Tra slanci di trasparenza e impulsi alla segretezza l’opinione pubblica e i mass media di tutto il mondo possono curiosare in uno dei luoghi più segreti del mondo, l’appartamento personale del romano pontefice, vicario di Cristo in terra e sovrano assoluto di uno Stato plurisecolare.

Paolo Gabriele assisteva Benedetto XVI come un’ombra, ne conosceva i segreti, ne ha tradito la fiducia. Pensava di aiutarlo - o almeno così ha detto - denunciando al mondo la corruzione che aveva visto in Vaticano, ma ha provocato uno dei più gravi scandali degli ultimi anni per lo Stato pontificio.

Ora la Santa Sede è combattuta. Il Papa proclama il messaggio evangelico ‘urbi et orbi’, ma i sacri palazzi non sono abituati a esporre in pubblico i propri conflitti interni. Questa volta è diverso. Personalità schiva e integerrima, profondamente tedesco, Joseph Ratzinger ha deciso di affrontare gli scandali che stanno investendo la Chiesa cattolica in questi anni con spirito di trasparenza. Dalla pedofilia allo Ior, dalla controversia con i lefebvriani ai rapporti con ebrei e musulmani, ha preferito il linguaggio franco alle astuzie della diplomazia. A costo di qualche polemica con il mondo esterno e di qualche malumore nella Curia romana.

E ora, con il suo ex maggiordomo, Benedetto XVI ha voluto che gli inquirenti vaticani indagassero e che il processo venisse celebrato. Anche a costo di scandalizzare qualcuno che, in Vaticano, avrebbe preferito un profilo più basso. E che adesso spera che, chiudendo velocemente il processo, si concluda anche la vicenda Vatileaks. A parte la storia personale di Paolo Gabriele la fuga di documenti riservati ha fatto emergere divisioni e veleni, scontri tra vecchia guardia wojtyliana e nuove leve ratzingeriane, un governo a tratti malaccorto della segreteria di Stato e una fronda impietosa. Difficile voltare pagina come se il maggiordomo del Papa avesse agito da solo e come se gli ultimi mesi non avessero mostrato un ingranaggio inceppato. Tanto più difficile se il Papa è Joseph Ratzinger.