Cristina Rufini

GROSSETO, 6 ottobre 2013 - UN ALBERGO termale di lusso e un centro benessere con le dimensioni di un borgo toscano, alcune residenze turistiche per i soggiorni più lunghi. In più una piscina termale con relativo percorso per gli accessi giornalieri. Tutto intorno negozi e servizi. A una manciata di chilometri dal centro della città. Un paradiso terrestre? Forse. Nella fantasia, però. Perché il progetto di recupero delle antiche terme di Roselle, la più popolosa frazione di Grosseto, è naufragato in pastoie burocratiche e mutevoli volontà politiche. L’imponente scheletro troneggia in mezzo a un campo, accerchiato da erba alta, degradato. Visibile dal dedalo di raccordi stradali tra la Variante Aurelia e la Grosseto-Siena. Sta lì, immobile e primo biglietto da visita per quanti arrivano in città. A poche centinaia di metri c’è una frazione che ha necessità vitale di espandersi. Di acquisire la dignità di paesone.

EH SÌ, le Terme di Roselle, inutile nascondersi, sono una cattedrale nel deserto di erba e fango. Qualcuno ci ha provato a rimetterle a nuovo, ma con poca fortuna. E ora la vicenda ha raggiunto le aule dei tribunali, in un contenzioso tra amministrazione comunale e Rosellae Thermae — la società a capo dell’associazione temporanea di imprese che 13 anni fa si era presa l’onere di ridare lustro alle terme leopoldine (24mila metri cubi di strutture in disuso) — che va avanti da anni e su cui non è ancora stata scritta l’ultima sentenza. Il piano per realizzare il Parco di Roselle era ambizioso: le strutture ricettive spalmate su 20mila metri quadrati, per un totale di 60mila metri cubi di volumetrie e una capacità ricettiva di 240/280 turisti, con la creazione di 150 posti lavoro.
Siamo nel 2000 quando comincia l’iter amministrativo per dare il via alle ruspe. L’anno precedente, sotto il secondo mandato a sindaco di Alessandro Antichi, il consiglio comunale aveva dato parere favorevole ai criteri per valorizzare quell’area, con la previsione di incassare 30 miliardi di vecchie lire dagli oneri di urbanizzazione. Ci sono però da risolvere questioni: su tutte l’esproprio di alcuni terreni. Il Comune non ha la proprietà dell’intera area. La società non si muove se non ha la disponibilità dell’intera fetta di territorio. Nel 2002 viene firmata la concessione tra Comune e Ati per la costruzione e la gestione del Parco di Roselle. La società sborsa quasi 400mila euro per l’esproprio. Nel 2004, però, arriva a gamba tesa la decisione del Tar Toscana di accogliere i ricorsi di alcuni privati espropriati, per difetto di notifica della variante urbanistica.

È LA CAPITOLAZIONE. Inizia così un turbinio di proposte e controproposte tra Comune, privati e Rosallae Thermae, con l’unico risultato, sotto il primo mandato del sindaco Emilio Bonifazi — di altra sponda politica — di imboccare la via del contenzioso. La società decide di attivare il lodo arbitrale e chiede al Comune 11 milioni di euro tra restituzioni di cifre sborsate, interessi e mancati guadagni. È il 2008 e si arriva fino al 2011 quando gli arbitri riconoscono alla società il diritto di avere dal Comune 441mila euro. Ma la Rosellae presenta ricorso in Appello, non ancora concluso, e si attiva per pignorare le casse comunali. L’ente accantona un milione di euro. «Abbiamo ragione — ha sempre sostenuto il sindaco Bonifazi — e vogliamo rilanciare la frazione, con la realizzazione di un centro civico». Non è dello stesso avviso l’amministratore delegato della Rosellae, Massimo Scagliotti. E la cattedrale nel fango può attendere.