Lonato del Garda (Brescia), 4 dicembre 2011 - Si chiama Paradiso la strada lungo una dolce collina morenica che porta alla comunità Exodus, fondata da don Antonio Mazzi. Pace a distesa, ambiente bucolico nella Gardesana, a metà strada fra il ranch e la fattoria quello dove Erika De Nardo vive dal 25 settembre quando ha lasciato il carcere di Verziano per bere le prime sorsate del dolce, paradisiaco, vino della libertà. Erika libera domani. A 27 anni. A quasi undici dalla sera maledetta del 21 febbraio 2001 quando, nel villino color salmone in via Dacatra a Novi Ligure, 97 coltellate straziano i corpi e le vite di Susy Cassini, mamma di Erika, e di Gianluca, il fratellino dodicenne che dedicava i temi scolastici alla sorella più grande, suo modello ammirato.

«Erika — assicura don Mazzi — rimarrà presso la nostra comunità anche dopo che sarà libera. Non so ancora se nella sede in cui si trova ora o altrove. Penso che continuerà a lavorare nel volontariato. Come mi ha detto lei stessa, vuole continuare a capirsi, a maturare. Penso che dopo Natale, in cui immagino che voglia stare con il padre, parlare con lui, Erika tornerà da noi». Il silenzioso ingegnere in questi anni non l’ha mai abbandonata, così come la nonna materna Giuliana, la mamma di Susy. Poi si prepara un periodo di volontariato all’estero. Intanto si rincorrono gli inevitabili sussurri su un fidanzato nell’hinterland di Milano, un altro dei possibili rifugi.

Erika prosegue il confronto mediatico a distanza con Omar, fidanzato, complice, gregario nella serata del massacro. Lui dice di attenderla per guardarla negli occhi, capire il perché dell’odio nei suoi riguardi, soprattutto comprendere quanto accadde. Lei gli risponde. Duramente. Ha visto pubblicate le foto di Omar sulle tombe di Susy e Gianluca. «Si vede chiaramente — saetta Erika nello scritto che pubblichiamo, con la sua larga grafia a stampatello — quanto sei viscido e senza dignità usare mia madre e mio fratello per farti popolarità. Per fare dei soldi ti sei fatto fotografare al cimitero da loro, ma non ti vergogni, hai reso un sacco di dichiarazioni false ma non mi stupisce da un vile come te, ma recarti al cimitero e farti fotografare è una cosa da indegno quale tu sei. Ti chiedo per l’ultima volta di smetterla di speculare sulla mia famiglia di certo così non trovi lavoro sempre che tu non voglia fare il Grande Fratello». Fino alla clausola di quello che dovrebbe essere il congedo definitivo: «Adesso basta! Spero che tu abbia capito che devi vivere senza continuare a legarti alla mia famiglia ma come Omar Favaro. È ora che tu spenga i riflettori su di noi».

«Erika — dice una compagna di detenzione a Verziano — con noi non ha quasi mai parlato dell’accaduto. Le rare volte che lo ha fatto ha scaricato tutte le colpe su Omar. Lei lo seguiva. In cella teneva una foto della mamma e una del fratellino in braccio al padre. Non ha mai detto di odiare sua madre. Al contrario. Il giorno della Festa della Mamma le ha scritto una lettera per dirle quanto le mancava».