ERTO E CASSO (Pordenone), 9 ottobre 2013 . NON ha partecipato alle celebrazioni del Vajont.
«Lasciatemi stare, per carità. Mi sono tolto da quell’agone. Adesso hanno scoperto i morti a cifra tonda. Cinquant’anni dopo». Mauro Corona (nella foto), scrittore e scultore, uomo di montagna, è chiuso a chiave nel suo laboratorio-bunker di Erto nuova. I libri, il fuoco, lampade ovunque, un disordine creativo. Sotto il portico arriva una signora con una copia dell’ultimo libro, «volevo un autografo...». Un gruppo di ragazzi suona, «possiamo salutarti?». Una famiglia studia i tronchi d’albero, qualcuno è già scultura. Poi il padrone di casa ci ripensa e s’addolcisce, diventa un’altra persona mentre rivolge una preghiera al Papa.

Lo invita qui.
«Francesco ci faccia una carezza. Venga a dire una messa quassù. Questa è la nostra Lampedusa. Una Lampedusa che dura da cinquant’anni. Quei poveri morti sono annegati nell’acqua. Qui l’acqua ci è piovuta addosso dall’alto».

La gente della valle aspetta ancora le scuse dello Stato.
«Se penso che i sindaci e i superstiti erano già pronti ad andare a Roma... Una vergogna».

Poi la cronaca politica ha fatto saltare tutto.
«Per fortuna... Noi non dobbiamo elemosinare nulla, per dignità. Dopo cinquant’anni di oblio, vorrei che il presidente della Repubblica venisse a posarci una mano sulla spalla. E al Papa dico: venga a pregare con noi, ci faccia una carezza, celebri una Messa».

Millenovecentodieci morti.
«E qui da noi, a Erto, un paese protetto dall’Unesco e dalle Belle Arti ma che sta crollando, non si è mai fatto vivo nessuno. Siamo stati martoriati, abbandonati e vilipesi. Erto vuol dire scosceso, scorticato nell’anima. Come la sua gente. Che aspetta ancora».

ri. ba.