di Lorenzo Sani

L'Aquila, 6 aprile 2012 - PER ALCUNI le imminenti elezioni amministrative, le prime post terremoto in programma il 6 e 7maggio prossimi, rappresentano la certificazione del ritorno alla normalità. Siamo sicuri? E’ davvero tutto oro ciò che luccica dietro i manifesti degli otto candidati a sindaco, Massimo Cialente in testa, il primo cittadino che si è trovato a gestire il terremoto vero nel 2009 e ora quello metaforico rappresentato dalle primarie del Pd? Con lui correranno quasi in 700 per riempire gli scranni del consiglio comunale. Ma di quale normalità è corretto parlare a L’Aquila, città ferita a morte? Siamo di fronte a una comunità sociale devastata, dove aumentano violenza e consumo di stupefacenti, che ha perso la propria identità storica, non ha più un centro che testimoni la grandezza del suo passato, perché il 95% delle macerie sono esattamente dove erano all’alba del 6 aprile 2009 e si vive qua e là, in cloni urbanistici ribattezzati new town, o nell’anonima vastità dei centri commerciali.

"La vera elaborazione della tragedia non è ancora incominciata" sostiene Emanuela Ciciotti, aquilana, psicoterapeuta e psicologa dell’emergenza. "Tutto ciò che è accaduto nel post terremoto, dalla gestione della primissima emergenza alla prossima competizione elettorale, ha contribuito a sospendere il clima. L’ espressione del disagio più autentica, sostengono anche studi americani, ancora non si vede, ma sta per arrivare". Alla vigilia del terzo anniversario del terremoto che il 6 aprile 2009 devastò L’Aquila e altri 56 comuni, causando 309 morti, almeno 2.000 feriti e la distruzione di un inestimabile patrimonio architettonico, la ricostruzione procede a rilento, con 21.731 persone ancora assistite, su 72 mila residenti. Sono circa 16 mila in meno rispetto al 2011, ma una quota rilevante della popolazione, circa sette mila persone, abita nei Map (le casette di legno) e 314 risiedono in albergo, o nella Scuola sottufficiali delle Fiamme gialle di Coppito.

Fermi ancora alla messa in sicurezza i cantieri nel centro storico: le macerie ammontano a 4 milioni di tonnellate, di cui solo 211mila, finora, sono state rimosse. I beni artistici rilevati sono circa 1.842 distribuiti su 150 Comuni nelle 4 province abruzzesi: si tratta in particolare di 1.053 chiese e 730 palazzi, oltre 60 beni di altra tipologia, mura, porte, fontane: soltanto il 27% sono risultati agibili, il 36% delle chiese risulta inagibile, mentre la percentuale sale al 76% nel caso dei palazzi del centro storico di L’Aquila. Sono state recuperate e poste in sicurezza 5mila opere d’arte mobili e circa 600mila volumi provenienti da archivi storici, dalla Biblioteca Provinciale e altre biblioteche.

ANCHE quando i soldi ci sono, capita che non si riescano a spendere, come è accaduto per i fondi raccolti con la canzone “Domani”. Jovanotti, uno dei padri del progetto, ha protestato anche alcuni giorni fa, su Twitter e il tam tam ha costretto a intervenire anche il ministro Fabrizio Barca, delegato alla ricostruzione. Ferme pure le “adozioni” dei monumenti da parte dei grandi del mondo, come promesso in occasione del G8. Fortezza spagnola e Chiesa di San Pietro, per esempio, sono ancora “orfani”, mentre la cifra donata per i restauri monumentali supera di poco i 28 milioni di euro: la Russia ne ha messi 9 per Palazzo Ardinghelli e la chiesa di San Gregorio Magno, la Francia ha confermato i 3.250 per il restauro del 50% della Chiesa delle Anime Sante, il Kazakistan sta finanziando (1,7) i lavori per la chiesa di San Biagio di Amiternum, mentre la Germania ha rispettato il progetto per la chiesa di Onna (3,5). Il resto delle adozioni viene dall’Italia: un milione dalla Camera dei Deputati per il Palazzetto dei Nobili.