Roma, 20 maggio 2012 - Il killer si chiama Dorsale Ferrarese. ”Le faglie coinvolte - spiega Gianluca Valensise, ricercatore dell’Ingv - sono generate da una struttura chiamata Dorsale Ferrarese. Se togliessimo mille metri di sedimenti emergerebbe come una dorsale rocciosa che si eleva dal basamento della Pianura Padana. E’ una struttura ben nota, lunga 40-50 km che è parallela al margine appenino ovest nord ovest, quindi parallela alla via Emilia. E che genera terremoti”.

Il fatto che sia coinvolta una struttura molto ampia fa nascere spontanea la domanda se potranno essere coinvolte aree adiacenti, se cioè potrà esserci una “migrazione” degli epicentri, con l’attivazione di faglie contigue. Il dottor Valensise è cauto, anche se non lo esclude. “Non sappiamo se saranno interessate altre zone a est o ad ovest. E’ possibile, ma non si possono fare affermazioni assolute”. Di sicuro non è una storia che finirà presto. “Nessuno può dire quanto durerà la sequenza sismica, ma comunque durerà ancora del tempo. Mediamente per eventi simili le repliche durano anche settimane o mesi. Per capirsi, un evento di magnitudo 5.9 è nell’ordine del terremoto di Colfiorito/Assisi. Quindi un evento inportante, specialmente per l’area”.

Quella del Ferrarese, prosegue il ricercatore “non è una è zona ad altissima sensibilità”. Non solo. “Da quel poco che sappiamo lì le sequenze sono complesse”. E occasionalmente anche lunghe. “A Ferrara - osserva Valensise - nel 1570 c’è stata una sequenza che è durata ben quattro anni”. Nessuno può dire se è atteso uno sviluppo simile”.

Quanto ai danni, son quelli tipici per scosse “crostali” di quella intensità. “La profondità delle scosse di oggi - osserva il sismologo - è bassa, tra 6 e 11 chilometri. Sono quindi abbastanza superficiali, con forti danni localmente che però si riducono progressivamente in uno spazio abbastanza breve. Non c’è un legame con le scosse a gennaio nel Reggiano ma c’è probabilmente una connessione con una scossa di magnitudo 4.5 dello scorso anno”.

In ogni caso non è atteso un Big One”. “In Pianura Padana - osserva il ricercatore - non ci aspettano terremoti come quelli calabresi, siciliani o abruzzesi”. Quanto alla distribuzione spaziale dei danni “è possibile che sia stata localmente amplificata dai terreni. Localmente infatti si può verificare una distribuzione a macchia di leopardo rispetto alla media”.

Sulla possibilità di lanciare l’allarme dopo la prima scossa, all’Ingv sono conviti che non fosse in alcun modo possibile farlo. “E’ vero che è stata una classica scossa premonitoria. Ma si scopre che è premonitoria solo dopo che c’è stata la scossa principale: non ci sono elementi che ci consentano di qualificarla come premonitoria, era un terremoto come tanti altri che si verificano nel nostro paese, né le strutture coinvolte erano note per dare prima una scossa premonitoria e poi una principale. Vorremmo poter avvertire le popolazioni, ma purtroppo la previsione dei terremoti non è allo stato possibile”.

di Alessandro Farruggia