L'arrivo. Luogo e ora del ritrovo e soprattutto massima puntualità. La partenza è prevista per le 7.50 da piazza Aldo Moro a Bari. Destinazione: la caserma 'Stella' di Barletta, sede dell'82° reggimento fanteria 'Torino', appartenente alla brigata corazzata 'Pinerolo'. Arrivo nel capoluogo pugliese con un giorno di anticipo, in borsa una cartina della città e la sveglia. La notte trascorre insonne per cercare di rubare al tempo la dimensione del giorno che verrà. Alle prime luci dell'alba balzo giù dal letto, pronta per iniziare quest'avventura. Accompagnata dalla brezza mattutina, mi incammino verso il luogo dell'appuntamento, dove si trova ad attendermi un mezzo dell'Esercito. Lungo la strada, 'respiro' le tradizioni della città attraverso il profumo del pane appena sfornato e i richiami degli ambulanti di un mercato rionale. All'improvviso, scorgo in lontananza un pullman verde (sembra proprio un bus militare), così accelero il passo e rinuncio alla colazione al bar. Raggiungo in anticipo piazza Aldo Moro e man mano arrivano anche i miei 'compagni di viaggio'. Ad aspettarci troviamo Giovanna Ranaldo, organizzatrice dell'iniziativa e specializzata in giornalismo 'embedded', e il maggiore Domenico Occhinegro (addetto alla Pubblica informazione della brigata 'Pinerolo'), che ci guideranno per l'intera esperienza. Seguono l'appello e la partenza a bordo del pullman dell'Esercito. Qualcuno raggiunge la caserma con la propria auto. Volti nuovi e volti conosciuti. In tutto siamo in ventiquattro, zaino in spalla e taccuino alla mano. E' così che, in meno di un'ora, ci pare di trovarci a 'tu per tu' con la guerra. Catapultati per un giorno in un possibile scenario bellico. E non serve molta fantasia per immaginare di non essere più in Italia: il carro armato non è più l'immagine di un film e l'Afghanistan, il Libano, la Libia non sono sembrati mai così vicini. Da questo momento in poi vedremo esclusivamente uomini in mimetica, armi, e mezzi militari.

Il 'corso in giornalismo e comunicazione in aree di crisi'. 'Prove tecniche di guerra': così ho ribattezzato quest'esperienza vissuta tra la caserma 'Stella' di Barletta e il poligono di tiro nella località 'La Schinosa' a Trani. Esercitazioni e incontri con esperti per formare - dal punto di vista pratico e comunicativo - giornalisti, fotoreporter e militari chiamati ad operare nelle aree di crisi. L'occasione è stata offerta dal corso nazionale in 'Giornalismo e comunicazione in aree di crisi' organizzato dall'Ordine dei Giornalisti della Puglia con la collaborazione dell’Ufficio Pubblica Informazione dello Stato Maggiore della Difesa italiana. “Un corso – come spiega la direttrice Giovanna Ranaldo – che ha lo scopo di offrire gli strumenti utili alla corretta interazione tra media e Difesa, anche nell’ambito multinazionale delle aree di crisi dove oggi sono impegnati i militari italiani. Non a caso per i giornalisti è prevista anche un’attività di approfondimento nel teatro operativo del Kosovo per analizzare gli aspetti pratici delle missioni Kfor (Nato) ed Eulex (europea)”.

L'accoglienza. Ad accoglierci nella caserma 'Stella' (che conta un organico di circa 400 militari, di cui il 15 per cento di sesso femminile), c'è il colonnello Adriano Graziani, comandante dell'82° reggimento fanteria 'Torino' di stanza a Barletta, oltre agli stessi militari da sempre impegnati nei teatri operativi più caldi: l'Albania, la Bosnia, il Kosovo, l'Afghanistan.

Il generale Torres. La fase pratica, che ci porterà anche nel ventre di sofisticati mezzi da combattimento, è preceduta dall'incontro con il generale di divisione Michele Torres, capo reparto Affari generali dello Stato Maggiore dell'Esercito. Il generale, che è responsabile della Pubblica informazione e comunicazione dell'Esercito, illustra come si è evoluta e strutturata la comunicazione militare al fine di “avvicinarsi e curare il rapporto con la società civile”, sottolineando le iniziative di formazione e qualificazione del personale militare impiegato nei settori della comunicazione e della pubblica informazione. Un'occasione per ricordare anche “il ruolo di primo piano svolto dall'Esercito italiano sulla scena internazionale, dal Libano ai Balcani, fino all'Afghanistan”.

