,8%) si arriva al 81,6% di pessimisti". In questo inizio 2011, spiega l’Eurispes, "sono anche diminuiti gli ottimisti che definiscono la nostra economia lievemente migliorata (3,7%) nel corso degli ultimi dodici mesi e addirittura non vi è nessuno che, nel corso del 2010, abbia individuato un netto miglioramento".

E anche il futuro non è roseo: dal 2003 a oggi, accade per la prima volta che la maggioranza del campione (50,7%) preveda situazioni ancora peggiori per i prossimi dodici mesi (26,8% nel 2003; 36,4% nel 2004; 39,3% nel 2005; 30,1% nel 2006; 36,2% nel 2007; 47,7% nel 2008 e 36,3% nel 2010). Di conseguenza raggiunge livelli bassissimi il dato di quanti si dicono convinti di un futuro economico migliore per il nostro Paese (8,9% vs il 18,3% nel 2010 ma nel 2007, solo 4 anni fa, erano il 35,6%). Il 29% degli italiani non intravede la possibilità di grossi cambiamenti e ritiene che la situazione economica resterà sostanzialmente invariata.

I residenti delle regioni del Nord-Ovest e del Nord-Est manifestano maggior pessimismo nei confronti della futura situazione economica del Paese: rispettivamente nel 52,4% e nel 52,2% dei casi si dichiarano convinti di un ulteriore peggioramento. Segnali di maggior fiducia provengono soprattutto dai residenti nelle regioni del Centro Italia che, nel 10,6% dei casi, prevedono scenari di ripresa economica. Nel Mezzogiorno (32,2%) e nelle Isole (32,4%) prevale l’opinione secondo cui, nei prossimi 12 mesi, la situazione economica italiana rimarrà stabile.


UNA FAMIGLIA SU DUE A FATICA A FINE MESE
- In Italia per oltre una famiglia su due è difficile arrivare a fine mese. Lo rivela il Rapporto Italia 2011 dell’Eurispes in cui si spiega che "la difficoltà ad arrivare alla quarta settimana, per molti ormai alla terza, è una questione che accomuna milioni di famiglie italiane: un disagio ulteriormente confermato dal 54,7% di quanti confessano che, a un certo punto del mese, incontrano difficoltà a far quadrare il proprio bilancio familiare (in aumento del 6,3% rispetto al 2010)". Il ‘sentimentò degli italiani circa la situazione economica del Paese mette in luce "un peggioramento generalizzato". Oggi, spiega il Rapporto, "sempre più spesso dietro una apparente normalità si nascondono situazioni di profondo disagio".

Intervistati sulla situazione economica individuale dell’ultimo anno, la maggioranza assoluta del campione (57,3%) ha indicato un peggioramento: grave nel 23,9% dei casi o lieve nel 33,4%. Rispetto ad un anno fa, il numero dei pessimisti ha subito una lieve contrazione, pari a 2 punti percentuali; della stessa entità si è rivelata tuttavia la crescita di quanti hanno dichiarato un miglioramento (passati dal 6,9% all’8,8%), mentre è rimasto sostanzialmente stabile il dato relativo a quanti ritengono invariata la propria posizione economica (33,2% contro il 32,9% del 2010).

 

SI TAGLIANO I REGALI - Continua la stretta sui consumi per gli italiani: le prime spese a essere tagliate sono quelle per i regali e per i viaggi, mentre si ricorre sempre di più ai saldi. È quanto emerge dal rapporto Eurispes Italia 2011.

Sui consumi, si legge nello studio, "continua la tendenza all’adattamento. Si tagliano le spese superflue e si riducono i beni non essenziali, prima fra tutte la spesa per i regali (77,8%, 75,3% nel 2010), per i pasti fuori casa (73,5%) ma anche per i viaggi (70%, +4,8%) e il tempo libero (69,3%, +8,8% rispetto al 2010). Un ulteriore punto fermo in clima di recessione economica, l’acquisto dei prodotti in saldo (74,5%, 68,3% nel 2010) o comunque presso punti vendita più economici come grandi magazzini, mercatini o outlet (71,3%, +0,4%)".

Grandi accortezze anche per l’acquisto di prodotti alimentari: il 67,8% cambia marca di un prodotto se questo è più conveniente ed il 55,6% sceglie punti vendita più economici come i discount. Nel 25,5% dei casi ci si rivolge per gli acquisti al mercato dell’usato (+7,2% rispetto al 2010).

L’e-commerce è sempre più diffuso: ben il 36,2% degli italiani ha acquistato prodotti online essenzialmente per risparmiare o per aderire ad offerte speciali.

PER IL 70% I PREZZI SONO IN AUMENTO - Per la maggior parte degli italiani i prezzi sono in aumento e a crescere sono stati soprattutto quelli dei carburanti, degli alimentari e delle bollette. È quanto emerge dal rapporto Eurispes Italia 2011.

Quest’anno, rispetto al 2010, evidenzia lo studio, è cresciuta in maniera considerevole la quota (70%) di quanti sostengono che i prezzi in Italia siano aumentati. Cala la percentuale di chi sostiene che nel corso dell’anno precedente, i prezzi in Italia abbiano subìto un decremento: il 3% contro il 4,9% del 2010 e diminuisce il numero di chi non ha rilevato alcun tipo di variazione dei prezzi (dal 35% del 2010 al 22,8% del 2011).

