A CAVALLO del ferragosto del 1969, a Bethel (NY), cinquecentomila giovani diedero vita alla tre giorni musicale che passerà alla storia come “Festival di Woodstock”. Frastornati dai virtuosismi della chitarra Fender di Jimi Hendrix o della Gibson di Carlos Santana; dalla voce roca di Cocker o dalle melodie di Johan Baez, in pochi si accorsero che stavano contribuendo a cambiare il Mondo. Fatte le debite proporzioni, a Campovolo c’erano quasi duecentomila persone: a differenza degli hippies dei lontani ‘70 i nostri, il Mondo, lo volevano cambiare. E se qualcuno avesse loro chiesto perché si trovavano lì, avrebbero risposto che riportare quanto li circondava allo stato precedente il sisma era l’unico motivo oltre ad assistere a un concerto senza eguali nei patri confini. A pochi chilometri di distanza, riportano le cronache, il bagno di folla che solitamente accompagna i comizi di Beppe Grillo, si era dissolto nel nulla: poche centinaia di distratti spettatori si ciondolavano nell’ascoltare le verità dell’ ”ex”-comico genovese. E le verità di Beppe, mio amico da trent’anni, erano le stesse di prima, dette con la stessa capacità e con la stessa enfasi. Intrise dei medesimi vaffa, ingredienti indispensabili per gremire le piazze all’inverosimile.

CHE DIFFERENZA c’era tra Grillo a Parma e il concerto per l’Emilia a Campovolo? Certo, uno era gratuito e l’altro a pagamento, seppure a fine benefico. Uno vedeva il classico “one man show” e l’altro l’alternarsi del meglio della musica non solo nazionale. Ma, nella Parma a Cinque Stelle, Beppe Grillo suonava politica. A Campovolo suonavano gli strumenti con la speranza di cambiare, di aiutare, di sentirsi piccoli e utili protagonisti quando i potenti sono convinti di poter trattare tutti come numeri. Ecco la differenza! Quando qualche politico incallito vi verrà a raccontare che mancano interesse e coinvolgimento nella cosa pubblica, ricordatevi quel 22 settembre del “lontano” 2012: la voglia di fare, in una sera calda a cavallo tra l’estate e l’autunno, è esplosa in una distesa di nulla nella pianura del Grande Fiume. Non fatevi infinocchiare dalle accuse del politico assuefatto: sta parlando solo per legittimare il suo status e per garantirsi la sopravvivenza nel limbo dei potenti. Ricordategli che c’è voglia di costruire, accorrere, aiutare, sentirsi vicini e cantare assieme.

C’È VOGLIA della “Polis” degli antichi miti, così lontana dai Batman di provincia. E qui mi fermo, per darvi tempo di digerire il ragionamento: non è giusto lasciare questo Paese in certe mani, perché il Paese è fatto dei «Dio vi benedica!» di Zucchero che rimane di stucco di fronte agli applausi di mezzo milione di mani. E tutto appare come spontaneo, voluto, affettuoso, sentito, utile. È quel battere di mani che deve accompagnarci ogni volta che pensiamo a coloro ai quali dobbiamo assicurare il futuro. Solo così, sotto al palco per “ricominciare” l’Emilia, l’ultimo eco di mea culpa, recitato in un consesso istituzionale capitolino dai moderni scherani di Al Babà, potrà apparirci lontano.

di Marco Buticchi