Roma, 7 giugno 2012 - Gaspare Spatuzza, il collaboratore di giustizia che ha permesso alla Procura di Caltanissetta di aprire un nuovo filone di indagini sulla strage di via D Amelio, procurò la Fiat 126 usata come autobomba ma non sapeva che sarebbe servita per uccidere il giudice Paolo Borsellino. Lo capì quella tragica domenica del 19 luglio del 92 quando apprese dai telegiornali dell’attentato e collegò i fatti. La ricostruzione è stata fornita dal pentito nel corso dell’incidente probatorio davanti al Gip di Caltanissetta, Alessandra Giunta, nell’aula di Rebibbia a Roma.

“Non sapevamo a cosa servisse la 126 nè io, nè Tutino”, ha detto Spatuzza. Il pentito ha affermato che quando consegnò l’auto ai suoi capi erano presenti diverse persone, tra le quali il boss di Brancaccio, Filippo Graviano. All’indomani dell eccidio, Graviano esulto’ per come era andata la strage, ha raccontato Spatuzza: “Graviano - ha detto - era contento e anch’io ero contento perché in qualche modo avevo fornito il mio contributo. Adesso mi pento per quello che ho fatto”.

Spatuzza ha iniziato la sua deposizione chiedendo scusa ai familiari delle vittime per il male che ha provocato, e si è poi soffermato sulla fase preparatoria dell'attentato contro Borsellino. Ha confermato che fu lui ad occuparsi del furto della Fiat 126, a procurarsi l’antenna e le targhe, su mandato del boss Giuseppe Graviano. Il collaboratore ha riferito che durante il suo periodo di detenzione, venne in contatto con Profeta, Scotto, Orofino, Murana, condannati per la strage di via D’Amelio con una sentenza ora rivista. Spatuzza ha sostenuto di aver sofferto perche’ sapeva che in carcere c’erano delle persone innocenti, che stavano scontando una pena per un reato che non avevano commesso.

Il pentito ha detto di aver intuito subito che Scarantino, il personaggio sulle cui dichiarazioni si era basato il primo processo su via D’Amelio, mentiva e di aver collegato quel comportamento alla durezza del regime del 41 bis e a maltrattamenti che i mafiosi subivano nelle carceri dopo le stragi del ‘92 e di cui gli aveva parlato un certo Di Trapani. Secondo Spatuzza, Scarantino potrebbe aver deciso di collaborare perché non sopportava più quei maltrattamenti, ma si sarebbe autoaccusato di cose che non avrebbe mai potuto fare: “Diceva cose che non stavano nè in cielo, nè in terra. Io sapevo - ha affermato Spatuzza - che Scarantino non diceva la verità, perché fui io a rubare la 126”.

Oggi nell’aula bunker di Rebibbia si riprenderà con il controesame di Spatuzza da parte dell’avvocato Flavio Sinatra. Oggi il collaboratore ha risposto alle domande dei Pm Domenico Gozzo e Stefano Luciani.