La quasi totalità degli italiani (95,5%) sostiene che l’aumento dei prezzi abbia colpito in modo particolare il carburante per le auto. A seguire i settori più colpiti sono quello dei generi alimentari (88,4%), le bollette (87,9%), i trasporti (80,8%), le spese per la salute (79,7%), i pasti e le consumazioni fuori casa (77%). Anche le spese per il settore del vestiario e del calzaturiero (65,9%), quelle per la cura della persona (64,4%), le vacanze e i viaggi (59,5%) e l’arredamento per la casa (59,7%) hanno, secondo i cittadini, fatto registrare aumenti. Le spese telefoniche e quelle per il cinema e le attività culturali hanno inciso sul carovita rispettivamente secondo il 59% ed il 57,1% degli intervistati.

Incidono in misura decisamente inferiore le spese per il settore tecnologico (41,4%). Sul fronte immobiliare l’aumento dei prezzi è stato segnalato per gli affitti (60,4%) e meno nel mercato della compravendita immobiliare (49,3%).

Inoltre risulta in aumento la percentuale degli italiani che ha indicato un elevato (46,3%, 45,6% nel 2010) e un eccessivo (15,5%, 13,6% nel 2010) aumento del costo della vita.

Diminuisce di contro la quota di chi asserisce che l’aumento dei prezzi sia stato contenuto e non superiore al 3%: 32,3% contro il 34,5% del 2010. L’aumento elevato dei prezzi (tra il 3% e l’8%) è particolarmente accentuato nell’Italia insulare (55,6%), in quella meridionale (50%) e nell’area Nord-Est (49,1%). La crescita eccessiva dei prezzi, ossia superiori all’8%, è stata avvertita in modo particolare dai residenti del Sud (17,7%) seguiti da quelli del Nord-Ovest (16%) e del Nord-Est (15,3%).


INTACCATI I RISPARMI PER IL MUTUO - Una famiglia su tre intacca i propri risparmi e il 40% ha difficoltà a pagare il mutuo. È il quadro tracciato dall’Eurispes nel rapporto Italia 2011.

"Sopravvivere alla crisi - si legge nel rapporto - non vuol dire soltanto modificare le abitudini e gli stili di vita. Molto spesso accade che, nonostante si presti attenzione al bilancio familiare tagliando le uscite superflue, il budget mensile non sia comunque sufficiente a coprire il fabbisogno ed è necessario ricorrere ai risparmi familiari: questo accade a circa una famiglia italiana su tre (36,2%)". Sulla propensione al risparmio infatti prevale il pessimismo. Il 33,8% degli intervistati prevede che, con molta probabilità, non riuscirà a risparmiare nulla nel prossimo anno ed il 23,6% ne è proprio sicuro. I pessimisti rappresentano, quindi, il 57,4%.

Complessivamente il 30,6% degli italiani sono fermamente convinti (8,4%) o comunque determinati (22,2%) a risparmiare qualcosa nel corso del prossimo anno. Le famiglie del Bel Paese infine sono "in sofferenza" rispetto ai mutui e gli affitti.

"La casa - si legge ancora nel rapporto - rappresenta da sempre il capitolo di spesa più incisivo per l’economia familiare e, dai risultati della rilevazione, emerge un quadro preoccupante se si confrontano i dati del 2011 con quelli dell’anno precedente: il 40% delle famiglie italiane ha difficoltà a pagare la rata del mutuo (rispetto al 23,2% del 2010) ed il 38,1% (contro il 18,1% del 2010) a pagare il canone d’affitto.

Soprattutto il dato sui mutui sembra essere in linea con l’aumento delle insolvenze registrato in questi ultimi anni nel nostro Paese". E anche quando si indaga sulla condizione economica non individuale, ma complessiva della famiglia dell’intervistato, la situazione appare preoccupante: sono in diminuzione le famiglie italiane che, nonostante tutto, riescono a risparmiare qualcosa (26,2% contro il 30,8% del 2010) e a raggiungere l’oramai ambito traguardo della "fine del mese" (61% vs 66% del 2010). Un traguardo che rappresenta invece uno scoglio insormontabile per il 35,1% delle famiglie (nel 2010 erano il 28,6%); si tratta di un disagio particolarmente acuto nel Sud (43%), nel Nord-Est (37%) e nelle Isole (36,5%).

 

CROLLA LA FIDUCIA NELLE BANCHE - Crolla la fiducia degli italiani nelle banche. "La gravità della crisi che ha caratterizzato la fine del primo decennio del XXI secolo", si legge nel Rapporto Eurispes 2010, "giustifica un calo di fiducia senza precedenti negli istituti" di credito. In particolare, per il secondo anno la rilevazione fotografa un risparmiatore "molto scettico e disincantato rispetto alla capacità delle banche di farsi carico delle necessità delle famiglie, delle imprese e più in generale della crescita dell’economia nazionale".

