Torino, 17 luglio 2013 - Dai fratelli Ligresti c’è “propensione a commettere reato”. Lo si legge nell’ordinanza firmata dal gip Silvia Salvadori sugli arresti dei Ligresti nell’ambito dell’inchiesta Fonsai. “Per quanto riguarda la scelta della misura cautelare da applicare - c’è scritto negli atti - la custodia in carcere appare l’unica adeguata a salvaguardare le esigenze cautelari immanenti ed evidenziate relativamente a Ligresti Jonella, Giulia Maria e Gioacchino Paolo, essendo assolutamente necessario che sia impedito loro qualsiasi contatto con i terzi, sia di persona che a mezzo del telefono, al fine di contenere, in particolare, la loro propensione al reato e il predetto rischio di fuga, non essendo ragionevole prevedere che tali esigenze potrebbero essere salvaguardate con semplici misure prescrittive, quali il divieto di ricevere visite e di avere contatti telefonici associati agli arresti domiciliari”.
 

“D’altronde, gli indagati - sottolinea il giudice - seppure consapevoli del presente procedimento e di quanto gli inquirenti stavano via via accertando, non hanno dato alcun segnale collaborativo, né rispetto alle indagini (pur se è un loro diritto), né alle proprie cariche funzionali, tutt’ora rivestite, a fronte di deleghe che nulla spostano rispetto alla propensione al delitto ravvisata, atteso che il fine ultimo delle operazioni di manipolazione del bilancio e di aggiotaggio, per cui si procede, si identifica principalmente (a prescindere da un fattivo intervento gestorio) nel perseguimento del loro interesse economico”.
 

Il fine ultimo delle manipolazioni del bilancio e dell’aggiotaggio “si identifica principalmente nel perseguimento dell’interesse economico” dei fratelli Ligresti (Gioachino Paolo, Giulia Maria e Jonella) per i quali è stata disposta la custodia cautelare in carcere (oltre ai domiciliari per il capostipite Salvatore Ligresti), afferma il gip di Torino Silvia Salvadori nell’ordinanza di 136 pagine. “La misura in questione, per altro verso - aggiunge il gip - appare del tutto proporzionata alla gravità dei fatti in contestazione, se si considera l’entità del falso (...). Falso che, ove fin da subito disvelato, avrebbe incrementato la perdita nel bilancio consolidato in una percentuale non inferiore al 40%, così imponendo una patrimonializzazione ben superiore”. 

“Io ho notizie che il buon Paolo ora va in vacanza, alle isole Cayman”: la frase è contenuta in un’intercettazione telefonica a commento di un imminente viaggio alle Cayman di Paolo Gioachino Ligresti e per il gip di Torino è uno degli elementi che porta a rilevare la sussistenza di “un rischio concreto che i componenti della famiglia Ligresti decidano di allontanarsi dalla giurisdizione nazionale”. 

“Sussiste un concreto pericolo di fuga - scrive il gip - desumibile dal possedere, ciascuno di loro, ingenti patrimoni in grado di fornire loro i mezzi necessari per lasciare il territorio nazionale e spostare il centro delle proprie attività in altri Paesi, al fine di eludere gli esiti delle indagini. D’altronde, gli indagati sono soci di società estere e ricoprono cariche nei rispettivi consigli d’amministrazione”. E poi: “E' di tutta evidenza come, da un lato gli stessi possano contare all’estero su di una rete di relazioni in grado di offrire loro un valido supporto, e dall’altro, come proprio la prospettiva di tutelare dei propri capitali personali ubicati fuori dal territorio nazionale possa ulteriormente rafforzare la convinzione di spostamenti in dette località".


I figli di Salvatore Ligresti erano soliti spostarsi utilizzando aerei privati, e per questo il gip ha ritenuto sussistesse il pericolo di fuga che ha portato all’ordinanza di custodia cautelare nei loro confronti. Il gip scrive che per i figli di Ligresti le condizioni del pericolo di fuga emergono dalla ‘’facilità nel reperimento di immediati mezzi di trasporto necessari per un rapido spostamento’’ e, in particolare, di aerei ed elicotteri.
In un’intercettazione telefonica tra Fausto Marchioni e un’altro manager, A.A., si evince che Jonella Ligresti, presidente di Fonsai, era solita ordinare ai suoi collaboratori il noleggio di aerei Falcon per spostarsi. Il gip riporta nell’ordinanza questa intercettazione tra A.A e Marchioni: ‘’Però ora mi possono anche chiedere: ‘scusi, 6.000 euro l’ora, costa il Falcon’! Me lo vieni a raccontare tu per quale motivo, (Jonella Ligresti, ndr) va avanti e indietro come una trottola?’’. 

Le Isole Cayman come possibile meta di un’ipotetica trasferimento dei Ligresti: è quanto appare in una intercettazione datata ottobre 2012 e inserita nell’ordinanza.
L’intercettazione riguarda una telefonata tra Fausto Marchionni (ad di Fonsai fino al 2011) e un manager della società, A.A.. Paolo Ligresti si era recato da poco in viaggio alle Cayman. Secondo Marchionni, ‘’senza tanta voglia di tornare’’ e con la consapevolezza che ‘’lo seguiranno poi anche gli altri’’. ‘’Me l’aspettavo che questi se ne andassero - dice l’ad di Fonsai rivolgendosi ad A.A. -. Anche Erbetta (direttore generale Fonsai e poi ad dopo Marchionni) mi ha fatto una battuta di quel genere lì’’.
Basandosi su questa intercettazione, il gip scrive: ‘’Che sussista un rischio concreto che i componenti della famiglia Ligresti decidano di allontanarsi dalla giurisdizione nazionale e’ opinione anche delle persone a loro vicine’’.

