MILANO, 21 OTTOBRE 2013 - UN MILIARDO al mese, dodici all’anno, più dell’Imu sulla prima casa e dell’aumento dell’Iva messi insieme. È quanto ci costa il ritardo nell’Agenda Digitale secondo le stime dell’Osservatorio della School of management del Politecnico di Milano. Ma l’essere rimasti molto indietro nella diffusione delle reti per la banda larga ultraveloce ci costa anche un punto e mezzo di Pil che potrebbe produrre, entro il 2015, circa 700mila posti di lavoro. Ce lo ha ricordato ieri il commissario europeo per l’Agenda digitale, Neelie Kroes, partecipando alla seconda edizione del Digital Forum di Confindustria. Insomma, dobbiamo puntare di più su Internet per aumentare la crescita e creare posti di lavoro. Invece, sono le cifre impietose ripetute da Neelie Kroes, solo il 14% delle case degli italiani è coperta dalla fibra ottica, una percentuale pari a circa un quarto della media Ue e che ci pone all’ultimo posto tra i Paesi europei. E il 37% degli italiani non ha mai utilizzato Internet.

Se Internet crea cinque posti di lavoro ogni due persi, sembra che non ce ne siamo accorti. Invece, proprio dal web potrebbe arrivare il carburante per la ripresa, anche nella promozione nel mondo del made in Italy. Un fronte sul quale, ha sottolineato qualche giorno fa il suo presidente Eric Schmidt, Google è pronta a investire molto nel nostro Paese ma per questo deve diventare prioritaria per il Governo la diffusione della banda larga, mentre oggi «ci vuole troppo tempo» per passare dalle parole ai fatti.

 

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I FATTI li ha promessi anche ieri, alla vigilia del vertice di Bruxelles del 24-25 ottobre sulle tlc e l’agenda digitale europea, Enrico Letta. Il premier, pronto a dare battaglia al vertice («Può essere la svolta o la tomba» per il mercato unico delle tlc europee) ha riconosciuto che l’Agenda digitale è la principale riforma dello Stato e che siamo in ritardo «ma c’è la possibilità di recuperare con fatti concrete, scelte di contesto giuridico e di investimenti».

Ma proprio la voce investimenti piange. Sì e no, abbiamo a disposizione tra i 150 e i 200 milioni. Quest’estate, sul decreto del Fare è andata in scena una lunga battaglia parlamentare per salvare 20 milioni di tagli proprio alla banda larga e la Legge di stabilità prevede lo sviluppo delle infrastrutture per completare il Piano nazionale banda larga, ma senza cifre. Eppure, come ha ricordato il nuovo commissario per l’Agenda digitale, Franceco Caio, «non investire nella rete ha la profilatura della malattia dell’osteoporosi, nel senso che si sta benissimo fino al giorno in cui ci si rompe una gamba senza capire perché: e noi ci stiamo avvicinando a quel giorno...».


IL CONFRONTO europeo, del resto, è impietoso. E forse, come avverte il presidente di Confindustria Digitale, Stefano Parisi, dopo il Fiscal compact servirebbe anche un ‘Digital Compact’ che vincoli i Paesi della Ue a rispettare gli obiettivi dell’Agenda digitale. E noi di strada da percorrere ne abbiamo tanta. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue se abbiamo una diffusione della banda larga standard (l’Adsl più lenta) superiore alla media europea (98,4% contro il 95,5%) quello della banda larga veloce superiore ai 30 Mbps è disponibile solo per il 14% delle famiglie. E resta basso (53% contro 70%) anche l’uso regolare di Internet. Con in più, denuncia la Cia-Confragricoltura, un profondo ‘digital divide’ tra Nord e Sud e con le aree rurali dove appena il 17% riesce a navigare. Così, avverte sempre la Cia, perdiamo la possibilità di liberare 35 miliardi di risorse e solo nella P.A., secondo il viceministro allo Sviluppo economico Antonio Catricalà, potremmo risparmiare 5 miliardi. La fatturazione elettronica, calcola il Politecnico, ci farebbe risparmiare 1,1 miliardi l’anno e più informatica nella Sanità, altri 6,5. Senza contare i 5 miliardi di minori costi (corruzione compresa) determinati dallo sviluppo di negoziazioni e aste online.

di Achille Perego