Firenze, 1 dicembre 2011 - Un ragazzo all’apparenza come tanti, ma con i ‘numeri’ giusti. La sua storia inizia a Firenze, 28 anni fa, ma poi passa da Aarthus (Danimarca), Los Angeles e Tokyo, per arrivare, adesso, fino a Tel Aviv: più opportunità, più strumenti per poter continuare le sue ricerche. Il suo campo è la crittografia, una scienza ai più sconosciuta ma in realtà utilissima nella vita di tutti i giorni. Claudio Orlandi ci ha ‘visto lungo’, e dall’Erasmus (programma di scambio tra Università europee) non è più tornato. Ha studiato, ha messo in gioco le sue conoscenze e la sua intraprendenza, ha saputo sfruttare il suo talento, e il suo cervello. Oggi vive e lavora a Tel Aviv, all’Università di Bar-Ilan, e ci ha raccontato la sua esperienza.

 

Come sei arrivato a Tel Aviv?

Abbastanza per caso. Sono nato e cresciuto a Firenze. Anzi, sono nato e cresciuto a Rifredi, a 10 minuti a piedi dall'ITI Leonardo da Vinci e dalla Facoltà di Ingegneria che ho frequentato. Non avevo mai pensato di muovermi, ma poi durante gli studi ho iniziato a interessarmi alla crittografia e ho deciso di andare ad Aarhus (Danimarca) con il progetto Erasmus per lavorare al mio progetto di tesi. E invece non sono più tornato: sono rimasto in Danimarca per 3 anni a fare il dottorato (con un periodo di 6 mesi a Los Angeles e di 3 mesi a Tokyo), e da 6 mesi sono a Tel Aviv per un "post-doc".

 

Che cosa stai facendo là? Di cosa ti occupi?

"Lavoro all'università di Bar-Ilan. Sto lavorando come 'post-doc' (più o meno quello che in Italia chiamiamo 'assegno di ricerca'). Sto seguendo diversi progetti di ricerca nel campo di crittografia, sicurezza e privacy. In parole semplici, la crittografia è la scienza che si occupa della protezione delle informazioni, e viene usata
continuamente in tanti applicazioni differenti: quando parli al cellulare, quando vai al bancomat, quando compri qualcosa su internet, quando ti colleghi ad una rete wireless, etc."

 

Perché hai deciso di andare all'estero invece di rimanere in Italia?

"Sono partito perché speravo di poter imparare qualcosa di nuovo, specializzarmi ed acquisire competenze che qui in Italia non abbiamo. Però pensavo che sarei tornato a casa dopo l'Erasmus... e invece sono rimasto per tanti motivi: perché per il lavoro che faccio era meglio essere lì e perché durante i primi sei mesi ho scoperto che la vita in Danimarca mi piaceva. E dopodiché ho deciso di continuare a muovermi per vedere se c'erano altri posti che mi piacevano a giro per il mondo. E ce ne sono tanti. Da questo punto di vista sono fortunato: la ricerca è un mercato internazionale e tutti lavorano in inglese. Posso essenzialmente lavorare dove voglio".

 

Segui gli avvenimenti italiani, anche politici?

"Certo. Controllo quasi tutti i giorni alcuni siti internet di varie testate italiane. E poi è difficile non seguirle. Tutti gli scandali e le vicende dell'ex-presidente del consiglio hanno avuto una risonanza internazionale enorme. E purtroppo ovunque abbia viaggiato tutti sapevano cosa fosse il 'bunga-bunga'…"

 

Cosa pensi della crisi e della situazione dei giovani?

"La finanza per me è sempre stata un mistero. Mi viene in mente Benigni: "Che significa il costo del denaro? Che ci sono i negozi di soldi?". Penso che sia triste che (non solo in Italia) i governi non cerchino di aiutare i giovani. Ho tanti amici in Italia, Spagna, Grecia e anche qui in Israele che hanno già una famiglia e hanno problemi ad arrivare alla fine del mese. Nel nord-europa è diverso, in Danimarca lo stato offre circa 600 euro al mese a tutti
quelli che fanno l'università e aiutano le giovani famiglie con contributi per i figli fino all'età di 18 anni. I giovani hanno molte più opportunità. Il meccanismo funziona perché le tasse sono più alte ma soprattutto perché la gente è onesta e rispetta le cose pubbliche. Chissà se sarebbe possibile esportare un modello del genere nei paesi
mediterranei".

 

Consiglieresti a chi lavora nel tuo campo di restare in Italia o di provare a cercare opportunità all'estero?

Consiglierei a chiunque - non solo a chi lavora nel mio campo - di provare un'esperienza all'estero. I benefici sono immensi, sia dal punto di vista professionale che, molto più importante, personale. Provare a vivere e lavorare in un Paese diverso è un'esperienza che ti apre la mente e ti fa rimettere in discussione tante cose che davi per
scontate. Per chi fa ricerca - penso soprattutto alle scienze - muoversi è ancora più importante. Se uno resta tutta la vita nella stessa università, dalla laurea alla pensione, da dove gli arrivano le nuove idee? Tutti dovrebbero cercare di andare da qualche altra parte, almeno per 6 mesi, per avere una dimensione più 'internazionale' dello
stato dell'arte nel loro campo. E oltretutto, sento dire che diverse università in Italia hanno tagliato i programmi di dottorato per colpa della crisi, quindi sembra che non ci sia troppa scelta".

 

Com'è la vita a Tel Aviv?

"Tel Aviv è una città fantastica. E' la capitale "laica" di Israele (con Gerusalemme la controparte religiosa). In Italia si sente parlare di queste zone quasi esclusivamente in rapporto al conflitto Israele-Palestina (che è molto più complesso di quanto pensassi quando sono partito). Ma c'è molto di più in Israele. Tel Aviv è una città occidentale, con bar e ristoranti aperti giorno e notte. E' anche conosciuta come la capitale gay del Medioriente,
essendo l'unico posto dove ogni orientazione sessuale è accettata dalla società. E' piena di giovani, di cultura, musica e arte. Gli israeliani alla fine sono molto simili agli italiani (dev'essere l'acqua del Mediterraneo), eccetto che chiaramente qui la maggioranza della popolazione è ebrea (con presenza di arabi, cristiani o musulmani, e drusi). Quest'anno niente luci e decorazioni di Natale per strada e nei negozi!"

 

Torneresti in Italia solo se...?

"Difficile fare previsioni, ma al momento non sento l'urgenza di tornare in Italia. Casomai a Firenze, per essere vicino a mio padre e alla mia famiglia. Ma altrimenti non vedo alcuna differenza tra essere a Trento o a Londra. Ci vuole la stessa mezza giornata per tornare a casa e volare di questi tempi costa meno del treno. Non fraintendermi, mi sento sempre Italiano: quest'anno ero a per caso a Firenze durante i festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia e sono stato positivamente colpito da tutto questo 'orgoglio tricolore' che solitamente conserviamo solo per i mondiali di calcio. Non escluderei di tornare se ci fosse la possibilità di lavorare in
una Università Italiana (con la garanzia degli strumenti che ho all'estero). Ma è anche vero che più il tempo passa più si stringono legami con la patria adottiva... se adesso sarebbe facile tornare, tra dieci anni (magari con moglie e figli nati all'estero) sarebbe più difficile muoversi".