Per Giulia Maria Ligresti si trattava di “un complotto delle banche e dei salotti che contano”: questo disse a più riprese ai pm che l’ascoltarono nell’ambito dell’inchiesta in corso. Giulia Maria Ligresti si era presentata spontaneamente al pm nel febbraio 2012, “ma pur rivestendo all’epoca dei fatti la carica di Presidente del CdA di Premafin - scrive il gip - non ha inteso rispondere a domande relative al processo di formazione dei bilanci di Fondiaria-Sai e di Milano Assicurazioni, società delle quali è stata componente il Comitato Esecutivo fino al 23 dicembre 2011, limitandosi a sottolineare, in un ottica minimalista, il personale disinteresse per la gestione di Fondiaria-Sai”. 

La donna parlò soprattutto di un dossier che stava predisponendo e che è stato sequestrato nella sua abitazione “finalizzato a dimostrare come il progetto di integrazione di Fondiaria-Sai spa e di Milano Assicurazioni spa con Unipol - scrive il gip - non sia altro che il risultato di un disegno ordito da Unicredit e Mediobanca, esclusivamente finalizzato ad estromettere la famiglia Ligresti dalla Compagnia”. E si aggiunge: “Nel corso di tre deposizioni, Giulia Maria Ligresti ha ribadito a più riprese la tesi del ‘complotto delle banche’ e ‘dei salotti che contano’, senza fornire alcun elemento a chiarimento delle condotte in contestazione”. Il gip aggiunge che “nessun elemento favorevole di valutazione è stato offerto dall’indagata”. 

In merito alle esigenze cautelari, il gip parla di “plurimi tentativi, ancora in corso, da parte di alcuni indagati, grazie alla loro posizione di influenza, per condizionare le dichiarazioni di alcune delle persone che sono state chiamate a deporre dagli inquirenti o per apprendere da costoro, quantomeno, l’oggetto della loro deposizione”. In particolare, Erbetta, per il Gip “non solo cerca di suggestionare i testi, ma tenta altresì di evitare che le sue conversazioni telefoniche vengano captate”.

E aggiunge: “Erbetta si muove costantemente per conoscere quale sia lo stato dell’indagine, auspicando, quantomeno, di poter interferire sul tenore delle deposizioni, o in via preventiva ovvero in via successiva, magari suggerendo di modificare versioni in un secondo momento”. Nell’ordinanza si dice inoltre che dalle intercettazioni “emerge una diffusa tendenza tra gli indagati, a concordare versioni comuni, ed in particolare tra Erbetta e Marchionni”. I due avrebbero cercato anche di “individuare “il nominativo dell attuario triestino che sarebbe stato nominato come consulente tecnico nell ambito del procedimento”.

Oltre all’accusa di falso in bilancio, in relazione ai conti 2010 (approvati nel 2011), la procura di Torino contesta ai sette destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare anche il reato di aggiotaggio informativo. Questo sarebbe stato commesso in quanto, in seguito alle azioni che hanno portato a inserire informazioni “false” nel bilancio, “diffondevano i dati relativi al bilancio consolidato di Fondiaria Sai occultando una perdita non inferiore a 538 milioni di euro e non inferiore a 238 milioni di euro per Milano Assicurazioni, così occultando una perdita a conto economico consolidato in percentuali non inferiore, rispettivamente, al 37% Fondiaria Sai e al 22% Milano Assicurazioni, notizie quindi idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo Fondiaria Sai e Milano Assicurazioni”. Per il gip, in particolare, la “sottostima” delle riserve sinistri per 538 milioni di euro nel bilancio 2010 serviva “non solo nel cercare di mantenere una apparente immagine di solidità patrimoniale e finanziaria della compagnia assicurativa nel mercato nonostante le forti criticità negative registrate nell’esercizio di chiusura, ma soprattutto nel cercare di salvaguardare gli interessi dell’azionista di riferimento, la famiglia Ligresti”, che attraverso Premafin controllava il gruppo assicurativo, considerando che “Premafin non aveva altre fonti di reddito se non che i proventi delle partecipazioni, la quasi totalità costituiti dai dividendi della controllata Fonsai (dividendo in realtà sempre assicurati nonostante un risultato netto gravemente in perdita negli anni 2009 e 2010)”.
 

“Io non sono disposto a prendermi certe responsabilità, che erano degli azionisti. Io ero un manager. Io ero un manager, e quindi io manager eseguivo quelle che erano le disposizioni dell’azionista di maggioranza”: è quello che dice Antonio Talarico in una telefonata con Fausto Marchionni intercettata dagli inquirenti sul caso Fonsai. Gli risponde Marchionni: “Tu facevi parte di un consiglio e, quindi, dovevi tutelare anche gli azionisti di minoranza”. Secondo gli inquirenti, dalla conversazione si evince “la piena consapevolezza, in capo ai due indagati, sui doveri connessi alla loro qualifica”.

Scrive il gip che “è innegabile che gli indagati fossero pienamente consapevoli, accettandone il rischio, che nel favorire i loro interessi patrimoniali mediante false comunicazioni di bilancio, potessero pregiudicare i diritti dei soci azionisti di minoranza (e di altre categorie, come dipendenti, assicurati e altri) che, soprattutto, chi deteneva una posizione di garanzia a livello societario, avrebbe dovuto proteggere”.