Torino, 28 febbraio 2013 - E’ stata ridotta a dieci anni, nel processo d’appello a Torino, la pena per l’amministratore delegato della Thyssenkrupp, Herald Espenhahn, per il rogo che nel 2007 costò la vita a sette operai. Secondo la prima sezione della Corte di Assise, infatti, non fu omicidio volontario, che in primo grado era valso a Espenhahn 16 anni e mezzo di carcere.

La Corte, presieduta dal giudice Giangiacomo Sandrelli, ha ridotto le pene anche agli altri cinque imputati. Raffaele Salerno, responsabile dello stabilimento, è stato condannato a 8 anni e mezzo. Gerald Priegnitz, membro del comitato esecutivo dell’azienda e il dirigente Marco Pucci a 7 anni. Per il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri i giudici hanno ridotto la condanna a 8 anni; per lui i pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso avevano chiesto di ridurre la pena inflitta in primo grado a 10 anni. Il dirigente Daniele Moroni è stato condannato a 9 anni. In primo grado erano stati condannati a pene comprese tra i 10 anni e 10 mesi e i 13 anni e mezzo di reclusione.

Inoltre è stato disposto il dissequestro della linea 5 dello stabilimento di Torino, quella in cui la notte del 6 dicembre divampò l’incendio, che verrà restituita all'azienda. La ThyssenKrupp Ast ha già annunciato che intende ricorrere "n Cassazione per ottenere il pieno riconoscimento delle tesi difensive presso la Suprema Corte".

GUARINIELLO - "Al di là del mancato riconoscimento del dolo eventuale resta una sentenza storica: quello che conta e’ che mai in Italia sono state date pene così alte per un incidente sul lavoro", è stato il commento del pm Raffaele Guariniello dopo la lettura della sentenza. "E’ vero - ha aggiunto - l’aspetto storico legato al dolo è venuto meno. Noi comunque porteremo avanti questa tesi nel prossimo grado di giudizio".

LA RABBIA DEI FAMILIARI - Al termine della lettura della sentenza, in Aula è esplosa la rabbia tra i parenti delle vittime. "Vergognatevi, maledetti", "Bastardi, fate schifo": hanno gridato i familiari. Lacrime, urla e si è quasi sfiorata la rissa con un avvocato.

"Non accetteremo mai questa sentenza. Hanno ammazzato di nuovo i nostri figli con questa sentenza", ha detto una delle madri che hanno occupato l’aula dopo la sentenza d’appello. Rosina Platì, madre di una delle vittime, il 27enne Giuseppe Demasi, ha chiesto: "Vogliamo incontrare il ministro della giustizia. Se non verrà, andremo noi dal Presidente Napolitano. Non capiamo perché siano state ridotte le pene - aggiunge - non è emerso nessun elemento nuovo durante il secondo grado".

AULA OCCUPATA - La maxi aula 1 del Palazzo di Giustizia di Torino, quindi, è stata occupata  per quasi quattro ore, dai parenti e dagli ex colleghi delle vittime, a cui si sono aggiunti alcuni aderenti di un’organizzazione di estrema sinistra, l'ex collettivo comunista piemontese che ha recentemente preso il nome di riscossa proletaria. Il procuratore generale Marcello Maddalena e il pubblico ministero Raffaele Guariniello sono scesi nella per incontrarli. Insieme ai due magistrati sono arrivati in aula carabinieri, poliziotti e il dirigente della Digos Giuseppe Petronzi.

"Ho detto che Eternit sarebbe stato il mio ultimo processo, invece resterò con voi per combattere questa battaglia fino in fondo", ha detto Guariniello cercando di rasserenare gli animi. "Cominceremo da domani a scrivere il ricorso in Cassazione - ha detto loro il pm - Non ci accontentiamo della colpa cosciente ma vogliamo che sia riconosciuto il dolo eventuale: è una battaglia che continueremo a fare e conto sul vostro aiuto che però deve essere intelligente, e non è questo il modo giusto". Il pm torinese ha spiegato ai parenti che "non è semplice quando si tratta di cambiare la giurisprudenza", riferendosi alla questione del 'dolo eventuale', riconosciuto in primo grado ma respinto dalla sentenza. "Nessuno è mai stato condannato a 10 anni di reclusione per un infortunio sul lavoro. Cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi", ha concluso.

Alle 18 i familiari saranno ricevuti in prefettura da un rappresentante dell'Ufficio territoriale del governo. "Chiederemo di incontrare il ministro della Giustizia, ormai andiamo fino in fondo" spiega Laura Rodinò, sorella di uno degli operai morti nel rogo in fabbrica.