Per il 43,6% degli intervistati è "alto" il tasso di interesse applicato al proprio prestito, mentre soltanto il 35,7% lo ritiene adeguato. Il 42,5% degli italiani non è per niente convinto che "le banche siano sensibili nei confronti delle necessità delle famiglie" e il 38% si dice poco convinto. Per contro, l’83,8% è molto (53,3%) o abbastanza (30,5%) d’accordo nel ritenere che gli istituti diano credito solo a chi dimostra già di possedere beni e l’88,3% giudica le banche molto (48,2%) o abbastanza (40,1%) "esose".

L’opinione che il sistema bancario "raccolga i risparmi dei piccoli per finanziare i grandi" trova molto d’accordo il 41% e abbastanza d’accordo il 33,2%. Da rilevare inoltre la diffusa convinzione che "le banche diano credito ai potenti indipendentemente dalle garanzie", sulla quale converge il 72,4% delle risposte (il 44,6% si dice "molto" d’accordo e il 27,8% "abbastanza" d’accordo). Il campione si divide in maniera significativa solo davanti alla domanda se le banche siano "importanti perchè finanziano le imprese e la crescita dell’economia": se il 46,2% si dichiara abbastanza (31,5%) o molto (14,7%) convinto, il 45% si dice poco (30,2%) o per niente d’accordo (14,8%).

Sul fronte dei servizi offerti, il 48,8% dei cittadini li giudica sufficienti e il 13,5% dà una valutazione "positiva".

Soltanto il 23,2% si dice molto (8,7%) o comunque insoddisfatto (14,5%). I dati sembrano essere in linea rispetto a quelli rilevati nel 2010 con una variazione però al ribasso per la sufficienza (era al 52,1%), così come per i giudizi negativi (21,2% nel 2010) o del tutto negativi (5,1%). Stabile, invece, il numero di quanti esprimono un giudizio positivo.

Gli italiani dimostrano anche di affidarsi poco alle assicurazioni. Solo il 21,1% ha stipulato una polizza sanitaria e il 19,3% una pensione integrativa (19,3%). La casa risulta assicurata solo nel 22,7% dei casi, superata dal numero di assicurazioni stipulate sulla vita (25,5%). È invece l’auto a raggiungere la quota più elevata di polizze stipulate contro il furto (42%). Per quanto riguarda i costi, il 64,9% degli intervistati ha indicato un aumento dell’Rc auto.


FARA: "GRAVE CRISI POLITICA ED ECONOMICA" - "L’Italia sta vivendo, insieme, una grave crisi politica istituzionale, economica e sociale". È la denuncia di Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes, in occasione della presentazione del Rapporto Eurispes 2011.

L’appello di Fara, a una "classe dirigente generale" è di "ri-prendere in mano il destino e il futuro dell’Italia". Anche perchè "la nostra classe dirigente attuale, a differenza di quanto accade in altri paesi, non è nè coesa nè solidale.

Possiede una grande consapevolezza di sè e nessuna consapevolezza dei problemi generali", ed è "più semplicemente il frutto della tradizione feudale che connota ancora il nostro Paese". "Burocrazia ottocentesca" e "nuove forme di corruzione" sono per Fara i principali mali del paese, questioni che tuttavia "non trovano spazio nell’agenda della politica, eppure segnano in profondità la qualità del rapporto tra cittadini e Istituzioni". Nello scenario attuale vi sono, secondo il Presidente dell’Eurispes, almeno due "bombe innescate": "Abbiamo fatto terra bruciata intorno alle Istituzioni repubblicane e ora i nodi vengono drammaticamente al pettine. Nelle scorse settimane molti hanno fatto finta di non accorgersi che l’Italia ha rasentato uno scontro istituzionale che avrebbe potuto avere esiti devastanti.

Infatti, piaccia o non piaccia, gli elettori sono convinti di aver nominato con il loro voto il Capo del Governo, mentre la Costituzione affida questo compito al Presidente delle Repubblica e alla successiva ratifica parlamentare. È evidente il pasticcio pericoloso nel quale è stato trascinato il Paese dagli improvvisati riformatori che hanno smantellato allegramente il sistema della Prima repubblica senza sostituirlo con regole chiare e certe. Ciò di cui siamo certi è che questa situazione non potrà protrarsi ancora a lungo.

Viviamo in una sorta di terra di nessuno della quale non si intuiscono i confini e viviamo alla giornata nella speranza che non accada il peggio". A questo punto "non ci sono più margini. O si ha il coraggio di fare due passi indietro ripristinando ciò che è stato maldestramente abolito o di farne uno in avanti chiudendo il cerchio e definendo una volta per tutte l’assetto della nostra Repubblica". La seconda bomba "è quella del debito pubblico, del quale si parla ormai da anni come di un parente con una malattia cronica con la quale si può tutto sommato convivere. E invece anche in questo caso il tempo è finito". Fortunatamente, conclude Fara, "la storia tormentata del nostro Paese ci ha insegnato che gli italiani riescono a trovare, nei momenti più difficili, le energie e le risorse necessarie per rialzarsi e ripartire": "L’uscita c’è. Bisogna avere il coraggio di superare la curva e il portale d’uscita, per lontano che sia, apparirà".

