di Gabriele Moroni
NOVI LIGURE (Alessandria), 29 settembre 2011 - SI CHIAMA Erika De Nardo. Ha 27 anni. A fine anno potrebbe sentire il portone del carcere di Verziano, a una manciata di chilometri da Brescia, chiudersi definitivamente alle sue spalle. Erika e Omar, binomio indissolubile negli annali giudiziari come nell’immaginario collettivo. Da quella notte del 21 febbraio 2001 quando Erika e il fidanzato-complice Omar Favaro massacrarono con 97 coltellate la madre di lei e il fratellino Gianluca, 12 anni.

 

Omar, condannato a 14 anni, è stato scarcerato all’inizio di marzo di un anno fa. Erika, sconta una condanna a 16 anni ma con il gioco dei 90 giorni scontati ogni anno per buona condotta potrebbe tornare libera entro il 2011. Di fatto Erika è già libera. Una libertà breve, ma quotidiana. Quasi ogni giorno, ormai da 10 mesi, esce dal carcere per essere accolta in una comunità alloggio. Un luogo protetto, lontano dagli occhi dei giornalisti e dei curiosi. Cautela e precauzioni necessare dopo il diluvio mediatico che si riversò cinque anni fa quando la ragazza uscì per giocare una partita di volley (FOTO) nell’oratorio di Buffalora, nel Bresciano, e fotografie e filmati fissarono la sua immagine, alta, bella, sorridente, i capelli raccolti nella coda di cavallo.

 

E’ cambiata, dicono di lei. Merito di una maturazione naturale e delle sedute di psicoterapia dietro le sbarre. Ha conquistato la laurea breve in filosofia con una tesi su «Socrate e la ricerca della verità negli scritti platonici». Lavora in una cooperativa che si occupa di assemblaggio. Per un po’ si è dedicata anche alla confezione di bandiere. Legge poesie, ascolta la musica di Jay Ax e Robbie Williams. Scrive favole per la figlia di un’amica, una passione che anche Omar aveva coltivato in carcere. Pentimento?

«PENSO — rispondeva tempo fa suor Mirella Roda, che come pochi altri le è stata vicina — che per Erika sia tutto un po’ rimosso». Il settimanale «Panorama» riporta una sua frase: «Mia mamma mi manca da morire. Vorrei tanto che fosse qui con me. Io sono spaventata. Ho perso mia mamma e mio fratello, ancora non riesco ad accettare che non ci siano più». Di notte sogna spesso la vicinanza di Susy, i suoi abbracci, la rassicurazione del suo affetto.
Un sogno in mezzo agli incubi. Come quando si vede entrare, tutta vestita di nero, in una casa dove l’attende un gatto parlante che le dice che quella notte stessa un uomo verrà a prenderla. Erika si sveglia in affanno, piange, ha paura.