Roma, 22 febbraio 2011 - Via del Policlinico 155, ospedale Umberto I, il pronto soccorso più malfamato d'Italia - dopo quarantott'ore sotto i riflettori dei media - vive la sua falsa primavera. Sospesi a divinis - con decorrenza immediata e per giorni 90, anche se il contratto di lavoro dice "massimo 30" - il direttore del Dea (Dipartimento Emergenza e Assistenza) Claudio Modini e il coordinatore dell'area medica Giuliano Bertazzoni.
 

QUEL TANFO ANTICO - Personale occhiuto alle porte, il settore triage che smista professionalmente i pazienti, i malati scomparsi dai corridoi. Persino la mitica piazzetta, quel recinto chiuso tra i box delle visite non chirurgiche e le salette d'attesa, appare sotto un altro aspetto, nel suo ordine di dieci barelle geometricamente disposte, a cinque per lato, se non fosse che uno degli anziani ricoverati se l'è appena fatta addosso. E così nel reparto dominato da un bel punto di azzurro moderatamente vivace e certamente lavabile, un tanfo antico si spande nell'aria, tra aspiratori che non aspirano ed emaciate pazienti - in dominante quota rosa - avvinghiate al tubicino delle flebo.
 

PREMIATA MENSA - "Cioccolato, zucchero" annusa Francesco Frabetti, della Funzione pubblica Cgil, mentre fa casting per Piazzapulita di Corrado Formigli (La 7, giovedì ore 21). "Non avete idea di come si sta qui, di solito, con 50-70 pazienti disseminati nei corridoi, in codice giallo". L'odore d'ospedale che si mescola al rancio. E al suo galateo della disperazione. "Ognuno che mangia sulla barella dell'altro". A cinque minuti dalla sfavillante via Veneto.
 

EFFETTO QUARESIMA - "Chi è lei?", domanda l'infermiera sospetta. Azione, prevenzione. Non sembrerebbe neppure il Dea dell'Umberto I. E' l'effetto-Polverini. Nel mercoledì delle Ceneri, su input della governatrice, i manager hanno ordinato penitenza e pulizia. Tutti i pazienti prima ammassati negli spazi limitrofi alla famigerata piazzetta sono stati ingoiati dai reparti. Nascosti nei vecchi padiglioni delle cliniche. "In letti aggiunti, se c'era la possibilità di sistemarli, o anche in corridoio". In corridoio anche lì? "Certo, che pensavate? Se i reparti erano già pieni - avverte Frabetti - l'importante era non mostrare la realtà quotidiana. Quella che da anni qui denunciamo. Tra la disattenzione della politica e dei media. Ieri è venuto Esterino Montino del Pd. Si è molto stupito della situazione. Lui che era il vice di Marrazzo in Regione sa bene come andavano qui le cose. Perché nessuno ha mai voluto prendere il toro per le corna". Ora sono venuti gli ispettori del ministro Balduzzi a capire la verità. Ma non hanno messo il dito sulla vera piaga. "Hanno trovato il maquillage".
 

CIRCOLO VIZIOSO - Il dottor Modini sospeso. Il dottor Bertazzoni pure. "Credete che non abbiano mai denunciato la situazione ai manager? L'ultima volta due mesi fa. Tutti sapevano come funziona il Dea. Siamo nel collo dell'imbuto" certifica Frabetti. "Dall'alto arriva la marea di pazienti che l'assistenza di base, quella dei medici di famiglia sempre più burocraticamente oberati e mai collegati organicamente all'assistenza territoriale di base, scarica addosso al sistema" svela Massimo Cozza, leader dei medici Cgil. Troppi pazienti si autodiagnosticano, "troppi codici bianchi e codici verdi intasano i pronto soccorso, costretti ad attese di ore, mentre potrebbero essere serenamente assistini in poliambulatori dedicati". Risultato: una coda infinita. Pazienti stressati. Medici e infermieri pure. Perché tranne i codici rossi chirurgici, che hanno l'urgenza per amica e finiscono dritti in sala operatoria, i codici gialli di medicina raramente trovano uno sbocco specialistico. A causa di posti letto "diversamente riservati". 


REALTA' CAPOVOLTA - "Il punto è che l'Umberto I è una clinica universitaria e, per tanti motivi, non esclusa l'attenzione su determinate patologie o linee di ricerca, i reparti sono occupati per oltre il 70%, con punte dell'80%, da casi d'elezione, e solo per il 20% dai pazienti gravi del pronto soccorso". "Per questo - denuncia la Cgil - nella famosa piazzetta e nei corridoi attorno stazionano a volte fino a 70 ricoverati in barella con una degenza media di cinque giorni".

'TI SPACCO LA FACCIA'.- "Sono i reparti a scegliersi i pazienti da curare. Mica come in tutto il resto del mondo, dove la linea del fronte è il pronto soccorso e chi sta dietro si adegua" esplode una dottoressa del Dea, arrabbiata anzichenò. La promessa che segue è da triage immediato. "Sono precaria, se scrivi il mio nome ti vengo a cercare e ti spacco la faccia, capito?".