 


AUMENTATA CORRUZIONE - La corruzione in Italia c’è come ai tempi di Tangentopoli: anzi, per il 51,7% degli italiani è addirittura aumentata, secondo le rilevazioni diffuse da Eurispes. Quanto a quali siano i settori del Paese a maggior rischio sono la politica e i partiti per il 46,6% degli italiani e la Pubblica amministrazione per il 29,9%.

UNITA' VALORE DA DIFENDERE - Nell’anno che segna il 150mo anniversario della proclamazione dell’Italia unita, oltre due italiani su tre pensano ancora che l’unità nazionale sia un valore da difendere e anzi da rafforzare, di fronte a numerose disuguaglianze. Il Rapporto Italia 2011, presentato oggi dall’Eurispes, rileva che per il 67,5% dei cittadini l’Italia è un Paese in parte ancora diviso, ma l’unità nazionale è un valore da difendere. Il 14,9% ritiene invece che il Paese sia frammentato con troppe culture al suo interno e per questo non sarà mai uno Stato unitario; per il 9,4% l’Italia è una nazione coesa, mentre per un 2,1% sarebbe stato meglio che non vi fosse stata alcuna unità. Gli abitanti delle Isole sono i più ottimisti rispetto alla coesione del Paese (12,9%) e quelli del Sud i più convinti del valore dell’unità nonostante le sue divisioni interne (74,1%). A destra e al centro-destra si collocano i più convinti della coesione del Paese (rispettivamente 17% e 14%) rispetto a quelli di sinistra (8,6%) e centro-sinistra (5,1%). Ben il 78,4% di quanti si riconoscono nel centro-sinistra, il 72,7% della sinistra ed il 70,2% del centro sottolineano che l’Unità d’Italia rappresenta un valore da difendere nonostante le divisioni ancora presenti.

La quota maggiore di chi ritiene che sarebbe stato meglio che non vi fosse stata alcuna unità si polarizza tra la destra (6,4%) e la sinistra (2,3%). Italia in bilico tra unità e frammentazione, dunque: per verificare l’attuale diffusione, tra i cittadini italiani, degli stereotipi legati all’idea di Nord e Sud, l’Eurispes ha sondato la loro opinione in merito ad una serie di affermazioni. Le convinzioni più radicate sono quelle relative alla generosità (è abbastanza o molto d’accordo il 71,5%) ed alla creatività dei meridionali (67,8%). La maggioranza del campione crede anche che i settentrionali siano razzisti (52,5%), ma che abbiano maggiore senso civico (51,8%) e pensino solo al lavoro (50,1%). Un terzo dei cittadini considera i meridionali imbroglioni (32,4%). Meno diffusa l’idea secondo cui i settentrionali sono molto aperti (23,6%) ed i meridionali non hanno voglia di lavorare (25,1%, comunque uno su 4). Rispetto alla rilevazione effettuata dall’Eurispes nel 2003, è diminuita la quota di chi ritiene che i settentrionali pensino esclusivamente al lavoro (era il 57,8%), siano molto aperti (35,1%). Sono invece più numerosi oggi che nel 2003 quanti accusano i settentrionali di razzismo (era il 45,7%). È rimasta invariata la quota di chi condivide l’opinione che i meridionali non abbiano voglia di lavorare (nel 2003 era il 24,3%).

FEDERALISMO: PIU' I CONTRARI - Gli italiani sono sempre meno convinti dell’applicazione del federalismo nel nostro paese: prevalgono i contrari, e in sei anni i favorevoli sono diminuiti del 9%.

Secondo il Rapporto Italia 2011, presentato oggi dall’Eurispes, i cittadini che si dicono favorevoli all’introduzione del federalismo sono il 26,9%. Il 48,6% si dice invece contrario, ma un cospicuo 24,5% non ha saputo esprimere un giudizio al riguardo. Nell’indagine realizzata dall’Eurispes nel 2005 la percentuale degli italiani favorevoli al federalismo risultava più elevata, il 36,2%, mentre i contrari erano solo il 38,6% ed erano numerosi anche allora gli incerti. Sono i giovani dai 18 ai 34 ad essere meno favorevoli all’introduzione del federalismo, mentre gli adulti dai 35 ai 64 anni sono i più favorevoli. Approva infatti il federalismo il 21,3% dei 18-24enni, il 22,3% dei 25-34enni, il 31,4% dei 35-44enni, il 30,8% dei 45-64enni, il 26,3% degli ove65. Minori differenze si evidenziano in relazione all’area geografica di residenza, con l’eccezione prevedibile del Sud, dove la percentuale di chi è favorevole al federalismo risulta inferiore alla media (20%).

Il Nord non si distingue per un marcato ed esteso consenso all’introduzione del federalismo, nonostante questo sia un "cavallo di battaglia" della Lega che, com’è noto, ha la propria base elettorale fortemente concentrata nelle aree settentrionali del Paese (i "sì" raccolgono il 29,6% al Nord-Ovest e il 26,9% al Nord-Est).

