PERUGIA, 6 GENNAIO 2014 - QUELLA CHE doveva essere una diga, in realtà, somiglia ormai a un pozzo senza fondo, dentro il quale si sono inabissate montagne di soldi. Dell’invaso di Valfabbrica, in Umbria tra Perugia e Assisi, si parla sin dagli anni ’20 del secolo scorso: si pensò allora che convogliare adeguatamente le acque del fiume Chiascio avrebbe permesso di approvvigionare per sempre i terreni agricoli di nove province tra Umbria e Toscana. Un piano complesso, ambizioso, che si è però scontrato con la realtà dei fatti, con un territorio soggetto ai terremoti e con l’italica inefficienza. Risultato: in circa un secolo, la diga di Valfabbrica ha fagocitato l’equivalente di circa 100 milioni di euro. E non è finita qui, perché giusto l’anno scorso sull’opera sono ‘piovuti’ altri 43 milioni di euro, che dovrebbero servire a sistemare la sponda idraulica destra dell’invaso, che così potrebbe finalmente entrare in funzione.


IL PRIMO PROGETTO concreto risale agli albori degli anni ‘60, quando Aldo Moro era al timone della Democrazia Cristiana, il Milan di Nereo Rocco e l’Inter di Helenio Herrera si contendevano il dominio sull’Europa del pallone, ‘La dolce vita’ di Fellini faceva sognare un’intera generazione. Oggi, con l’ascesa di Matteo Renzi, le bizze di Balotelli, la cresta di El Shaarawy e il boom di Checco Zalone al box-office a fare da sfondo, la diga di Valfabbrica non è ancora stata completata. Il progetto del ‘60 è stato rivisto una decina di anni dopo, l’appalto è partito nell’80, con la fase di costruzione vera e propria che si è protratta fino al 1994 senza tuttavia giungere sotto lo striscione del traguardo. Questioni tecniche e battaglie in tribunale hanno bloccato l’avanzamento dell’opera, in gran parte eretta ma non ancora collaudata fino al massimo del suo potenziale, fissato alla quota di colonnamento 330, con una portata massima di 200 milioni di metri cubi di acqua in invaso.


SOLO LE ESIGENZE contingenti hanno portato la diga ad assolvere, almeno in parte, il suo compito: il bacino — sostengono i tecnici — anche così com’è ha contribuito in più di una circostanza a salvare Roma dall’allagamento, trattenendo almeno in parte la violenza delle acque del Chiascio che del Tevere è uno degli affluenti. Ora come ora, però, per non correre il rischio di buttare via i 100 milioni di euro spesi via via nel corso degli anni ne servono altri 43, in modo tale da permettere il completamento dell’opera. Il bando di gara è stato pubblicato nel 2013, accompagnato dall’immancabile contorno di ottimismo da parte dell’establishment politico umbro, pronto a giurare che «questa è la volta buona».


I RICORSI presentati dall’associazione Italia Nostra, secondo cui la diga è da smantellare senza mezzi termini, e dalle ditte che non si sono aggiudicate l’ultimo appalto, invece, rallentano il percorso di ultimazione dei lavori.
«La nostra speranza — commenta il sindaco di Valfabbrica, Ottavio Anastasi — è che l’invaso venga portato a termine in tempi brevi, a prescindere da chi si occupi dei cantieri». Almeno tre generazioni hanno espresso lo stesso sentimento. Quella attuale, magari, sarà davvero l’ultima.

di Luca Vagnetti