Il 'Freccia'. E' l'ora della fase pratica. Immediatamente ognuno di noi viene dotato di elmetto e giubbotto antiproiettile. Si passa all'imperativo e al rigore: “Bisogna indossarli fino ad ordine contrario”. Scattiamo tutti sull'attenti, ma dallo sguardo dei 'miei compagni d'avventura' percepisco i miei stessi pensieri: “Come fare a muoversi con addosso un peso di circa nove chili?”. La mattinata calda e la scarsa conoscenza dell'imbracatura non aiutano certamente a familiarizzare con il nuovo corredo. E sono subito scene da 'filmografia fantozziana'. Per fortuna i 'padroni di casa' smorzano il nostro imbarazzo con un sorriso. E' tutto organizzato alla perfezione: ognuno di noi è 'affidato' a un militare che è incaricato di supportarci nella fase della 'vestizione'. Dopo poco si formano due squadre, la blu e la bianca. Ognuna sarà addestrata per le attività principali che si possono svolgere nelle aree di crisi. Guerra e non guerra. Non siamo più solo i giornalisti armati di penna e taccuino. Con il nuovo equipaggiamento è il momento di sperimentare il 'Freccia', un veicolo blindato medio di ultima generazione, dai comandi completamente digitalizzati: l'82° reggimento fanteria 'Torino' di stanza a Barletta è stato il primo reparto dell'Esercito italiano a ricevere in dotazione i nuovi blindati. Sono attualmente 17 i 'Freccia' impiegati in Afghanistan da una compagnia dell'82° reggimento fanteria 'Torino', in forza alla Task Force Centre che opera nell'ambito della missione 'Isaf'. Il 'bestione' di 28 tonnellate, una sorta di incrocio tra il tradizionale carro armato e un disco volante, è dotato di un cannone, di una mitragliatrice e di otto lancia nebbiogeni ed è in grado di trasportare 11 uomini completamente equipaggiati: un pilota, due operatori in torre e otto fanti nel comparto posteriore. E' un mezzo estremamente veloce: può raggiungere i 105 chilometri orari. Con i componenti della mia squadra attraverso la rampa di accesso posteriore del blindato super-tecnologico e mi sistemo nel vano fanteria. C'è molto buio e benché il veicolo sia dotato di aria condizionata a tratti sembra che manchi il respiro. Non è possibile fare grossi movimenti anche a causa delle cinture di sicurezza. Il giubbotto antiproiettile e l'elmetto fanno il resto. Ma noi resistiamo e dopo una prima fase di ambientamento partono a raffica le domande. L'entusiasmo di Paolo si intreccia con la curiosità di Cristina e Sara, la pacatezza di Alessandro e la tranquillità di Sergio sono esempio per noi. E il pensiero va a tutti i soldati che fanno di quella piccola stiva blindata la loro 'casa-viaggiante'. Perché le missioni non implicano solo numerosi rischi, ma anche tanta fatica. Come quella di muoversi con un'imbracatura così pensante, di 'friggere' sotto un elmetto arroventato, o di alimentarsi per mesi interi con razioni di cibo in scatola.

Il 'Soldato futuro'. Fuori dai 'Freccia' non manca una panoramica sul 'Soldato-futuro', progetto dell'Esercito italiano che prevede equipaggiamenti individuali innovativi e digitalizzati. In pratica, secondo questo progetto, il soldato avrà una dotazione di armi, munizioni, sensori e tuta di combattimento super-tecnologica. Il nuovo modello di soldato è collegato per via telematica al comando: è dotato di palmari, visori notturni e microtelecamere, in grado di inviare alla base in tempo reale il video fedele di quanto accade davanti ai suoi occhi e di aggiornare costantemente il campo di battaglia.

Il poligono di tiro. Poco prima di mezzogiorno si parte, diretti al poligono di tiro in località 'La Schinosa' a Trani. Qui, il sergente dell'82° reggimento fanteria 'Torino', Michele Pellegrini, illustra le potenzialità di un sofisticatissimo visore notturno binoculare da fissare sull'elmetto, in grado di captare quel campo di luce che il nostro occhio non può vedere. Potenzialità testata sul campo da tutti i corsisti attraverso un percorso ad hoc.