CASO SIMBOLO - All'Umberto I la tensione è alle stelle. Da quando l'ispezione bipartisan degli onorevoli Ignazio Marino (Pd) e Antonio Gramazio (Pdl) ha rivelato il caso della donna malata d'Alzheimer rimasta quattro giorni in corsia, legata alla sua barella, senza ottenere il trasferimento in reparto, l'Umberto I è assurto a simbolo negativo della sanità romana. E italiana. Tutti attenti e bocche cucite. Solo i sindacalisti offrono le proprie generalità. Gli altri si proteggono.
 

PARIA DELLA SOCIETA' - "Sai cosa vuol dire essere precari e intervenire sulle vite degli altri? - sottolinea la dottoressa di prima -. Non sei mai davvero sereno, non sei mai nelle condizioni ideali. E io sono fortunata. Ho almeno un contratto a tempo determinato". Salva vite umane, però non può avere il mutuo per la casa, "perché in banca non me lo danno". "Ma posso almeno avere un figlio - si consola la doc - e persino ammalarmi, se mi succedesse. Niente: mi sono venuti tanti di quegli anticorpi che non ti dico. Finché dura".
 

PRIMA LINEA - Dai baroni delle cattedre universitarie ai precari (qui in netta maggioranza e al Dea pediatrico persino di più) su cui si regge il sistema: la sanità del Lazio come specchio d'Italia. E delle sue ingiustizie. "Qui ci sono persino colleghe con il co.co.co. - continua la dottoressa cui prudono le mani - e ho detto tutto. Sai che stress? Operare al Dea è come stare in una prima linea di fanteria. Sbagliare è un attimo. Rischi di restarci secco come uno scemo". Senza medaglie. E magari coi familiari che ti vogliono far la pelle, se sfortunatamente la tragedia si consuma tra queste mura anziché tra i padiglioni nobili dei Professori. Dice Frabetti: "Spesso sono i familiari che non possono accudirli a lasciare i loro anziani da noi. In attesa di un letto in reparto, meglio la nostra piazzetta". 
 

COOP SANITA' - Anche gli infermieri hanno vita agra. "Sono esterni, assunti dalle cooperative per fare un lavoro durissimo e delicato" riprende Frabetti. "Il lavoro è organizzato in due turni giornalieri di sette ore e un turno notturno di dieci ore. Due paramedici gestiscono il triage, quattro assistono i pazienti nei box di visita" davanti alla piazzetta. Nei giorni peggiori, con 70 allettati in barella, fanno fino a diciotto pazienti per infermiere. Da seguire e accudire. Con flebo e pappagalli. Senza contare i malati immaginari, i parenti da tenere a bada, gli ubriachi, i violenti, o i barboni che pisciano sui caloriferi. Scene apocalittiche. Che talvolta richiedono l'assistenza di nerboruti ambulanzieri. Passa un paramedico di ematologia: "Io qua da voi? Ecché so' matto. Solo col porto d'armi".
 

DOPO LA TIVU' - "E' giusto scandalizzarsi e indignarsi per quanto si è visto in tivù in questi giorni - denuncia la rappresentanza Fp Cgil dell'Umberto I -, ma qualcuno si è mai chiesto quanto sia frustrante e drammatico per gli operatori sanitari lavorare in quelle condizioni tutti i giorni?".
 

UN VERO INFERNO - La prima piaga sono i costanti e ripetuti tagli di personale, la seconda è il precariato. Che nonostante la professionalità dei medici e degli addetti non garantisce continuità di team e di prestazione. Spesso chi lavora in pronto soccorso appena può cambia aria. Troppi rischi. A fronte di un contesto opaco. "Il sistema sanitario ha trasformato i Dea nelle bad company del sistema" conviene Cozza: il luogo fisico, sanitario e amministrativo dove compensare disfunzioni ed eccessi. Sulla pelle di medici, infermieri, malati. Tutti avvitati allo stesso girone infernale. Oggi lo ha ammesso persino il ministro Balduzzi: "La sanità va riorganizzata". Già, ma come?

CAMBIARE LE REGOLE - In attesa di una "efficace rete assistenziale e domiciliare" che in Lazio non è mai sbocciata, a giudizio di chi resiste in trincea c'è solo un modo per attenuare gli scompensi: "Che la Regione riveda i protocolli d'intesa con i Policlinici moltiplicando il numero dei ricoveri da pronto soccorso e diminuendo i cosiddetti ricoveri d'elezione". Quelli a discrezione dei primari. "Senza questa operazione di riequilibrio e trasparenza - prevede il segretario dei medici Fp Cgil -, le barelle dei malati torneranno presto in corridoio". Fino alla prossima indignazione.

Giovanni Rossi