di Stefano Grassi

Roma, 15 luglio 2012 - «I numeri parlano chiaro. In Italia uno studente universitario su tre resta indietro con gli studi. E’ un costo sociale enorme che non possiamo permetterci. Non possiamo più permetterci. Non credo siano necessarie regole più restrittive, occorre che le università si diano nuovi strumenti, più adeguati, per aiutare i ragazzi a fare scelte consapevoli e mature. Solo così si può sanare questo guasto strutturale».

Il ministro dell’Università e della Ricerca, Francesco Profumo, ha le idee chiare sul futuro del nostro Paese. E’ convinto che accanto al ministero dell’Economia dove si gioca la partita dello spread finanziario, è il suo dicastero che più di tutti può incidere sul futuro a lungo termine dell’Italia.

Lei ha parlato dei fuoricorso, un guasto che deriva però dal fatto che spesso l’università è scelta senza grande convinzione, un po’ come ripiego in attesa di trovare un impiego…
«E’ vero. Ma non deve essere più così. Credo che bisogna intensificare il processo di orientamento per rendere massimamente consapevoli i giovani di ciò che possono aspettarsi dall’università. Oggi questo avviene essenzialmente negli ultimi mesi dell’intero percorso scolastico. Vorrei che fosse anticipato, almeno al penultimo anno, coinvolgendo soprattutto in quest’opera informativa i ragazzi che già sono all’università. Lo studente va poi seguito da vicino, soprattutto nel primo anno, il più difficile, anche con un counseling psicologico, per aiutarlo a orientarsi senza perdere troppo tempo».

Perché?
«Accade che spesso, quei primi mesi persi, magari stupidamente persi perché ancora non è ben chiaro come funziona l’università, diventino poi un vero macigno nel proseguimento degli studi».

Ciò non toglie che il grande problema dell’università italiana è il problema degli sbocchi occupazionali.
«Occorre un governo complessivo del sistema formativo. Qualcosa già c’è. Penso a Universitaly, il nuovo portale del Ministero creato appositamente per accompagnare gli studenti nel loro percorso di studi, o Alma Mater, che offre informazione sull’insieme delle prospettive offerte dalla formazione universitaria».

Ma tutto questo non stride con le politiche restrittive sul piano economico?
«Certo, i soldi a disposizione non sono molti. Per questo occorre ottimizzare al massimo le risorse. Prima di tutto evitando sprechi e poi, come già hanno indicato alcune linee della spending review, nella dematerializzazione. Scuola, università, ministeri, e la burocrazia in generale spendono somme enormi per strumenti che l’elettronica ha reso obsoleti. E comunque, va detto che questo governo non ha tagliato risorse sull’istruzione e la formazione, anzi ha investito 2,3 miliardi di euro sia sui temi della ricerca che su quelli della formazione e dell’innovazione».

D’accordo sui fuoricorso, ma come la mettiamo con i cervelli in fuga? Anche questo è un bello spreco.
«Credo sia giusto che un neolaureato faccia le sue esperienze all’estero. Credo che poi la maggior parte dei nostri laureati riescano a tornare in Italia. Questo, per esempio, è il mio caso. Ho lavorato a lungo all’estero ma poi sono tornato».

Sarà anche come dice lei, ma sul piano della fuga dei cervelli, anche se l’Italia avrebbe pure tantissimi campi di eccellenza, il saldo resta ampiamente negativo per noi.
«Questo è vero. Il Paese in questo momento ha bisogno di alcuni segnali tangibili dal punto di vista culturale per renderlo più europeo. Il commissario europeo Quinn, quando è venuto in Italia, ha sottolineato alcuni elementi di debolezza del Paese sul fronte della ricerca: la trasparenza dell’Italia in termini di pubblicizzazione dei bandi, la valorizzazione delle capacità personali e la semplificazione delle regole e il mantenimento dei tempi».