4 SU DIECI DISPOSTI AD EMIGRARE - Il nostro è davvero il Belpaese? Quasi due terzi dei cittadini (62,9%) sostengono che vivere in Italia sia una fortuna, contro il 33,9% di quelli che la considerano una sfortuna. Eppure 4 italiani su 10 si dicono disponibili a emigrare, soprattutto in Francia, Usa e Spagna. È quanto rileva il Rapporto Italia 2011 dell’Eurospes, secondo cui gli italiani cominciano a disamorarsi del nostro paese: rispetto al 2006 la percentuale di quanti ritengono che vivere in Italia sia una fortuna si è leggermente affievolita (-4,7%). Ad essere maggiormente contenti di poter vivere in Italia sono gli anziani che hanno più di 65 anni (72,2%), mentre a rispondere che vivere in Italia è una sfortuna sono soprattutto i giovani fino a 34 anni (il 39,4% dei 25-34enni e il 37,1% dei 18-24enni). Posti di fronte ad una serie di indicatori che illustrano i punti di forza della Penisola, il 26,8% degli italiani considera la libertà di opinione e di espressione quale fortuna principale del nostro Paese. La seconda fortuna sarebbe poi la tradizione artistico-culturale per cui il Paese è noto (20,8%). In terza posizione il clima mediterraneo (17,3%) e le bellezze naturali (16,6%). La simpatia della gente (6%) e la buona cucina (5,8%) occupano il quinto e il sesto posto. Ultima posizione per il benessere economico (3,1%). Il 29,1% indica come motivi per i quali è una sfortuna vivere in Italia la precarietà lavorativa, il 20,6% riscontra una mancanza di senso civico, il 19,1% giudica troppo pesante il livello di corruzione, il 15,2% attribuisce la colpa alla classe politica, l’8,6 alle condizioni economiche generali, il 3,9% sostiene che il tasso di criminalità sia troppo elevato.

Tanto che la possibilità di andare a vivere in un altro paese viene accolta ormai dal 40,6% degli intervistati (era il 37,8 nel 2006). Disposti a cambiare paese sono soprattutto gli uomini (42,9% contro il 38,4% delle donne). Se proprio dovessero lasciare la Penisola, la maggior parte degli italiani (16,5%) andrebbe in Francia, negli Stati Uniti (16,1%), in Spagna (14,3%), in Inghilterra (11,9%) e in Germania (10,1%), mète da sempre preferite dai connazionali emigranti. Tra le motivazioni che spingerebbero gli italiani a preferire un altro paese dove vivere sono indicate al primo posto le maggiori opportunità di lavoro (35,7%), seguite, a più di 20 punti di differenza, dalle maggiori opportunità per i figli (12,7%).

Seguono poi una maggiore sicurezza (9,1%), un clima politico migliore (7,8%), maggiore libertà di opinione e di espressione (7,5%), il costo minore della vita (7,5%), un clima culturale più vivace (6,9%), semplice curiosità (5,6%) e un maggior contatto con la natura (4,3%).

FAVOREVOLI ALL'EUTANASIA - Gli italiani sono ancora in larga parte favorevoli a eutanasia e testamento biologico, ma cala leggermente la percentuale di consensi, e crescono i dubbiosi e i contrari. Lo rileva il Rapporto Italia 2011 dell’Eurispes, dal quale emerge che i due terzi del campione intervistato (66,2%) si dice favorevole alla pratica dell’eutanasia, facendo registrare un -1,2% rispetto al 2010, in cui era il 67,4% a schierarsi in favore della pratica, e un -1,8% rispetto ai dati raccolti nel 2007 (68%). Rispetto al 2010 aumenta nel 2011 la quota dei contrari passando dal 21,7% al 24,2%. Allo stesso tempo diminuiscono gli indecisi (dal 10,9% al 9,6%). A rispondere di essere favorevole alla possibilità di concludere la vita di un’altra persona, dietro sua richiesta, ricorrendo alla pratica dell’eutanasia è il 67,9% degli uomini, contro il 64,6% delle donne, mentre, invece, queste ultime si dicono contrarie nel 26% dei casi, contro il 22,3% degli uomini che fanno la stessa dichiarazione (con una differenza del 3,7%).

Tra i favorevoli all’eutanasia il 75,3% appartiene alla classe d’età dei 18-24enni, il 70,9% a chi ha un’età compresa tra i 25 e i 34 anni, il 67,5% agli adulti che hanno un’età che va dai 35 ai 44 anni, il 67,7% ai 45-64enni e il 53,7% a chi ha 65 anni e oltre. L’appartenenza politica fa registrare un picco dell’82% di favorevoli alla pratica della "buona morte" a sinistra e soltanto l’11,7% dei contrari. Chi non si riconosce in alcuna posizione politica afferma di essere d’accordo per il 69,6% e contrario per il 19,4%. Il 48,6% degli italiani pensa che l’eutanasia venga praticata ugualmente negli ospedali: se nel 2007 a rispondere "sì" è stato il 26,3% degli italiani, nel 2010 tale percentuale è salita al 45,2% (+18,9%) e ancora al 48,6% nell’anno in corso (+22,3% rispetto al 2004 e +3,4% rispetto al 2010). A proposito di una legge che istituisca in Italia il testamento biologico, già nel 2007 si diceva favorevole il 74,7% degli italiani (contro il 15% dei contrari), diventati l’81,4% nel 2010 (contro il 10,9% dei non favorevoli). I dati di quest’anno dimostrano però un’inversione di tendenza, dal momento che rispetto all’anno precedente coloro che si dicono favorevoli al testamento biologico sono diventati il 77,2%, facendo registrare un calo del 4,2%, mentre sono aumentati al 14,2%, il 3,3% in più nel giro di un anno, coloro che si schierano contro la sua istituzione a mezzo di un’apposita legge. La maggior parte di coloro che sono favorevoli al testamento biologico appartiene alla sinistra (87,5% contro il 7,8% dei contrari), seguiti da chi non ha alcuna appartenenza politica (80,1%), da quanti si riconoscono nei valori del centro-destra (76%), del centro-sinistra (75,6%) e del centro (64,9%).

