Cagliari, 22 settembre 2013 - "Sono venuto per condividere con voi gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e aspirazioni della vostra Isola, e per confermarvi nella fede". Così Papa Francesco ha spiegato la sua scelta di iniziare da Cagliari - dopo Lampedusa - le sue visite pastorali in Italia.

Duecentomila persone si sono radunate nella zona del Largo Carlo Felice e via Roma per il primo incontro del pontefice con il mondo del lavoro. In prima fila gli operai delle aziende sarde in crisi, dal Sulcis - una delle province più povere d’Italia - al Nuorese sino al Nord Sardegna. Con i caschetti bianchi i lavoratori di Alcoa e Eurallumina, con quelli gialli i minatori della Carbosulcis, mentre da Fiumesanto è giunta una delegazione di lavoratori della centrale E.On che avevano già incontrato Bergoglio a Roma cinque mesi fa.

Sono bastate poche parole di Bergoglio per far commuovere gli operai: "Dove non c’è lavoro manca la dignità". Una frase che ha raccolto gli applausi di tutti, mentre i volti dei lavoratori vicini al palco si sono bagnati di lacrime. Dalla folla si è levato il coro "lavoro, lavoro".

LA LETTERA DI UN OPERAIO - Il primo appuntamento della giornata si è aperto con la lettura delle lettere aperte di un operaio, di un imprenditore e di un pastore. "Mi chiamo Francesco sono un operaio e dal febbraio 2009, ormai più di quattro anni, sono senza lavoro", ha esordito il primo chiedendogli di "intercedere sul presidente della Regione e su chi ha autorità per risolvere le vertenze" perché "il Sulcis, il mediocampidano, il nuorese e il sassarese muoiono ogni giorno". Ci sono, ha sottolineato l’operaio, in Sardegna "migliaia di disoccupati cassaintegrati e precari, appartenenti a industria, agricoltura, pastorizia e commercio". "Grazie - ha aggiunto - per la sua presenza di grande incoraggiamento per noi". "La mancanza di lavoro - ha sottolineato - rende lo spirito debole, una debolezza che genera paura e la paura indebolisce la fede e la fiducia nell’avvenire". "Papa, papà di tutti noi, non lasciarci soli", ha concluso.

LA LETTERE DI UNA IMPRENDITRICE  - "Le chiediamo di benedire tutte le attività imprenditoriali della nostra isola, dalle grandi industrie alle piccole società", ha detto invece nella sua lettera l'imprenditrice. "Tanti imprenditori - ha aggiunto - vivono la drammatica responsabilità di fare di tutto per non perdere posti di lavoro" ma "la crisi - ha sottolineato - ci ha messo a dura prova, tanto che nessuna impresa si sente sicura per il futuro".

LA LETTERA DI UN PASTORE - La pastorizia rappresenta "una parte importante dell’economia della Sardegna" e "nella consapevolezza di curare la terra che il Creatore ha affidato alla nostra responsabilità", per "consegnarla alle nuove generazioni in uno stato tale che anche esse possano degnamente abitarla e valorizzarla, vogliamo essere annunciatori del Vangelo nelle nostre campagne. Santità, noi la riconosciamo nostro buon pastore e le chiediamo di benedire il nostro lavoro, la nostra terra le nostre speranze", ha detto infine il pastore.

PAPA FRANCESCO: I MIEI PERSERO TUTTO IN ARGENTINA - "Con questo incontro desidero soprattutto esprimervi la mia vicinanza, specialmente alle situazioni di sofferenza: a tanti giovani disoccupati, alle persone in cassaintegrazione o precarie, agli imprenditori e commercianti che fanno fatica ad andare avanti", ha risposto al loro appello Papa Francesco. "E’ una realtà che conosco bene per l’esperienza avuta in Argentina. Anche io non avevo conosciuta la mia famiglia, mio papà giovane è andato in Argentina pieno di illusioni a farsi l’America e ha sofferto la terribile crisi del Trenta. Hanno perso tutto. Non c’era l’oro - ha continuato -. E io ho sentito nella mia infanzia parlare di questo tempo a casa. Io non l’ho visto, non ero nato ancora. Ma ho sentito in casa parlare di questa sofferenza. La conosco bene. Devo dirvi coraggio. Ma sono cosciente che devo fare il mio perché questa parola coraggio non sia una bella parola di passaggio. Non sia solo il sorriso di un impiegato della Chiesa che viene e vi dice coraggio. Questo non lo voglio".

NEL MONDO UN  IDOLO CHE SI CHIAMA DENARO  - La crisi e le sue sofferenze "è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia, un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro - ha detto ancora Bergoglio -. Dio ha voluto che al centro non ci sia un idolo, ma un uomo e una donna. Il mondo è diventato idolatra, comanda il denaro". "Cadono gli anziani - ha proseguito - perché in questo mondo non c’è posto per loro. Alcuni parlano di questa eutanasia nascosta, perché non vengono curati, vengono lasciati perdere".

