Roma, 11 settembre 2013 - Il comitato scientifico nominato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin per esaminare il metodo Stamina si è espresso negativamente sull’opportunità di iniziare la sperimentazione clinica.

Il comitato consegnerà domani il suo dettagliato rapporto al ministro Lorenzin, nel quale dovrebbero essere riportate le perplessità della maggioranza dei membri del comitato sul metodo di Davide Vannoni, per il quale non ci sarebbero fondamenti scientifici tali da giustificare l’avvio della sperimentazione. L’ultima parola, in ogni caso, spetta al minstro.

RICORSO AL TAR - La fondazione Stamina però non ci sta e ha pronto un ricorso al Tar "contro un comitato scientifico di parte", per la rinomina "di quei membri che già si erano espressi chiaramente contro il metodo Stamina", ha  detto il presidente della fondazione Davide Vannoni, commentando la bocciatura del metodo. “Il ricorso - ha precisato Vannoni - era già pronto prima di conoscere la decisione del comitato, perchè eravamo già convinti che i membri fossero fortemente prevenuti. Ora aspettiamo di conoscere le motivazioni di questa loro scelta, fermo restando che il Parlamento ha stabilito che la sperimentazione si deve fare, e ha già stanziato 3 milioni di euro. Non credo che il comitato possa bloccarla".

IL METODO STAMINA - Il metodo Stamina, messo a punto dal presidente della Stamina Foundation Davide Vannoni, si basa sulle cellule staminali del midollo osseo, chiamate mesenchimali, note per la loro capacità di dare origine ai tessuti di ossa, pelle e cartilagine. Secondo la Fondazione Stamina, sarebbe possibile trasformare queste stesse cellule anche in neuroni, utilizzando una sostanza nota per la funzione che svolge nello sviluppo delle cellule, come l’acido retinoico, e diluendola nell’etanolo.

La tecnica consisterebbe quindi nell’estrarre le cellule staminali mesenchimali dal midollo osseo dei pazienti, nel tenerle in coltura nell’acido retinoico diluito per farle differenziare in cellule nervose e quindi nel reinfonderle nello stesso paziente.

La Fondazione Stamina ritiene che la tecnica sia efficace per curare malattie neurodegenerative, come l’atrofia muscolare spinale (Sma). Quest’ultima è diventata famosa come la "malattia di Celeste", dal nome della bambina di due anni i cui genitori hanno presentato nell’agosto 2012 un ricorso perché potesse riprendere la terapia sperimentale cui era stata sottoposta presso gli Spedali Civili di Brescia.