 

USURA, CAMPANIA E CALABRIA PIU' A RISCHIO - Il 36,8% delle province a rischio usura classificato come "medio" (valore IRU-Indice Rischio Usura 40-60) fanno parte del delle regioni del Mezzogiorno; stessa percentuale di province nel Centro Italia, mentre le province del Nord-Ovest rappresentano il 26,3% del totale. È quanto fotografa l’Eurispes nel "Rapporto Italia 2011".

Alla classe di rischio "basso" (valore IRU 20-40) appartengono prevalentemente le province del Nord-Ovest e Centro Italia (in entrambi i casi il 38,9% del totale), seguite da quelle del Nord-Est (22,2% del totale). Alla classe di rischio "molto basso" (valore IRU 0-20) appartengono esclusivamente province del Nord Italia, con una preponderanza assoluta del Nord-Est sul Nord-Ovest (rispettivamente 73,7% e 26,3% del totale).

CALABRIA E CAMPANIA: sono le regioni con il più alto Indice IRU medio provinciale (rispettivamente 89,5 e 81,3) e appartengono entrambe alla classe di rischio "molto alto" (IRU 80-100). Nella classe di rischio "alto" (IRU 60-80) tutte le regioni appartengono al Sud (con valori IRU medi provinciali compresi tra il 68,1 della Puglia e il 79,9 della Basilicata) e alle Isole (valore IRU medio provinciale pari al 61,2 in Sardegna e al 69,2 in Sicilia). Al ridursi della classe di rischio usura aumenta la presenza di regioni del Nord Italia, in cui i valori medi provinciali rilevano: un rischio "basso" (IRU 20-40) in Piemonte (37,8), Valle d’Aosta (27,9), Friuli Venezia Giulia (24,7) e Veneto (20,5); un rischio "molto basso" (IRU 0-20) in Lombardia (19,9), Emilia Romagna (15,6) e Trentino Alto Adige (0,1).

IL RISCHIO NELLE PROVINCE. La classifica rileva la presenza della totalità delle province della Calabria (ad eccezione di Catanzaro, IRU 76,8) nella classe di rischio "molto-alto", con valori Indice compresi tra 87,3 e 100 (rispettivamente Cosenza e Crotone). Sempre in questa classe troviamo le province di Caserta (IRU 90,8), Benevento (IRU 87,2), Avellino e Matera (IRU 82,9). Nella classe di rischio usura "alto" (IRU 60-80) si riscontra una percentuale significativa di province della Sicilia (9 su 25, 36% del totale, con valori Indice compresi tra 61,0 di Palermo e 79,9 di Enna); della Puglia (5 su 25, 20% del totale, con valori Indice compresi tra 60,1 di Bari e 73,3 di Foggia). All’estremo opposto della classifica, ovvero nella classe di rischio "molto basso" (IRU 0-20) si riscontra: la minore vulnerabilità in assoluto delle province di Trento(0) e Bolzano (0,2); la presenza di province appartenenti ad altre tre regioni, del Nord-Est (Veneto, Emilia Romagna) e del Nord-Ovest (Lombardia). In particolare, le province dell’Emilia Romagna rappresentano il 42% del totale, seguite dalle province della Lombardia e del Veneto (rispettivamente 26,3% e 21% del totale).


NAPOLI RISCHIO CRIMINALITA' - La ‘maglia nera' del territorio provinciale più permeabile ai tentacoli della criminalità organizzata spetta alla provincia di Napoli, con un punteggio pari a 66,9. A seguire, secondo il "Rapporto Italia 2011" dell’Eurispes, sono la provincia di Caserta (57,4 punti), Foggia (53,4 punti), Catania (52,7 punti) e Vibo Valentia (48,5).

Sempre ai primi dieci posti si collocano Crotone (38,3), Catanzaro (36,1), Bari (35,9), Trapani (35,6). In posizione intermedia per grado di permeabilità si trovano Siracusa (34,8), Palermo (34), Brindisi (33,5) e Messina (33,2).

Agli ultimi dieci posti, sulle 24 province considerate, Benevento (30,3), Salerno (30,1), Agrigento (27,9), Taranto (27,8), Ragusa (27,8), Avellino (27,3), Cosenza (26), Caltanissetta (25,8), Enna (24,5) e, infine, Lecce (22,4).

