TORINO, 13 luglio 2012 -  Sua figlia è in coma da oltre 24 anni. Stato vegetativo, lo chiamano i medici, e fa ancora più impressione. Non è stato un incidente, una fatalità, ma un errore dei medici: coma da vaccinazione. Da quel giorno dell'88, quando portò la sua bambina di 5 anni a fare le vaccinazioni, questa donna non vive più.

E ora, dopo un calvario durato tanto a lungo, la giustizia fa il suo corso: la Corte d’appello di Torino ha condannato la Regione Piemonte, subentrata alla disciolta ex Usl 36 di Susa, a risarcire con 1,8 milioni di euro una donna la cui figlia è da 24 anni in stato vegetativo a causa dell’errore di un medico di base.
Quest’ultimo - secondo una consulenza tecnica d’ufficio - non le somministrò del cortisone che avrebbe evitato che entrasse in stato vegetativo dopo una vaccinazione obbligatoria alla quale era stata sottoposta negli ambulatori della Usl quando aveva cinque anni.

La condanna, con la quale è stata ribaltata la decisione di primo grado, prevede il pagamento anche degli interessi e delle spese legali. "Si tratta - spiega l’avvocato Renato Ambrosio - del piu’ alto risarcimento mai accordato in Italia per un danno da errore medico conseguente a vaccinazione".

Nel 1888 alla bambina, cinque anni, era stata fatta una vaccinazione antidifterica-tetanica. Subito dopo aveva manifestato febbre alta, dolori alle gambe, cefalea e dissenteria. Il medico di base si rifiutò di somministrarle farmaci e il quadro clinico si aggravò fino a quando la piccola entrò nello stato vegetativo in cui si trova ancora oggi che ha 29 anni. Secondo la consulenza tecnica, il cortisone somministrato entro i cinque giorni successivi alla vaccinazione avrebbe evitato ogni conseguenza.

Esultano gli avvocati della madre: "Questa sentenza ha restituito dignità alla madre dopo anni di sofferenze e problemi economici", dicono gli avvocati Ambrosio, Bertone e Bona. "Quello del processo - dicono - è stato un periodo molto difficile per lei e anche per noi, ma la vittoria in appello ci ripaga di tutte le sofferenze subite. In primo grado, infatti, il giudice respinse il nostro ricorso. Per la seconda volta in Italia, viene riconosciuto il principio secondo cui l’azienda sanitaria risponde dell’errore del medico di base".

 I legali sperano che non ci sia ricorso in Cassazione. La nostra cliente - spiegano - è povera e ha già fatto tanti sacrifici in questi anni. Quando avvenne la tragedia aveva 23 anni e fu subito lasciata dal marito. Per seguire la bambina non ha più potuto avere un lavoro fisso’’.