Arcisate (Varese), 30 settembre 2013 - DOVEVA essere uno dei simboli dell’eccellenza lombarda in chiave Expo 2015, è diventata la Salerno-Reggio Calabria del Nord. La ferrovia italo-svizzera Arcisate-Stabio non si farà, almeno non in tempo per l’appuntamento internazionale milanese, come ha detto il governatore lombardo Roberto Maroni. Situazione che ha ereditato dal crepuscolo del ventennio formigoniano: i cantieri furono inaugurati in pompa magna il 24 luglio del 2009, più di quattro anni fa. Da cronoprogramma iniziale la ferrovia avrebbe dovuto essere ultimata proprio in questo periodo, per entrare in funzione all’inizio del 2014, invece la Valceresio, zona a nord-est di Varese a ridosso del confine, è ancora tutto uno squarcio. I cantieri hanno devastato paesi, in particolare Arcisate e Induno Olona, cuore della parte italiana dell’opera. Al di là del confine i lavori sono terminati, è già stato anche celebrato l’open day con tanto di bambini a manovrare le macchine e video della futura fermata; in Italia imperversano polemiche, contrordini e accuse reciproche.


DOPO oltre quattro anni non solo l’opera non è pronta — i lavori sono stati completati al 40% —, ma dal 13 settembre i cantieri sono ufficialmente chiusi e non ci sono segnali di ripartenza. Una vicenda resa paradossale dal fatto che si tratta di una ferrovia di poco più di 8 chilometri, dei quali solo 3,6 da realizzare ex novo, gli altri da potenziare su binari esistenti. Un’opera non faraonica, ma fondamentale per i collegamenti su rotaia di un’area vasta e strategica. L’Arcisate-Stabio permetterebbe di collegare non solo Varese col Canton Ticino e con Como (attraverso l’interscambio di Mendrisio), ma anche l’aeroporto di Malpensa con Lugano e altre città della Svizzera centrale e meridionale, oltre ad agganciarsi alle importanti direttrici del Sempione e del Gottardo, grazie all’interscambio ferroviario di Gallarate.
Il problema principale è sorto quando si è scoperto, nel maggio 2011, che le rocce da scavare per realizzare le galleria contenevano arsenico di origine naturale, materiale che per essere smaltito necessita di una procedura particolare con un aggravio di costi. L’arsenico c’era anche in Svizzera, ma nella Confederazione hanno norme meno rigide rispetto all’Italia e all’Unione europea, così è filato tutto liscio. Qui è cominciato il braccio di ferro tra Rete ferroviaria italiana, committente dell’opera, e l’azienda appaltatrice, la Ingegner Claudio Salini Grandi Lavori che, altro paradosso, è anche alla guida del consorzio di imprese che ha realizzato i lavori nella parte svizzera. Il costo iniziale di 223 milioni di euro è lievitato, ma nel frattempo si è cominciato anche a non rispettare il cronoprogramma iniziale, così il confronto tra le parti si è inasprito tra calcolo di penali, pagamento dello stato avanzamento lavori e costi di smaltimento dell’arsenico. Regione Lombardia ha cercato una mediazione, prima con l’assessore alle Infrastrutture Raffaele Cattaneo, braccio destro di Formigoni, poi col suo successore nella Giunta Maroni, Maurizio Del Tenno. Ogni volta che pareva essere vicini a una svolta, i problemi sono puntualmente riemersi. Della vicenda è stato investito anche il ministero delle Infrastrutture e negli ultimi giorni se ne è occupato direttamente il governatore Maroni, commissariando di fatto il suo assessore: «Penso di aver trovato una soluzione, ma i tempi per l’Expo non saranno rispettati», ha ammesso il numero uno del Pirellone.

di Michele Mezzanzanica