Andrea Zanchi

BOLOGNA, 13 ottobre 2013 - C’È UN BUCO nero nel centro storico di Bologna, sotto le vie dello shopping, le vetrine luccicanti e i simboli della città. Uno dei vanti del capoluogo emiliano nell’immediato dopoguerra, che oggi ha conosciuto un declino rapido e inesorabile, fino quasi a scomparire dalla geografia fisica — da quella sociale e civile è successo già da un bel po’ — della città. È il sottopassaggio pedonale tra via Rizzoli, Ugo Bassi e Indipendenza che corre pochi metri sotto il livello stradale ma ormai lontanissimo dalle attenzioni dei bolognesi, visto che è stato chiuso in fretta e furia più di dieci anni fa e da allora non ha mai più riaperto. Inaugurato nell’aprile del 1960 — dopo tre anni di lavori, 45 milioni di lire di spesa e il ritrovamento di alcuni mosaici medievali e soprattutto di un tratto della via Decumana di epoca romana, parte antica della via Emilia — il sottopassaggio nacque con un obiettivo tanto semplice quanto efficace, ossia permettere il transito in uno degli incroci più congestionati della città: si scende da una parte della carreggiata e si risale dall’altra, velocemente e senza pericoli. Un’intuizione vincente. Tanto che poco dopo si creò un’opera identica tra via Ugo Bassi, Marconi, Lame e piazza Malpighi.

NELL’EPOCA d’oro di Bologna, gli anni Sessanta, i sottopassaggi diventarono presto un mondo sotto un altro mondo, una specie di alter ego della vita di tutti i giorni che scorreva in superficie: gli spazi sotterranei ospitavano bar, uffici, negozi, biglietterie, frequentatissime toilettes pubbliche. E soprattutto gente. Così tanta che in alcuni giorni sembrava di essere finiti al centro dello struscio sotto il portico del Pavaglione, l’incontrastato tempio dello shopping bolognese. Dei portici i sottopassaggi erano l’ideale continuazione sotterranea, ma la loro fortuna iniziò a declinare tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90: man mano che le attività commerciali chiudevano una dopo l’altra, la loro identità andò svanendo, facendoli diventare per davvero luoghi solo di passaggio. E dunque trascurati e anonimi, meta prediletta di un’umanità sempre sul filo della legge. Al posto degli impiegati iniziarono a comparire gli spacciatori, mentre gli anfratti più nascosti e i bagni pubblici diventarono rapidamente luogo di fugaci incontri sessuali, spesso a pagamento. Ben presto, e si arriva così al 2000, divenne chiaro che la soluzione più efficace era chiudere tutto. E in fretta. Spuntarono muri al posto degli ingressi. Poi cancelli e lucchetti.

DA QUEL momento Bologna si interroga ciclicamente — e senza successo — su come recuperare quegli spazi. L’unico barlume di speranza è apparso tra il 2003 e il 2004, quando, con la costruzione delle ‘Gocce’ vicino a piazza Maggiore (due strutture che si ispiravano, nello stile e nei materiali, alle più recenti tendenze dell’architettura moderna), una parte del sottopassaggio di via Rizzoli ospitò l’Urban Center, lo spazio espositivo dei progetti urbanistici cittadini. Una parentesi brevissima, però, perché nel 2005 l’allora sindaco Sergio Cofferati decise di far smontare le due strutture e trasferire il centro. I cui locali sotterranei, qualche anno più tardi, sono stati riaffittati per le iniziative scientifiche della fondazione Golinelli. E da allora, sotto i portici e pochi passi dalle Due Torri, tutto tace.