Tino Fiammetta
MILANO, 3 settembre 2012 - «CREDIAMO che il tempo faccia dimenticare tutto. Non è vero, ci sono cose che non si dimenticano. È come un fiume carsico che scorre sotto terra e all’improvviso viene fuori. Ecco, la morte di mio padre è così, non è stata una morte naturale». Per Nando Dalla Chiesa è il giorno del ricordo e del dolore mai sopito. La prima domanda è privatissima. La seconda politica e riguarda la «firma» sulla strage.

Lei ha sempre indicato la Democrazia cristiana.
«Dopo trent’anni non ho cambiato idea. Ho fatto riferimento a quel gruppo di potere della Dc, ho fatto anche dei nomi, i cugini Salvo, Ciancimino, e poi Lima. E a quel sistema di potere ben consolidato in Sicilia a cui ho fatto riferimento fin dai primi momenti successivi all’attentato».

Un sistema di potere col quale il generale doveva fare i conti.
«Si sentivano minacciati da mio padre. L’azione di mio padre era diretta contro di loro. E non lo dico solo io e adesso. Anche mio padre in una lettera a Spadolini faceva riferimento a queste minacce».

E sull’attentato?
«Fu un gesto così palese, smaccato, squassante, Qualche giorno dopo l’assassinio di mio padre diedi un’intervista a Giorgio Bocca. Ricordo che feci dei nomi, dissi che era stato un delitto politico e di cercare i mandanti nella Dc».

Lei allora era molto giovane.
«Allora non avevo alcuna esperienza politica o di palazzo, diedi quel giudizio con gli occhi di chi aveva vissuto in caserma e respirato la lotta alla mafia».

Lei ha ripetuto ultimamente di avere un cruccio.
«Già, fu una cosa così sfrontata che mi rimprovero di non avere nemmeno immaginato che potessero ucciderlo. Pensavo che se lo avessero fatto davvero, sarebbe stato come firmare il delitto. Non immaginavo ancora che in Italia in pochi avrebbero voluto vedere la firma».

Gli esecutori sono in galera.
«Ma i mandanti no, quelli esterni intendo».

Veniamo alle polemiche di oggi. E la trattativa Stato-mafia?
«Anche questo già detto e scritto da tempo nel mio libro ‘Le convergenze’. La trattativa c’è stata, anzi una doppia trattativa, una con il nuovo partito che si andava formando, cioè Forza Italia che andava in Sicilia a caccia di consensi, e l’altra con lo Stato che riguardava le richieste presentate dai boss di Cosa Nostra».

Che puntavano a rivedere le norme sul carcere duro.
«Quello che chiedeva Riina...».

La trattativa si porta dietro anche le polemiche che coinvolgono il capo dello Stato.
«Il capo dello Stato è impropriamente chiamato in causa. Tutto questo non fa che avvelenare il dibattito politico in corso. Penso che tutto sia andato molto al di là delle vere intenzioni del presidente e per il bene di tutti sarebbe meglio mettere tutto a tacere».

Torniamo a lei. Domani sarà proiettato un documentario creato anche da sua figlia.
«Mia figlia Dora ha 29 anni è nata pochi mesi dopo la morte di mio padre e non l’ha mai conosciuto. Il film racconta proprio una bambina che cerca il nonno».