Roma, 17 agosto 2012 -  Nell'Esercito italiano giro di vite contro l'uso dei tatuaggi e dei piercing. Per nuove leve e militari già arruolati "proibiti tutti i tatuaggi sulle parti del corpo visibili con le uniformi estive. Proibiti, su qualsiasi parte del corpo, i tatuaggi che abbiano contenuti osceni, con riferimenti sessuali, razzisti, di discriminazione religiosa o che comunque possano portare discredito alle Istituzioni della Repubblica italiana e alle Forze Armate. Vietati i piercing su qualsiasi parte del corpo". I militari già arruolati che già abbiano dei tatuaggi d'ora in poi dovranno denunciarli al comandante del corpo e sottostare a una verifica sulla loro conformità.

Con la direttiva, che secondo la precisazione dell'Esercito non è ancora stata diramata, sono quindi vietati i tatuaggi ''osceni'', ''con riferimenti sessuali'', ''razzisti o di discriminazione religiosa'', quelli ''che possono portare discredito alle istituzioni dello Stato ed alle forze armate''. Quest'ultima categoria comprende ''quelli palesemente in opposizione alla Costituzione o alle leggi dello Stato italiano'' ed anche ''i tatuaggi che fanno riferimento ovvero identificano l'appartenenza a gruppi politici, ad associazioni criminali o a delinquere, incitano alla violenza e all'odio ovvero alla negazione dei diritti individuali o ancora sono in opposizione ai principi cui si ispira la Repubblica italiana''.

Il giudizio sulla liceità dei tatuaggi ''è competenza del Comandante di corpo per il personale in servizio e della Commissione concorsuale in sede di selezione''. Per ''definire la gestione della situazione pregressa'' ed ''evitare la successiva contestazione di tatuaggi già presenti'' all'atto dell'entrata in vigore della circolare, tutto il personale dell'Esercito ''dovrà provvedere a sottoscrivere obbligatoriamente una dichiarazione sulla presenza o meno di tatuaggi, che viene conservata nella documentazione personale''.

In sede di selezione, la presenza di tatuaggi può comportare ''un giudizio di esclusione dal concorso''. All'atto del cosiddetto 'incorporamento', il riscontro di un tatuaggio non consentito ''può essere rilevato direttamente dal relativo comandante (nelle sedi non coperte da uniforme)'' o dal personale medico ''nelle sedi coperte''.

Il personale militare arruolato prima dell'entrata in vigore della direttiva e partecipante ai concorsi interni della forza armata ''non sarà escluso per la presenza di tatuaggi poichè arruolato con la normativa previgente''.

E' competenza del Comandante di corpo ''verificare la veridicità della dichiarazione'' sulla presenza di tatuaggi, ''contestando direttamente al personale ogni violazione'' della direttiva per le zone non coperte dall'uniforme o ''tramite il d.s.s./ufficiale medico in caso di riscontro di tatuaggi non consentiti in zone coperte dall'uniforme''.''Qualora per le caratteristiche del tatuaggio sorga il dubbio sul mantenimento dell'idoneità al servizio, il Comandante deve avviare tramite il d.s.s./ufficiale medico la verifica dell'idoneità al servizio del militare secondo la vigente normativa sanitaria prevista per le diverse categorie di personale''.

In ogni caso, sottolinea il documento, ''non può essere sollecitata o suggerita al militare direttamente o implicitamente la rimozione del tatuaggio, tenuto conto dell'invasività dei trattamenti medici richiesti e dei possibili esiti del trattamento stesso. A tale scopo, il d.s.s. dovrà rendere edotto il personale interessato sugli aspetti di natura sanitaria connessi all'applicazione ed alla rimozione dei tatuaggi e sui rischi derivanti da tali attività''.
In presenza di un tatuaggio non consentito, il Comandante di corpo è invitato dalla direttiva ad attivare ''un apposito procedimento finalizzato all'eventuale adozione di un provvedimento disciplinare di corpo. Nei casi in cui la violazione sia di gravità tale (ad esempio tatuaggi con contenuti offensivi o di vilipendio per le istituzioni o configuranti apologia di reato) da ledere l'interesse generale dell'amministrazione ed abbia una rilevanza anche esterna all'amministrazione stessa, possono ricorrere i presupposti anche di una sanzione disciplinare di stato''.