L’analisi ha preso in esame il rischio di penetrazione mafiosa cui sono esposti i 24 territori provinciali nelle 4 regioni maggiormente interessate (Campania, Puglia, CVCalabria e Sicilia). A tal fine è stato creato uno stimatore ad hoc, l’indice IPM (Indice di Penetrazione Mafiosa), in grado di offrire alcune interessanti indicazioni sui recenti sviluppi del fenomeno e le dimensioni che lo stesso sta assumendo.

È stato predisposto un sistema di attribuzione dei punteggi sulla base di indici che scaturiscono dalla valutazione quantitativa dei reati commessi (su base 2009) ed assimilabili alle associazioni mafiose: attentati, stragi, ricettazione, rapine (in banca, negli uffici postali, a rappresentanti di preziosi, a trasportatori di valori bancari e postali, ad automezzi pesanti trasportanti merci), estorsioni, usura, sequestri di persona a scopo estorsivo, associazione a delinquere e di tipo mafioso, riciclaggio e impiego di denaro, contrabbando, stupefacenti (produzione e traffico, spaccio, associazione per produzione o traffico di stupefacenti, associazione per spaccio di stupefacenti) e prostituzione (sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, minorile e non).

OSPEDALI FATISCENTI - Tempi d’attesa interminabili, strutture ospedaliere fatiscenti e carenti, ticket troppo costosi: gran parte degli italiani, quasi due su tre, si dice insoddisfatto dei servizi offerti dal nostro sistema sanitario, pur apprezzando la qualità e la competenza di medici e infermieri.

È la fotografia scattata dal Rapporto Italia 2011 dell’Eurispes. Il livello di insoddisfazione, in generale, è molto alto e coinvolge il 61,4% della popolazione, con picchi negativi che superano il 70% nel Meridione. Le lamentele maggiori riguardano i tempi di attesa negli ospedali (79,4%), seguiti dalla scarsa qualità delle strutture ospedaliere (66,1%), il costo del ticket (60,3%) e l’assistenza ospedaliera (56%). Una lancia viene spezzata solamente quando ad essere chiamata in causa è la professionalità degli addetti ai lavori, medici e infermieri, che fanno registrare rispettivamente un indice di gradimento che si attesta a quota 64,2% per i primi e 60,2% per i secondi. A proposito dei casi di malasanità che interessano alcuni ospedali, ad essere tirati in ballo sono per quasi la metà del campione (47%) un insieme di fattori, dalle norme igieniche al sovraffollamento, dai medici ai tagli alla sanità, agli infermieri. E a conferma della scarsa fiducia accordata agli ospedali italiani diminuisce del 10,1% rispetto al 2010 la preferenza accordata alle strutture pubbliche piuttosto che alle cliniche private.

Le liste d’attesa, in particolare, risultano intollerabili: appena il 12,5% si ritiene abbastanza soddisfatto dei tempi di attesa necessari a risolvere i loro bisogni ospedalieri sono il 12,5%, cui si aggiunge un 5,4% di quanti dichiarano di essere estremamente soddisfatti, per un totale di pareri positivi che si attesta a quota 17,9%. A lamentare una totale insoddisfazione è invece il 44,9% degli intervistati, seguiti da un 34,5% che si dice essere poco soddisfatto, facendo registrare un totale che sfiora i quattro quinti degli italiani (79,4%). Negativo anche il giudizio sugli ospedali, carenti per due terzi dei cittadini. È positiva invece l’opinione sulla competenza del personale medico: il 64,2% dei cittadini si dichiara abbastanza (52,1%) e molto (12,1%) soddisfatto della preparazione dei medici, valore che tuttavia si attestava nel 2010 al 71,6%, facendo registrare un calo del 7,4%. I critici sono invece il 33% che, se messi a paragone con lo scorso anno (24,8%), mostrano come il dato sia cresciuto. Un altro dato positivo riguarda la valutazione relativa alla professionalità del personale infermieristico: il 60,2% esprime infatti gradimento verso la categoria e il suo operato, contro il 37,5% di quanti si dicono insoddisfatti. Infine, i ticket risultano troppo esosi per 6 cittadini su 10, un malcontento cresciuto del 5,2% in un anno.

