di Viviana Ponchia

Torino, 4 luglio 2012 - Il sarto che usava le auto come modelle. L’uomo che ha vestito la Ferrari. Artigiano e artista, geniale per unanime acclamazione, illuminato presidente degli industriali, politico suo malgrado al parlamento europeo e nel ruolo voluto da Ciampi di senatore a vita. È stato un simbolo, come Gianni Agnelli, come Henry Ford. Con Sergio Pininfarina, morto la notte scorsa a 86 anni nella sua Torino, se ne va un altro pezzo della grande storia imprenditoriale italiana. Al suo capezzale c’erano la moglie Giorgia e i figli Lorenza e Paolo. A loro piace immaginare che a traghettarlo verso l’ultima avventura sia stato Andrea, il figlio perduto in un incidente in scooter quattro anni fa.

Dopo quella tragedia niente era rimasto lo stesso. A Sergio era toccata la più dura delle prove condivisa da altri patriarchi piemontesi: l’Avvocato annichilito dalla perdita di Edoardo, suo fratello Umberto da quella di Giovanni Alberto, Michele Ferrero da quella di Pietro. L’imprenditore che con Bertone e Giugiaro ha scritto la storia del design automobilistico era nato a Torino l’8 settembre 1926. Semplicemente un Farina prima che nel 1961 venisse appiccicato al cognome, su proposta del ministro Guardasigilli in considerazione delle alte benemerenze sociali, il leggendario nickname del padre, quel Battista «Pinin» che per primo aveva inteso fare della carrozzeria un’industria costruendo fino a otto macchine al giorno nello stabilimento di corso Trapani. Disegno rivoluzionario, un assaggio di futuro.

Sergio aveva ereditato il gusto di reinventare il rapporto con gli oggetti: macchine ma anche treni, poltrone, radio, rasoi, caschi, sedie, caffettiere, pensiline fotovoltaiche, fino alla torcia delle Olimpiadi di Torino 2006. La differenza la fanno solo le emozioni, diceva. Diceva che un’auto emoziona più di un frigorifero perché ha il vantaggio di avere un fuori e un dentro. Il filo rosso è l’aerodinamica, applicata con ingegnosità su un’Alfa Giulietta Spider o un trolley, e non a caso è proprio la Pininfarina a inaugurare nel 1972 a Torino la prima Galleria del vento italiana. "Sergio è stato fondamentale nella storia e nel successo della Ferrari", ricorda oggi Luca di Montezemolo, sottolineandone anche la competenza e la lealtà come presidente di Confindustria. Il nostro più bel made in Italy, il visionario che ha messo i sogni su strada. "Gli automobilisti non sapevano quello che volevano finchè lui non glielo faceva vedere", sintetizza Angelo Sticchi Damiani, presidente dell’Aci. Giorgetto Giugiaro perde "un amico, una persona squisita». Emma Marcegaglia piange «la scomparsa di una delle figure più illustri del capitalismo familiare del nostro paese, un uomo di grande rigore morale e passione civile".

Nato con l’auto nel cuore, laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino nel 1950, il cavaliere del Lavoro Sergio Pininfarina era diventato la colonna portante di un gruppo industriale con sedi in Italia, Germania, Francia, Svezia e Marocco. Circa 2.500 dipendenti, un valore della produzione di 780 milioni di euro e una capacità di produzione annua di 70mila vetture.

Da tempo malato, era presidente onorario del gruppo dopo averne preso il timone dal padre nel 1961, gli anni della sperimentazione e della collaborazione con altri colossi. È lui a gestire il processo di industrializzazione, il trasloco nel 1967 degli stabilimenti a Grugliasco, la nascita dei capolavori come la Giulietta Spider o la Duetto, la Lancia Flaminia e la Flavia coupé, la Dino 246 e la Dino Spider. Dopo la quotazione in Borsa nell’86 la storia continua con la Ferrari Testarossa e con gli accordi con Daewoo, Cadillac, Bentley e Mitsubishi. Il resto è design allo stato puro. Andrea non c’è più, Sergio è già altrove. Oggi e domani la camera ardente nello stabilimento di Cambiano, venerdì i funerali a Torino nella Chiesa dei Santi Angeli Custodi.