Roma, 4 agosto 2011 - Commette violenza sessuale il marito ‘puzzolente’ che impone alla moglie rapporti sessuali senza rispettare la richiesta della donna di farsi prima una bella doccia. La Procura della Cassazione ha chiesto e ottenuto il nuovo rinvio a giudizio nei confronti di un pastore siciliano restio all’uso del sapone e solito a fare sesso con la moglie appena rientrato dal pascolo delle pecore, senza provvedere a farsi almeno una rapida toeletta preliminare.

 

Nel 2008 l'uomo, 51 anni, era stato denunciato, processato ma prosciolto dalla Corte di Appello di Catania in quanto "pur essendo la moglie contraria ai rapporti sessuali, perchél’uomo era solito consumarli al rientro dalla propria attività, senza praticare alcuna igiene e pulizia del proprio corpo, finiva poi per accettare volontariamente i rapporti". Alla moglie, restia agli amplessi nauseabondi, il pastore immobilizzava le mani e procedeva nei suoi intenti "senza aderire affatto alle richieste del coniuge di effettuare la necessaria igiene corporale".

 

Ad avviso della Cassazione, quindi, si trattava di rapporti “imposti coattivamente”. “La peculiarità dei motivi del dissenso - hanno rilevato i supremi giudici nella sentenza 30364 bacchettando i colleghi siciliani - non eliminava il dissenso medesimo, per cui i rapporti sessuali, laddove imposti con la forza dall’uomo, erano e restavano violenti”.

 

Ora i giudici catanesi dovranno rivedere il loro verdetto senza fare sconti perchéla contrarietà all’adempimento del debito coniugale, anche se motivata solo dal mancato utilizzo del sapone, rimane pur sempre un bel ‘no’.

 

In primo grado il pastore era stato condannato a nove anni di reclusione, nel 2007, dal Tribunale di Caltagirone che aveva considerato stupro gli assalti sferrati alla povera moglie per lunghi anni, dal febbraio 1992 all’agosto del 2006. Ma poi la Corte di Appello aveva ridotto la condanna ad appena due anni, ritenendolo colpevole solo di maltrattamenti e comportamenti un po’ violenti, facendo sparire la violenza sessuale. Il caso è approdato in Cassazione su ricorso della Procura della Corte di Appello di Catania.