Roma, 25 maggio 2012 - È un corvo o un corvetto il maggiordomo del Papa arrestato al termine di una delle inchieste più rapide della storia della giustizia vaticana, seconda per speditezza solo a quella seguita nel 1998 agli omicidi-suicidi della guardia svizzera Cedric Tournay e del capo del Corpo Alois Estermann? Possibile che un «semplice» maggiordomo potesse avere accesso a tutte quelle carte top secret finite sui giornali, la maggior parte delle quali non è passata dalla scrivania del Papa e che di norma si fermano invece o in quella del segretario particolare del pontefice o in Segreteria di stato? E poi: se chiunque di voi avesse passato per mesi faldoni riservatissimi a una fonte esterna rischiando per questo fino a 30 anni di carcere e tutta la polizia dello stato fosse alla caccia del responsabile, conservereste a casa vostra «una gran mole di documenti», come la gendarmeria vaticana dice abbia fatto lo stretto collaboratore del Papa ora dietro le sbarre del più piccolo ma potente stato del mondo?

Il giorno dopo la notizia del fermo di Paolo Gabriele i dubbi salgono dai Sacri palazzi come una fumata nera in tempo di conclave. Assieme alla certezza che una delle vicende più oscure e imbarazzanti nella storia recente della Chiesa è tuttaltro che di lì da vedere la fine.

NEPPURE negli anni del lungo declino di Wojtyla, col conclave anche allora partito per tempo, la situazione era tanto sfilacciata: il segretario particolare del papa, monsignor Stanislao, regnava incontrastato all’interno dell’Appartemento (tutto formato da polacchi, aspetto da non sottovalutare) e il segretario di Stato Angelo Sodano governava con mano ferma la Chiesa. E niente si muoveva. Oggi è diverso. Il pre-conclave è anche stavolta iniziato in anticipo ma né il segretario di Stato né il segretario particolare di Benedetto XVI paiono padroni della situazione. E la guerra per bande impera. Bertone da una parte, dall’altra la vecchia guardia vicino a Sodano, voci di divisioni anche all’interno dello staff del Pontefice.

Un brutto spettacolo, la cui vera vittima non è tanto il Papa, Bertone (sempre più in bilico), Gotti Tedeschi o il prossimo della lista che sarà fatto fuori, ma la Chiesa di Cristo. Forse i cardinali non se ne accorgono, ma non siamo più ai tempi dei Borgia quando gli intrighi di corte e i veleni di palazzo restavano all’interno delle Mura leonine. Adesso, Nuzzi o non Nuzzi, tutto ha un’eco diversa. Se «esce un documento» a Roma, un minuto dopo oltre un miliardo di cattolici lo viene a sapere, dal Cile alle Filippine. E questo a prescindere delle (eventuali) responsabilità di un maggiordomo infedele. Tutte da dimostrare.