La 'razione k'. Tra la spiegazione e l'attività pratica, arriva il momento del rancio del soldato e la cosiddetta 'razione k' cattura immediatamente la curiosità di noi ospiti. Nell'occasione si condividono pasta e fagioli, ravioli e macedonia in barattoli di latta, tonno, salatini e i biscotti (c'è anche il liquore 'cordiale'). Sono gli alimenti che generalmente si trovano nelle scatoline distribuite a colazione, pranzo e cena. All'interno ci sono, inoltre, posate di plastica, pastiglie per disinfettare l'acqua, fibra da assumere in pillole, tavolette combustibili, fiammiferi e una confezione monouso per l'igiene dentale. Non manca il fornellino per riscaldare le pietanze. “E' possibile mangiare gli stessi cibi per più volte di seguito – esclama uno dei militari – così succede che scambiamo gli alimenti tra noi e spesso anche con gli americani'. Un'affermazione che ricorda ai soldati, ma anche a tutti noi, di essere in guerra e non a fare un picnic all'aperto.

Il 'Lince'. Ci attende un'altra scarica d'adrenalina quando arriva il momento di salire sul 'Lince', il blindato che può essere impiegato in ogni ambiente operativo con un equipaggio di quattro militari (compreso il soldato con la mitragliatrice 'in ralla', che vigila attraverso la piattaforma girevole posta sul tetto del mezzo, per prevenire e contrastare le minacce durante il tragitto) e il pilota. Cerco lo sguardo di Alessandro, l'altro passeggero, ma sono immobilizzata dalle cinture di sicurezza e dal resto dell'imbracatura. E in quel momento mi rendo conto ancora di più di quanto diventi fondamentale poter contare sulle proprie forze psico-fisiche nei teatri operativi. Tutto sembra reale a bordo del veicolo, anche se non siamo al fronte dove si rischia la vita e il 'nostro Lince' non solleva nuvole di polvere.

Gli ordigni esplosivi improvvisati. Tutti col fiato sospeso e occhi sgranati quando incontriamo il colonnello Augusto Candido, comandante dell'11° reggimento genio guastatori di stanza a Foggia, che illustra la varietà degli ordigni esplosivi improvvisati (Ied – Improvised explosive device). Una lezione che segna, considerando che gli ordigni sono, ad oggi, la causa principale delle perdite alleate in Afghanistan. Senza dimenticare che rappresentano anche un’arma psicologica, visto che chi va in pattuglia sa perfettamente che potrebbe saltare in aria da un momento all’altro. “In molti casi – spiega il colonnello Candido – si tratta di ordigni a pressione, che esplodono al passaggio dei veicoli. In altri casi vengono fatti esplodere da un comando a distanza, via filo o tramite impulsi. E la tipologia va dagli ordigni più semplici a quelli più sofisticati. Dalla molletta per stendere i panni alla finta colonna di pietre imbottita di esplosivo e posizionata ad hoc sulla strada”.

In campo. Il palpito non si ferma quando il maggiore del genio guastatori Michele Manna, che opera nella bonifica del Basso Adriatico, illustra - in un terreno attiguo al poligono - come funziona uno Ied, mediante un simulatore molto realistico. Contemporaneamente gli uomini di una pattuglia mostrano i comportamenti da seguire nella fase di individuazione di un ipotetico ordigno. Durante la sperimentazione sugli esplosivi scatta il divieto assoluto di fare fotografie e riprese video.

La partenza. E' arrivato il momento dei saluti, restituiamo elmetto e giubbotto antiproiettile. Si riparte di nuovo a bordo del mezzo dell'Esercito alla volta delle nostre tante destinazioni - Milano, Roma, Bari, Foggia, Taranto, Lecce, Potenza - per ritornare, ognuno, alla vita di sempre. Al ritorno i volti sono segnati dalla fatica, ma lo sguardo è acuto come alla partenza. Si torna a casa con la consapevolezza che la guerra non è un gioco e che i nostri soldati rischiano la vita ad ogni istante. “Auguri ragazzi”, ci salutano i militari dell'82° reggimento. E noi rispondiamo facendogli un grosso “in bocca al lupo”.