ROMA, 10 settembre 2012 - PIÙ di dieci anni persi, centinaia di milioni di euro finiti al macero e tanto lavoro della pubblica amministrazione per tornare al punto di partenza. La carta di identità elettronica, secondo gli ultimi progetti del governo dei tecnici, finisce nel cestino. Sarà sostituita da un nuovo documento unico, che incorporerà anche la tessera sanitaria e il codice fiscale. Una rivoluzione tecnologica (almeno si spera), destinata a mettere una pietra tombale su una delle riforme più fallimentari della recente storia italiana.
Ma cominciamo dall’inizio di questa lunga vicenda. La carta di identità elettronica (Cie) nasce nel 1997 con due leggi firmate dall’allora ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini: doveva trattarsi di una tessera che conteneva dati anagrafici, fiscali e sanitari del cittadino. Nel 1998, però un nuovo intervento normativo rivede leggermente il tiro e fa nascere la “Cie” per come la conosciamo (più o meno) oggi.

IL PROGETTO resta nel limbo per diversi anni e solo nel 2000 arriva un decreto che finalmente lo fa sbocciare. Nel 2001 parte una prima sperimentazione e nel 2006 viene messo a punto un piano industriale dal Poligrafico dello Stato che stima in 537,6 milioni di euro i costi per assicurare quasi 49 milioni di carte ai cittadini. La sperimentazione coinvolge 180 Comuni e porta a emettere, nel tempo, più o meno tre milioni di carte di identità elettroniche.
In tutto questo tempo, però, si susseguono decine di problemi e non c’è ministro dell’Interno o della Funzione pubblica che non annunci festante il prossimo pensionamento del documento cartaceo. Lo fa, ad esempio, Bassanini. Ma lo fa anche una legge del 2005, al governo c’era Silvio Berlusconi, secondo la quale (con un eccesso di ottimismo) dal primo gennaio 2006 tutte le carte di identità tradizionali avrebbero dovuto essere rimpiazzate da quelle di nuova generazione. Ovviamente, tutto è rimasto com’era. Mentre, con il tempo, è cambiato anche il costo della Cie, che è passato da 30 a 20 euro, scombussolando i piani del Poligrafico e creando grane legali. Comunque, resta il fatto che massicci investimenti sono andati in fumo. Secondo i dati del ministero dell’Interno i primi nove anni di sperimentazione sono costati 44 milioni di euro alle casse dello Stato. Secondo altre stime, invece, l’innovazione normativa, mai andata a buon fine, sarebbe costata molto di più: qualcosa come 300 milioni di euro.
Tanti soldi per raggiungere un risultato nullo. Perché, ed è cronaca degli ultimi giorni, il governo Monti ha deciso di buttare a mare il lavoro fatto sulla carta di identità elettronica per varare un nuovo documento: si tratterà di una card unica che incorporerà anche la tessera sanitaria e il codice fiscale e che sarà inserita, salvo sorprese, nel provvedimento in arrivo per l’attuazione dell’agenda digitale.

MA QUANTO costerà questa nuova rivoluzione? Secondo le prime stime, parecchio. Perché il nuovo documento dovrebbe essere obbligatorio per tutti i cittadini, anche sotto i diciotto anni. Un investimento non da poco se consideriamo che la vecchia carta di identità costava una ventina di euro, mentre il nuovo documento unico necessiterà di chip e di chiavi di accesso più sofisticati del suo predecessore.
Una parte della spesa dovrà essere sostenuta dai cittadini che, secondo le previsioni del ministero della Funzione pubblica, non saranno chiamati a sborsare più di 12 euro. Ma una parte sarà a carico dello Stato: il progetto di abbinare la carta di identità alla tessera sanitaria, guardando alle cifre spese finora, potrebbe valere 600 milioni di euro. Un costo che, di questi tempi, non è proprio trascurabile.

 

di Matteo Palo