Napoli, 2 novembre 2011 - Una nuova tappa nel lungo cammino della battaglia Dirstat contro le violazioni nei Concorsi pubblici. Pubblichiamo, d'accordo col segretario nazionale Pietro Paolo Boiano, un commento dell'avvocato Guglielmo Conca all'ultima importante ordinanza del Tar Campania, sempre in tema di Concorsi e Agenzia delle Entrate.

"Una recente ordinanza della Sez. II^ del T.A.R.Campania (la n. 1537 del 23.09.2011) pronunciata in relazione ad un ricorso giurisdizionale patrocinato dall’Avv. Guglielmo Conca, apre squarci di vera giustizia (e non è certamente poco in un contesto storico quale quello attuale nel quale si assiste inermi alle evoluzioni sempre più politicizzate dei giudici “speciali”).

Sembrerebbe essere questa la vera novella introdotta dal pronunciamento cautelare in discorso. In verità da quest’ultimo conseguono valutazioni di ampio respiro in riferimento a quanto illo tempore introdotto dall’art. 72, comma 11 del Decreto-Legge n. 112/2008, convertito con modifiche prima nella Legge n. 133/08 ed, in prosieguo ulteriormente inciso giusta art. 17, comma 35 novies del D.L. n. 78/2009 come introdotto dalla Legge di conversione, n. 102/2009.

Ebbene, in tale ambito, le Amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del D.Lvo n. 165/2001 venivano (e vengono) facultate a disporre - a mezzo di semplici preavvisi semestrali - la risoluzione anticipata del rapporto di servizio in corso con tutti i dipendenti a tempo indeterminato che avessero un maturato di 40 anni di contribuzione versata. La facoltà in discorso veniva introdotta nel dichiarato intento di ridurre l’onere finanziario gravante sulle PP.AA. in ordine al monte stipendi e monte previdenziale del personale alle loro dipendenze.

Ma qui nasceva la I'anomalia: si trattava di una novella – che seppure animata da evidenti ragioni di riduzione e stabilizzazione della finanza pubblica - costituiva un evidente revirement rispetto alla tendenza di matrice comunitaria di posticipare (anche per le donne) i limiti temporali minimi di entrata in quiescenza. In tale ottica devesi leggere il monito rivolto allo Stato Italiano di equiparare a 65 anni il limite minimo di pensionabilità anche per i lavoratori di sesso femminile.

Si intende alludere all’esito della procedura d’infrazione e consequenziale ricorso promosso innanzi la Corte di Giustizia europea dalla Commissione C.E. contro la Repubblica italiana – causa C-46/07 conclusosi con la sentenza del 13 novembre 2008 con la quale l’Italia è stata condannata “per aver mantenuto in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne contravvenendo al disposto dell’art. 141 del Trattato istitutivo della Comunità europea”.

Ma la predetta facoltà non era esercitatile senza limiti se è vero come e vero che successive circolari interpretative adottate allo scopo precipuo di regolamentare l’esercizio di una siffatta potestà erano state tutt’altro che sibilline nel fare carico alle Pubbliche amministrazioni procedenti di istruire ampi e documentati monitoraggi al fine di verificare se i dipendenti – come individuati in ragione della prescritta anzianità contributiva - fossero, all’interno delle Aree, Servizi od Uffici di rispettiva afferenza, nevralgici in ragione delle funzioni esercitati e dell’esperienza lavorativa maturata. Nel caso che ci occupa (Professore aggregato in Anestesiologia organico alla Seconda Università degli studi di Napoli) una siffatta attività istruttoria era del tutto mancata. Di tal chè è risultato sufficiente (ma al contempo decisivo) dimostrare documentalmente che, se pure si fosse istruita correttamente la fase endoprocedimentale di verifica in capo al Dipartimento di appartenenza della ricorrente, circa l’essenzialità del suo apporto lavorativo, giammai sarebbe stato rilasciato il nulla osta al pensionamento anticipato in ragione del contributo determinante quotidianamente assicurato dall’interessata.

In ogni caso la facoltà di prepensionamento in discorso contiene in nuce taluni equivoci di fondo che rendono l’intento del legislatore meritevole solo a livello teorico. E’ dimostrabile infatti che non è vero che la facoltà di pensionamento anticipato (rispetto al maturare dei limiti naturali di anzianità di servizio ovvero di vecchiaia) venga esercitata per ragioni di risparmio della spesa pubblica. O meglio è vero solo a livello teorico: infatti quasi contestualmente alla dipartita dei dipendenti con la prescritta anzianità contributiva vengono banditi concorsi per l’assunzione di personale in possesso del medesimo profilo funzionale. Di tal chè ne consegue un duplice ordine di effetti: alcun risparmio di spesa per gli enti pubblici che prepensionano, atteso che al risparmio per il dipendente prepensionato fa da contraltare la doppia spesa sostenuta sia per bandire il concorso che per remunerarne a tempo indeterminato il vincitore. Senza poi dimenticare le inevitabili ricadute sull’Ente previdenziale che dovrà farsi carico del trattamento di quiescenza consequenziale in favore del dipendente “sostanzialmente” espunto dai ruoli organici dell’ente pubblico datoriale di appartenenza".