Parma, 15 gennaio 2014 - Il 2 marzo del 2006 è un giovedì. La vita di Tommaso Onofri finisce dopo un viaggio che è durato diciassette mesi. Quella sera la famiglia Onofri è riunita a cena nel tinello nel casale di Casalbaroncolo, a qualche km da Parma. Tody, il cane meticcio, è stato fatto fuggire, ancora non si sa da chi. Il black out è improvviso. In due irrompono nella casa, protetti dal buio, mascherati con passamontagna, malamente e pericolosamente armati, una pistola, un coltello.

Legano con il nastro adesivo il capofamiglia Paolo Omofri, la moglie Paola Pellinghelli, Sebastiano, il figlio più grande, che all'epoca ha otto anni. Strappano dal seggiolone Tommaso, incuranti del suo pianto. Morrà quella sera stessa ma lo si saprà soltanto dopo un mese di angosce, tormenti, dubbi, ricerche.


La figura di Paolo Onofri, il padre, inizia a diventare familiare da allora. E' alto, imponente, vestito di scuro, perennemente aggrondato. Dirige un ufficio postale in città, la moglie è impiegata in un altro. Quel casale ristrutturato è il suo orgoglio, il suo vanto modesto insieme con il suo ruolo di direttore, l'ufficio moderno, l'allarme nel caveau modulato sulla persona. Solo in seguito si saprà che quel suo orgoglio, le sue modeste vanterie, quel presentarsi un giorno ai muratori al lavoro con una scatola di scarpe riempita di bigliettoni, hanno ingolosito i rapitori-assassini, stimolato gli appetiti di uno sgangherato terzetto composto da Mario Alessi, muratore siciliano con alle spalle una storia di sequestro e violenza su una ragazza, la compagna Antonella Conserva, massiccia, capelli corvini, Salvatore Raimondi, pugilatore fallito e manovale, il pregiudicato che con la sua impronta sul nastro adesivo firmerà il tragico raid e orienterà le indagini.


Non parla molto, Paolo Onofri. Offre un aspetto di uomo duro, risoluto. Questo aspetto, insieme con il particolare che la famiglia non è certo ricca, favorisce illazioni, atteggiamenti poco generosi che riguardati oggi appaiono crudelmente ingiusti. Si scava nel passato di quel personaggio che pare tagliato con l'accetta e fatto apposta per non attirarsi simpatie, si scava nel suo passato, si riesuma il suo primo matrimonio, si avanzano dubbi e congetture su presunte stranezze di un sequestro che già di per sé appare strano, anomalo, indecifrabile. Eppure Paolo Onofri è stato chiaro nella sua prima deposizione in questura: "Percepisco uno stipendio inferiore a euro 2000 al mese e mia moglie, che è impiegata presso l'ufficio postale di San Prospero, percepisce uno stipendio poco superiore a euro 1000 al mese. Le mie condizioni non sono tali da lasciare supporre che le persone che mi hanno sequestrato il bambino possano chiedere un riscatto in cambio della sua liberazione".


La mattina del 4 marzo la televisione tramette una intervista del padre di Tommy. Ha gli occhi arrossati, la solita aria cupa e soprattutto adirata. Pare affrontare le telecamere e sfidare a muso durao i rapitori del suo bambino, quando dice. "Se non me lo riportano andrò a prenderlo personalmente". E aggiunge: "Gli inquienti hanno ristretto molto il campo delle ipotesi". Come se nutrisse qualche sospetto e insieme coltivasse una speranza.


Quella del 10 marzo è una brutta giornata. In uno scantinato in via Jacchia, a Parma, viene trovato un vecchio computer di Paolo che racchiude filmati e file pedopornografici. Lui si difende, sostiene che sta facendo una ricerca sulla pedopornografia per poi denunciare. Davanti al gip patteggerà una condanna a sei mesi.


"Tommy è morto", un titolo su un giornale di domenica 2 aprile. Morto. Ucciso, strangolato e colpito con una mazzetta da muratore sul greto del torrente Enza, alla località Traglione, luogo desolato per prostituite e coppiette in cerca di rapida intimità, una discarica come tomba, poche manciate di terra a fare da sudario.


Paolo e Paola sono uno accanto all'altro nella cattedrale invasa dalla folla per i funerali. Insieme nelle aule giudizarie. Si ha la sensazione strana che in quei momenti sia lei, la donna piccola e minuta, la più forte.


Il mare in tempesta pare richiudersi. Tommy vive in una fondazione che porta il suo nome e fa del bene ad altri bambini che hanno conosciuto troppo presto la fatica del vivere. Paolo e Paola trascorrono i pomeriggi delle loro domeniche al Traglione, a tenere pulito il piccolo sacrario dove è impossibile sostare senza frenare una lacrima.


Pare finita. Pare ricostruito un simulacro di serenità. Il destino trama invece il suo ultimo tradimento. L'11 agosto del 2008 gli Onofri sono in vacanza in Trentino, nella zona di Folgaria. L'uomo grande, forte, duro, cede all'improvviso. Paolo Onofri sta camminando nei boschi quando si accascia colpito da un ictus. Non c'è copertura per i cellulari. Tascorrono minuti preziosi prima che giungano i soccorsi. Il danno cerebrale è senza rimedio Come se la sorte avesse voluto riservarsi l'appendice crudele di un'ultima beffa.


Da allora Paolo Onofri vive di sola vita biologica. Paola è contraria all'accanimento terapeutico e lo dichiara, ma lascia che che sia, che scorra così. Fino alla fine.

di Gabriele Moroni