ITALIANI MASCHI REFRATTARI A LAVORI DOMESTICI - Disponibili a fare la loro parte, apertissimi (a parole) alla parità di diritti e doveri nelle faccende domestiche, ma alla prova dei fatti refrattari, ora come sempre, a pentole, ramazze e tavole da stiro. È la fotografia dei "casalinghi" italiani scattata dall’Eurispes nel rapporto Italia 2011. Un compito di cui spesso (35,6%) o sempre (25,8%) gli uomini italiani si fanno carico tra le mura domestiche è quello di raccogliere il sacchetto dei rifiuti e portarlo fuori. A tavola, al massimo gli uomini stendono la tovaglia (53,2%), mentre il 32,9% prova a cimentarsi ai fornelli, ma solo come hobby: solo per il 7,9% del campione si tratta di un’abitudine fissa. Leggermente inferiore appare la percentuale di coloro che, dopo il pranzo e la cena, sono disposti ad indossare grembiule e guanti e lavare i piatti (31,7%). Andare al supermercato per fare la spesa rientra tra quelle attività che gli uomini italici fanno con piacere (46,8%). Il "sesso forte" sembra invece essere meno propenso a rimboccarsi le maniche quando si tratta di occuparsi delle faccende domestiche che hanno a che fare con ordine e igiene: solo il 23,7% sostiene di dedicarsi spesso (15,6%) o sempre (8,1%) alle pulizie, sebbene il 27,5% di essi dichiari di riassettare gli ambienti mettendo in ordine la casa. Più alta è la frequenza che testimonia l’impegno profuso dagli uomini nel rifare il letto (33,2%). In questo quadro non sorprende che sia solo il 19,4% degli uomini ad occuparsi abitualmente di fare la lavatrice. Tasto ancora più dolente è la sapiente arte dello "stiro" nella quale appena il 12,8% dichiara di essere un esperto. Ma c’è una mansione, tra tutti compiti domestici proposti agli intervistati, in cui gli uomini dicono di andare davvero forte: le riparazioni. Per questo item di risposta le percentuali salgono infatti al 50,5% tra coloro che assolvono tale incombenza spesso (25%) o sempre (25,5%). A parole, tuttavia, gli uomini sono pronti a tutto: il 96,6% è convinto che non avrebbero alcun problema a cimentarsi con pentole e mestoli. Quanto alla domanda relativa alla possibilità di ripartire equamente i compiti che riguardano la cura dei figli, la maggioranza si dichiara abbastanza (34,2%) o molto (51,4%) pronto a farsi carico di tutti i doveri ad essa connessi. Inoltre, buona parte, il 45,8% in totale, considera che la donna non dovrebbe mai rinunciare alla sua crescita professionale, neppure quando ha dei figli. Significativamente, comunque, il 62,3% del campione sostiene che vi siano faccende domestiche per le quali le donne sono più portate.


ITALIANI ANIMALISTI- Gli italiani sono decisamente un popolo di animalisti: amano (e se ne circondano) cani e gatti, mentre in stragrande maggioranza odiano la caccia e l’utilizzo di pellicce. È quanto emerge dal rapporto Italia 2011 dell’Eurospes. Per 87,2% degli italiani, secondo l’Eurispes, quello nei confronti degli animali è un sentimento positivo: per il 35,9% si tratta di un sentimento basato sul rispetto. Il restante 12,8% si schiera su posizioni meno entusiastiche.

Così, se il 7% prova indifferenza, gli altri evitano di instaurare qualsiasi tipo di rapporto con un animale perchè ne hanno paura (3%) o ne sono infastiditi (2,7%). Nel nostro Paese, sono il 41,7% gli italiani che hanno in casa un animale domestico. In molti casi si tratta di un unico beniamino (29,8%), mentre tra quanti possiedono più di un animale domestico, le percentuali maggiori di intervistati sostengono di ospitare in casa da due (30,9%) a tre (13%) ‘pets’. Il 48,4% di chi possiede un animale, ospita nella propria casa un cane, mentre nel 33,4% dei casi la cuccia è occupata da un gatto. I pesci o le tartarughe, come animali da compagnia, sono indicati nel 4,9% e nel 4,7% dei casi. Volatili (4,1%), conigli (2,1%), criceti (1,6%) e rettili (0,8%) sono molto meno presenti. La spesa media annua per il veterinario e gli eventuali farmaci necessari alla cura dell’animale non superano nella maggior parte dei casi (91,5%) i 200,00 euro. Particolarmente elevata è la percentuale di quanti spendono addirittura meno di 100 euro l’anno (65,2%) e supera di poco il 26% quella di coloro che investono tra i 101 e i 200 euro (26,3%). Molti sono infatti gli italiani che scelgono di provvedere personalmente alla pulizia dell’animale che hanno in casa, eliminando totalmente i costi inerenti ad essa (65,8%). Cani e gatti che possono permettersi di andare dal "parrucchiere" più volte in un anno costano ai padroni tra i 101 e i 150 euro (2,8%), fino ad arrivare, nell’1,6% dei casi, ad una spesa che supera i 150 euro nell’arco di 12 mesi. La pesca è percepita da molti come uno sport o un passatempo rilassante, e non sembra essere considerata dai più una pratica da evitare o quanto meno da limitare (48,1%). Al contrario la caccia, sulla quale esistono da tempo alcune restrizioni, non riscuote lo stesso consenso: la percentuale di quanti la considerano un’abitudine accettabile scende al 17,8% (abbastanza: 11,7%; molto: 6,1%).

Non approvano per niente la caccia più della metà del campione (56,6%) e il 23,9% afferma di approvarla "poco". La percentuale di quanti valutano positivamente il fatto di indossare capi di pelliccia supera appena il 14,1%. La disapprovazione raccoglie l’83% delle risposte. Solo il 10,1% degli intervistati, inoltre, giudica positivamente l’utilizzo degli animali all’interno degli spettacoli circensi.