Roma, 16 luglio 2012- Il presidente della Repubblica, {{WIKILINK}}Giorgio Napolitano{{/WIKILINK}}, ha affidato all’avvocato generale dello Stato l’incarico di rappresentare la presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della procura di Palermo per le decisioni assunte da quest’ultima su intercettazioni di conversazioni telefoniche del capo dello Stato nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia. Decisioni che il presidente ha considerato, anche se riferite a intercettazioni indirette, “lesive di prerogative” attribuitegli dalla Costituzione.

Alla determinazione di sollevare il conflitto di attribuzione, Napolitano è arrivato ritenendo “dovere” del presidente della Repubblica “evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”.  

LA REPLICA DEI PM - La replica dei pm palermitani non si è fatta attendere. Il procuratore della Repubblica Francesco Messineo, dopo aver convocato nel suo ufficio i magistrati titolari di quel fascicolo (l’aggiunto {{WIKILINK}}Antonio Ingroia {{/WIKILINK}}e i sostituti Lia Sava, Nino Di Matteo e Palermo Guido) ha rilasciato una breve dichiarazione ai giornalisti: l’operato della procura nell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia “risponde ai principi del diritto penale e della Costituzione”, e nelle intercettazioni “non sono state violate le prerogative costituzionali del capo dello Stato”.

"GLI ATTI VANNO DISTRUTTI" - E’ "assolutamente" vietato intercettare conversazioni alle quali partecipa il capo dello Stato: lo prevedono l’articolo 90 della Costituzione e l’articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219. Quelle conversazioni "non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione". E’ uno dei passaggi principali del decreto firmato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per affidare all’Avvocatura dello Stato l’incarico di rappresentarlo nel conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo, sollevato davanti alla Corte costituzionale, nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. Decreto che è pubblicato integralmente sul sito del Quirinale.

IDV - "Ha ragione il Presidente della Repubblica quando sostiene che non devono esserci interferenze tra i vari organi costituzionali dello Stato e, proprio per questa ragione, ci auguriamo che nessuno, qualunque carica rivesta, interferisca con l’Autorità Giudiziaria nell’accertamento della verità". Lo afferma in una nota Antonio Di Pietro. "Ciò premesso - prosegue il leader Idv - l’Italia dei Valori si schiera, senza se e senza ma, al fianco di quei magistrati palermitani che stanno facendo ogni sforzo possibile per accertare la verità in ordine alla pagina buia rappresentata dalla trattativa tra Stato e mafia, che ha umiliato le istituzioni ed ha visto magistrati del calibro di Falcone e Borsellino perdere la vita, mentre altri trattavano per farla franca".

PD - Per il senatore del Pd, Stefano Ceccanti, "gli articoli 90 e 96 della Costituzione valgono anche per la procura di Palermo. L’odierna decisione della presidenza della Repubblica a tutela della funzione presidenziale e non di un privilegio personale era a questo punto inevitabile”.

PDL  - "Bene ha fatto il capo dello Stato a sollevare conflitto d’attribuzione nei confronti della Procura di Palermo per il gravissimo comportamento del procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che continua a violare anche le più semplici regole del vivere civile, per non parlare dei suoi violenti strappi alla carta Costituzionale in materia di riservatezza della comunicazioni, ancor più tutelate quando si tratti di conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica". Così il capogruppo del pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto.

UDC - Interviene anche il leader dell'Udc Pierferdinando Casini: "L’iniziativa del Presidente della Repubblica di chiarire le prerogative dell’istituzione che rappresenta - dice - è un atto di responsabilità che solo gli analfabeti possono fraintendere". "Le persone passano ma le istituzioni rimangono - prosegue Casini - ed è necessario che non si creino precedenti che possano inficiare le prerogative del Capo dello Stato. Sempre attuali sono, in proposito, le parole di Einaudi citate oggi da Napolitano”". "Proprio chi ha a cuore l’autonomia della Magistratura e il corretto rapporto tra i poteri dello Stato - conclude Casini - non può che riconoscersi nel ricorso alla Corte e nelle sue finalità, proprio chi ha difeso i giudici da reiterati e strumentali attacchi non puo’ che preoccuparsi per iniziative troppo disinvolte di certe Procure".