SI SCARTANO ANZIANI E GIOVANI: BASTA GLOBALIZZAZIONE - "Si scartano i nonni e si scartano i giovani e noi dobbiamo dire no a questa cultura dello scarto. Dobbiamo dire ‘vogliamo un sistema giusto, che faccia andare avanti tutti’. Non vogliamo questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male. Al centro devono essere l’uomo e la donna, non il denaro".

DOBBIAMO ESSERE FURBI  - "Dobbiamo essere furbi, perché il Signore ci dice che gli idoli sono più furbi di noi. Il Signore ci invita ad avere la furbizia del serpente, anche con la volontà della colomba. Dobbiamo avere questa furbizia e chiamare le cose col loro nome. Oggi al centro c’è un idolo", quello del denaro. "Lottiamo tutti insieme perché al centro ci sia l’uomo e la famiglia".

NON LEGGERO' UN DISCORSO DA IMPIEGATO DELLA CHIESA CHE VI DICE 'CORAGGIO' (IL DISCORSO ORIGINALE) - Il Papa ha tenuto il suo discorso a braccio, sebbene avesse iniziato a leggere il discorso che aveva preparato. Dopo poche frasi, però, ha preferito prima raccontare la sua esperienza personale e poi dire quello che gli veniva dal cuore, tralasciando il testo scritto. Perché, ha detto, il suo non fosse "il sorriso di un impiegato della Chiesa che viene e vi dice ‘coraggio’". "Avevo scritto - ha raccontato al termine del suo intervento - alcune cose per voi, ma guardandovi mi sono venute queste parole. Lo consegnerò al vescovo queste parole scritte come se fossero state dette, ma ho preferito dire quello che mi viene dal cuore guardandovi in questo momento".

LA SECONDA CITTA' D'ITALIA CHE VISITO, LA SECONDA ISOLA - "Questa è la seconda città che visito dell’Italia, è curioso. Tutte e due sono isole. Nella prima ho visto la sofferenza di tanta gente che cerca, rischiando la vita, dignità, pane e salute. E’ il mondo dei rifugiati. E ho visto la risposta di quella città che, essendo isola, non ha voluto isolarsi, che riceve e ci dà un esempio di accoglienza. Sofferenza e risposta positiva". Lo ha detto Papa Francesco nel corso della sua visita a Cagliari, riferendosi a Lampedusa. "Anche qui - ha continuato - in questa seconda isola che visito, trovo sofferenza, una sofferenza che, qualcuno ha detto, ti toglie la speranza (questa è una citazione della lettera aperta rivolta a lui che un operaio aveva letto poco prima, ndr). Una sofferenza che ti porta, scusate se uso una espressione forte, ma è vero, ti porta a sentirti senza dignità".

LA PREGHIERA - Dopo il suo appassionato discorso a braccio davanti al mondo del lavoro sardo, il Papa ha invitato i presenti a pregare con lui. "Signore Dio guardaci, guarda questa città, questa isola, guarda le nostre famiglie; a te non e’ mancato il lavoro, hai fatto il falegname ed eri felice. Signore ci manca il lavoro, gli idoli vogliono rubarci la dignità, i sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza, Signore, non ci lasciare soli, aiutaci a aiutarci fra noi, che dimentichiamo un po’ di egoismo e sentiamo nel cuore il ‘noi’, noi è un popolo che vuole andare avanti. Signore Gesù cui non mancò il lavoro dacci il lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro, e benedici tutti noi", ha detto Francesco chiedendo poi a tutti di pregare per lui.

L'INCONTRO CON POVERI E DETENUTI - Un altro momento toccante della visita di Papa Francesco è stato l'incontro con i poveri assistiti dalla Caritas e alcuni detenuti del carcere di Sassari e di Cagliari e dell’istituto Minorile di Quartucciu (Cagliari) nella Cattedrale. "Qui tutti abbiamo difficoltà, tutti abbiamo miserie, tutti noi abbiamo fragilità, nessuno qui è meglio dell’altro e tutti siamo uguali davanti a Dio", ha detto il pontefice. Bergoglio ha denunciato che "a volte si trova anche l’arroganza nel servizio ai poveri". "Alcuni si fanno belli, si riempiono la bocca con i poveri; alcuni strumentalizzano i poveri per interessi personali o del proprio gruppo. E’ umano - ha ammesso Francesco - ma non va bene: è peccato grave perché è usare i bisognosi, che sono la carne di Gesù. Uso Gesù per la mia vanità e questo è un peccato grave". "Sarebbe meglio - ha concluso - che queste persone se ne rimanessero a casa".

"FINE PENA MAI" - Il Pontefice ha anche ricevuto un cesto con i prodotti tipici sardi donati dai detenuti delle tre colonie penali della Sardegna, Isili, Mamone e Is Arenas, e una lettera scritta da un ergastolano. Il detenuto ha chiesto al Santo Padre di intercedere e aprire il cuore ai governanti e ai parlamentari affinché dall’ordinamento nazionale sparisca "la tortura dell’ergastolo". Nella stessa missiva c'era anche una poesia dal titolo “Fine pena mai”.