SIGONELLA (Siracusa), 14 OTTOBRE 2013 - DICI SIGONELLA e pensi ancora a quella notte dell’11 ottobre 1985 quando 20 avieri della Vam e 30 carabinieri non cedettero di un millimetro a 50 Navy Seals e Delta Force e rifiutarono di consegnare agli americani i terroristi Abu Abbas e Hani el Hassan, atterrati a bordo di un aereo egiziano dopo il rapimento della Achille Lauro. Altri tempi. Quella crisi tra Bettino Craxi e Ronald Reagan è trapassato remoto e la Naval air station di Sigonella — potenziata dal 2001 a oggi con investimenti per 300 milioni di dollari — è oggi la piattaforma operativa e logistica per le operazioni antiterrorismo americane in Africa. Molto operativa.
Nel caffè ‘Di Napoli’ e nella palestra/piscina ‘The fit zone’, nel centro commerciale e nell’ospedale della Us Navy della base — forte di 3.100 uomini e comandata dal capitano di vascello Christopher J. Dennis — tutto è come sempre. Alla vigilanza sono cortesi, ma fermi e non lasciano filtrare molto di più dell’anidride carbonica frutto della respirazione.
La polemica relativa alla costruzione del centro di comunicazioni Muos di Niscemi scotta e si evita come la peste la sovraesposizione mediatica. Eppure è da qui che partono i droni Global Hawk ed è da qui che saranno lanciate eventuali operazioni speciali per il recupero di ostaggi americani in nordafrica.


LA CRISI di Bengasi brucia ancora e gli americani hanno deciso da allora di piazzare qui 180 uomini della Special purpose Marine air/ground task force (Magr). Non è una unità da operazioni speciali, ma del genio (attualmente del quarto combat engineer battalion di Baltimora) dedicata alla cooperazione con le forze armate di alcuni paese africani. Chi è qui per combattere, se del caso, sono i 180 marines dello Special purpose Marine air/ground task force - Crisis response (Magr-CR) arrivati da una decina di giorni. La chiave sta nelle ultime due parole: risposta alle crisi. La task force è dotata 4 convertiplani V22 Osprey, macchine costosissime e raffinatissime, in grado di decollare e atterrare come elicotteri e volare come aerei, trasportando 24 uomini equipaggiato in tutto punto. Cioè sei ‘fireteam’ di 4 uomini armati con mitra M16, mitragliatrici leggere M249 e lanciagranate. Con 2 Osprey (e due di riserva) si può effettuare un’operazione di liberazione di ostaggi in territorio ostile. L’Osprey puo infatti trasportare altri 12 passeggeri, oltre ai 24 soldati. La task force è dotata anche di 2 C130 J in versione da rifornimento in volo, che estendono il raggio dell’intervento, e può essere rafforzata sia dagli altri 300 marines del Magr-CR che si trovano in Spagna (con altri 2 Osprey), che da quelli che sono sulla Uss S.Antonio della Sesta flotta e da assetti delle Naval special warfare units 2 (Stoccarda) e 10 (Rota, in Spagna), quindi, i temibili Navy Seals. E non è una cosa passeggera.


L’ETNA, che troneggia una ventina di chilometri in linea d’aria più a Nord, dovrà abituarsi alla presenza della task force dei Marines e ai voli degli Osprey. Una commissione del Senato americano ha infatti suggerito di spostare stabilmente a Sigonella i convertiplani oggi in Inghilterra. Così, ha spiegato, sono più vicino all’area di possibile intervento. Libia, Egitto, Tunisia, Mali, Niger, Algeria e quant’altro, in caso di intervento la risposta passerà dalla ‘portaerei Sicilia’. E non solo. Entro il 2017 Sigonella, grazie al progetto Alliance ground survelliance dovrebbe diventare la capitale mondiale dei droni della Nato. Saranno schierati 20 Global Hawk (e altri mille uomini). Capaci di vedere tutto quel che succede nelle aree sensibili che vanno dall’Iraq all’Atlantico ai Grandi Laghi africani. E naturalmente, nei mare davanti alla Libia. Fargli vigilare anche il canale di Sicilia non sarebbe una cattiva idea: un utile addestramento per gli operatori, che aiuterebbe a salvare molte vite umane. Sarebbe moralmente giusto, e mediaticamente una operazione che pagherebbe per Nato e Us Navy. Ma forse nessuno ci ha pensato.

dall'inviato Alessandro Farruggia