di Alessandro Farruggia

ROMA, 30 maggio 2012 - I SUOLI alluvionali della Pianura Padana hanno amplificato la scossa. L’eventualità di ulteriori terremoti, anche paragonabili a quello di ieri, non è affatto esclusa. Quanto alla querelle se tecnicamente quella di ieri sia una replica o un nuovo sisma, gli addetti ai lavori sono divisi. Le ipotesi sul tappeto sono tre: evento seguente a quello del 20 maggio, attivazione di faglie collegate ma contigue o, terza ipotesi, un sisma nella Dorsale di Mirandola. Questa dorsale è contigua a quella Ferrarese — la grande struttura sommersa dai sedimenti della pianura che si allarga ad arco per una cinquantina di chilometri parallelamente all’Appennino — dove il fenomeno è certamente iniziato. «Certo è che l’area attiva — osserva Alessandro Amato dell’Ingv — si è estesa da 40 a 50 chilometri».

«È PRESTO per dire — osserva Stefano Gresta, che dell’Ingv è presidente — se quella che ha generato la scossa delle nove del mattino sia una nuova faglia o la stessa struttura che si è rotta in un segmento nuovo, più a ovest. Ma in ogni caso il meccanismo focale è lo stesso, le stesse forze sono in gioco e in termini di effetti nulla cambia. Certo l’evoluzione sarà lunga, durerà settimane o forse mesi. E se è improbabile che sarà superata la magnitudo 6 o peggio, scosse di intesità di poco inferiore a 6 Richter non possono certo essere escluse».
Forti repliche sono infatti nella norma in buona parte dei terremoti italiani. «A Colfiorito — osserva Werner Mazzocchi dell’Ingv — ci fu una forte replica dopo appena 12 ore, nel Belice si ebbero ben tre forti scosse tra il 14 e il 25 gennaio, e nel Friuli le tre forti scosse avvennero a distanza di tre mesi: una a maggio e due a settembre». Come dire: fare previsioni attendibili è oggi impossibile, ma nessuno deve sorprendersi della presenza di repliche paragonabili alla scossa principale.

QUELLO che sorprende i non addetti ai lavori è però il fatto che i terreni della Pianura Padana hanno letteralmente intensificato la scossa. «La roccia — spiega Maria Rosaria Gallipoli dell’Imaa Cnr — è un materiale piu stabile che disperde più rapidamente le onde sismiche mentre ci sono terreni sedimentari che possono fluidificarsi come è successo alle sabbie fini della zona di San Carlo, Sant’Agostino o San .Felice o che possono intrappolare e amplificare, come hanno fatto alcuni strati di argilla, le scosse. In particolare in bassa frequenza».
«La liquefazione — spiega il sismologo Carlo Mucciarelli, emiliano che insegna nell’Università della Basilicata — è un fenomeno che si verifica con sabbie fini e con falda molto in superficie. L’amplificazione determinata da certi terreni dipende invece dallo spessore della copertura sedimentaria: se lo spessore è alto si amplificano le frequenze basse, che danneggiano maggiormente le strutture più grosse come chiese, campanili, castelli, capannoni. Se lo spessore è più basso si amplificano le frequenze più alte che danneggiano più le abitazioni minori».
«È un fenomeno ben noto — concorda Mazzocchi dell’Ingv — che ha probabilmente inciso nei danni registrati da certe strutture in questa crisi sismica. Probabilmente quanto il fatto che certi edifici, anche recenti, non erano antisismici». Ma questa è un’altra (amara) storia.