Milano, 5 agosto 2012 - Bye bye Baby. «Dicono che si è uccisa». Da Los Angeles le prime notizie del 5 agosto 1962 - era domenica - che arrivano ai giornalisti, sono quelle del coroner, che sul certificato di morte scrive: «Probabile avvelenamento da barbiturici». Cioè suicidio. Nella stanza di Marilyn Monroe, nata Norma Jean Baker 36 anni prima, c’era odore di vomito. Lei era distesa a pancia in giù con un lenzuolo tirato addosso, completamente nuda, una mano appoggiata sul telefono bianco. Sul comodino a fianco al letto, il coroner aveva visto subito la bottiglietta vuota di Nembutal, un barbiturico prescritto a Marilyn per la grave forma di insonnia che la tormentava, dal suo psichiatra Ralph Greenson.

Greenson non era uno psichiatra qualsiasi: era lo strizzacervelli freudiano più quotato degli Usa e in particolare dei divi di Hollywood. Di lui si sono dette tante cose. La prima è che tra i due si fosse instaurato un rapporto di dipendenza reciproca, la seconda è che l’ultima telefonata che le ha lasciato la mano appesa fosse stata fatta proprio a lui, quel 4 agosto sera: «Non riesco a dormire». E lui le avrebbe consigliato di farsi un giro sulla spaggia dell’oceano. Il tabulato telefonico però non lo prova. Del dottor Greenson si è detto anche, nelle innumerevoli testimonianze, libri, inchieste e pettegolezzi, che quella notte fu il primo ad arrivare alla casa con il patio di Brentwood, in California, dove Marilyn aveva scelto di vivere da pochi mesi solo con la sua amica e governante Eunice Murray.

Ecco la storia che la stessa Murray raccontò in un libro: alle 3 di mattina del 5 agosto aveva visto la luce filtrare dalla porta di Marilyn, chiusa a chiave dall’interno, e aveva chiamato l’attrice senza ottenere risposta. Allora aveva telefonato al suo psichiatra, Greenson. Lui aveva avvertito un altro medico e insieme avevano rotto un vetro della finestra.  La polizia però, quando è arrivata alle 4 e 24 minuti, ha trovato un po’ di cose che non tornavano. Prima di tutto il tempo trascorso: Marilyn sarebbe stata male verso mezzanotte, il medico sarebbe arrivato verso le 3 e mezza. La polizia era stata avvertita solo un’ora dopo. Perché? Nella stanza non c’era neppure un bicchiere o una bottiglia vuota di champagne (che lei beveva a litri) per ingoiare le pastiglie.

Tra le tante versioni che si sono acccumulate in 50 anni, c’è quella che Greenson sarebbe arrivato nella stanza subito dopo gli infermieri dell’ambulanza. Marilyn respirava ancora. Lui li avrebbe cacciati e le avrebbe praticato un’iniezione intracardiaca e lei spirò. Non andò così anche per Michael Jackson? L’autista dell’ambulanza aggiunge un particolare non di poco conto a quella strana notte: mentre stava andandonsene, vide una pattuglia di polizia fermare un’auto che sfrecciava a 120 chilometri orari: sui sedili c’erano Bob Kenney e suo cognato Peter Lawford.

Il diario di Marilyn venne messo in cassaforte, ma il giorno dopo, guarda che strano, è scomparso. Anche il fascicolo del Fbi che era stato aperto già ai tempi del suo matrimonio con Arthur Miller (il terzo marito), non si trova più. Lì dentro c’era anche un fascicolo denominato «love story Greta Garbo». E poi chissà. Di certo Marilyn aveva avuto una relazione (probabilmente dal ’57 al ’62) col presidente Jfk e poi era passata tra le braccia del fratello Robert, in quell’agosto ’62 ministro della Giustizia. Pochi mesi prima, Marilyn aveva rivelato di essere rimasta incinta di lui e sicuramente abortì in Messico (ebbe 14 aborti, forse solo due volontari). Per l’Fbi poteva essere una bionda ape regina spia dei russi o dei palestinesi? Di fatto era una donna che si portava a letto uomini potenti e in vista o addirittura nel mirino, come dimostreranno i due attentati andati a buon fine di entrambi i suoi amanti Kennedy, avvenuti quando di lei avevano il vago ricordo di un bel vestito verde confezionato dallo stilista fiorentino Emilio Pucci per darle sepoltura degna della sua bellezza e del suo mito.

L’autopsia svelò nel sangue di Marilyn dosi letali di due diversi tipi di veleni pari a un centinaio di pillole ingoiate. Pastiglie che però non vennero mai trovate nel suo stomaco. Ce n’era abbastanza per dichiarare misterioso il sucidio della star più grande del ventesimo secolo? Se si aggiunge la sua amicizia affettuosa con Frank Sinatra che gli presentò il futuro presidente degli Usa, e quella di tutti e tre con l’ex guardiaspalle di Al Capone Sam Giancana, la morte di Marilyn resterà più che un giallo, il simbolo della fine di un sogno. E non solo di quello americano.

di Bruna Bianchi