Alcamo Marina (Trapani, Sicilia), 13 febbraio 2011 - Restare oltre 21 anni in carcere, sapendo di essere innocente. Poi, un bel giorno, scoprire che in effetti aveva ragione lui, gli altri si erano sbagliati. Siamo spiacenti, ti abbiamo tenuto dentro ingiustamente, sei libero. Potrebbe essere la trama perfetta per un incubo, ma è solo realtà. La Corte d'appello di Reggio Calabria ha assolto "per non aver commesso il fatto" Giuseppe Gulotta, 55 anni, accusato della strage alla casermetta di Alcamo Marina, in Sicilia.

Da quel 1990, anno della condanna definitiva, sono passati 21 anni, due mesi e 15 giorni.  Poi il processo di revisione, concesso solo nel 2009 dalla Suprema Corte dopo che già da anni Gulotta era stato 'scagionato'. L'uomo che aveva fatto il suo nome, 'incastrandolo', era stato seviziato durante l'interrogatorio, costretto a trovare un colpevole. 

E allora arriva il giorno della sentenza (annunciata) e Giuseppe, quando la sente, si accascia sulla sedia. Impossibile trattenere le lacrime. Abbraccia la moglie Michela e William, quel figlio di 24 anni che probabilmente suo padre se lo ricorda solo dietro le sbarre. Riesce anche a sussurrare qualcosa: "Giustizia è fatta. La mia vita era stata bruciata. Ora è come portare indietro l’orologio di 36 anni. Chi potrà mai restituirmi quello che mi è stato tolto?". Eh sì, perché non ci sono solo gli anni in galera. La sua vita era già rovinata 36 anni fa, quando era stato arrestato nel 1976.  E lui, all'epoca, aveva solo 19 anni.

LA STRAGE DELLA CASERMETTA - Il fatto di sangue, in cui vennero uccisi i due carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta,  risale al 27 gennaio 1976. I militari furono trovati morti e dai loro armadietti sparirono divise e armi, e altri effetti personali. Gli assassini entrarono nella casermetta fondendo la serratura con una fiamma ossidrica.

Penetrarono all`interno della struttura e trucidarono Apuzzo e Falcetta, all'epoca poco più che diciottenni.

IL PROCESSO - Giuseppe Gulotta era stato condannato all`ergastolo con una sentenza diventata definitiva nel 1990, il suo nome, allora, venne fatto da Giuseppe Vesco, un ragazzo fermato con due armi sull'automobile e ritenuto coinvolto nella vicenda. Dopo diversi anni però l'ex brigadiere Renato Olino, all`epoca in servizio al reparto antiterrorismo di Napoli che si occupò del caso, ha riferito una serie di circostanze che hanno scagionato il condannato.

Dopo oltre due decenni di carcere e nove processi, tra rinvii della Cassazione e questioni procedurali, la Suprema Corte nel 2009 ha concesso la revisione del processo, che si è concluso oggi.

LE INDAGINI, PERCHE' LO HANNO SCAGIONATO - L`ex brigadiere Renato Olino ha raccontato dei metodi persuasivi eccessivi, a suo parere, utilizzati all`epoca per estorcere informazioni a Giuseppe Vesco. E la corte li ha ritenuti utili. La svolta alle indagini per la strage fu il ritrovamento di due pistole a bordo dell`automobile Fiat 127 di Giuseppe Vesco che venne fermato dai carabinieri il 13 febbraio 1976.

Una delle armi era una Beretta calibro 9, in dotazione alle forze dell`ordine. Il ragazzo disse che doveva solo consegnare le armi sulla spiaggia ma non sapeva a chi e non aveva altre informazioni. A casa sua venne trovato un trapano con una punta in ferro compatibile con i fori che avevano cancellato la matricola della pistola. Vesco fu sottoposto ad interrogatorio e costretto a parlare, anche con sevizie. 

 E fece i nomi di Giuseppe Mandalà, che venne trovato in possesso di armi, e dei presunti complici, Giuseppe Gulotta e altri inseparabili amici Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. Fu così che Giuseppe Gulotta venne arrestato.

Da allora il calvario giudiziario. Anche Gulotta ha confermato le sevizie: alle violenze fisiche si univano anche quelle psicologiche. "Mi puntarono - racconta  - anche una pistola in faccia e mi dissero: se non confessi ti uccidiamo".
 

L`accusatore principale di Gulotta, Vesco, è morto suicida nell`infermeria del carcere di Trapani. Impiccato. Di recente, a confortare l`ipotesi che Vesco sia stato costretto a confessare cose non vere ai carabinieri, sono state le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia siciliano, Vincenzo Calcara.

Ora è in corso il processo di revisione a carico di Giuseppe Gulotta e Gaetano Santangelo, da anni rifugiatisi in Brasile, condannati per lo stesso eccidio,