Emanuele Baldi

FIRENZE, 18 febbraio 2014 - SARÀ che già il nome, Ex3, era così poco accattivante. Sarà che la collocazione, il rione fiorentino di Gavinana, è sinonimo di palazzine umbertine, condomini residenziali e stop, ed è insomma zona sorniona e poco avvezza alle rivoluzioni. Sarà infine che Firenze è una città storicamente refrattaria al contemporaneo che — se altrove è un valore aggiunto — qui finisce spesso per diventare più che altro un’imbarazzante appendice. Saranno insomma tante ragioni messe insieme, e mettiamoci pure uno scarso mordente politico nella promozione culturale, fatto è che il centro d’arte contemporanea di viale Giannotti, uno scatolone di proprietà comunale di 2.300 metri quadri e 8mila metri cubi, non è mai decollato e rappresenta, con i suoi portoni sigillati da un anno e mezzo, il flop culturale più macroscopico che Firenze ricordi. Poco appeal, rassegne non proprio di spicco (salvo il botto iniziale con Spike Lee), ma soprattutto la mancanza di un robusto sostegno economico, per anni invocato e mai ottenuto dai gestori dello spazio (Palazzo Vecchio si è sempre limitato a pagare utenze e manutenzione e poco più), hanno determinato la seconda morte (la prima era stata nel 2009) del centro fiorentino.

SENZA soldi il motore non si accende e meno di centomila euro l’anno di contributi erano davvero spiccioli a fronte di un palazzone che ne costava diciottomila solo di bolletta della luce. Poche risorse insomma per uno spazio che non ha mai previsto biglietti d’ingresso ed è sempre stato vincolato ai contributi e ai soldi degli sponsor, praticamente mai visti, salvo l’Ente Cassa. Così l’Ex3, dopo aver vivacchiato qualche anno tra open space e concerti sporadici, chiude i battenti nell’estate del 2012 con la resa dell’imprenditore Andrea Tanini, abbandonando le sue mura, nere e squadrate, alle bizze dei writer di periferia in attesa che il vincitore dell’ultimo bando, la Nem, provi a far ripartire la macchina.

«IL COMUNE non ci aiuta, così non si va più avanti», sentenziò Tanini in aperta rottura con il sindaco Renzi e con Palazzo Vecchio che, ringhiarono gli ultrà ‘contemporanei’, «i soldi per il Maggio musicale li trova sempre». «Bisognerà ripensare a cosa fare dello spazio», sentenziò l’assessore alla cultura di nomina renziana, Sergio Givone. Poi il silenzio. I locali che in passato avevano ospitato l’auditorium del quartiere, venivano da un’esperienza altrettanto infelice, la prima morte appunto, datata 2009 dopo 4 anni di qualche alto e parecchi bassi. Nonostante l’impegno dell’allora giunta Domenici, il primo esperimento contemporaneo che fu battezzato Quarter, salpò, fra le mani esperte del direttore artistico Sergio Risaliti, nel Natale del 2004 per naufragare cinque anni dopo. E dire che le aspettative erano grandiose. Una rivoluzione dell’area — con lo smantellamento di una gloriosa fabbrica, la Longinotti, e di un centro sociale famoso anche fuori dalla Toscana, il Cpa amatissimo da Piero Pelù — piantò nel cuore di Gavinana il più grande centro Coop della città, adagiato proprio accanto all’ex auditorium. Quale occasione migliore, si pensò, per ridare slancio all’arte cittadina con la nascita di un baluardo contemporaneo nella capitale del Rinascimento? I toni della presentazione furono spettacolari: «Una galleria d’arte internazionale aperta alla città e al quartiere — recitava il comunicato — perfetta per installazioni e performance, incontri, workshop, video». Infatti fu un disastro assoluto. Qualche happening e una serie di ‘serate aperte’, per far girare almeno il bar. Poi l’inevitabile bandiera bianca.
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