di GIOVANNI PANETTIERE

Roma, 12 marzo 2014 - Quel 15 febbraio 2001 Jorge Bergoglio sembra spaventato, quasi intimorito dal registratore posato sul tavolino dell’elegante salone dagli alti soffitti e la tappezzeria damascata. L’innata timidezza lo spinge a tenersi alla larga dai giornalisti. Solo sparute eccezioni confermano la regola. Come quel giorno con Elisabetta Piqué, corrispondente nella Capitale del quotidiano argentino La Nacion, venuta a intervistare l’arcivescovo di Buenos Aires in procinto di ricevere la berretta rossa. "Di lui, lo confesso, non so assolutamente nulla, tranne che è gesuita", scriverà a posteriori la cronista nel suo Francesco. Vita e rivoluzione (Lindau), la biografia più completa scritta finora sul Papa, best-seller in Argentina, ripensando proprio alla vigilia di quel faccia a faccia di tredici anni fa nella Casa del Clero, a Roma. Pochi giorni dopo l’incontro, una volta pubblicato l’articolo, il cardinale le telefona a casa. Vuole ringraziarla per l’intervista. Piqué non può immaginare che quella sarebbe stata la prima di una serie di telefonate e l’inizio di un rapporto divenuto nel tempo una vera e salda amicizia con chi oggi è il Santo padre. E per i due figli della giornalista quasi uno di famiglia.
 

Piqué, per lei che lo conosce meglio di altri che differenza c’è fra l’arcivescovo Bergoglio e Papa Francesco?
"Ovviamente esiste una coerenza dell’uomo, con una costante attenzione agli ultimi, la sua volontà di essere un prete, una persona normale. Quando divenne arcivescovo di Buenos Aires nel 1998, rifiutò la limousine e scelse di non vivere nel palazzo episcopale proprio come oggi, da Pontefice, preferisce stare a Santa Marta e viaggia in Focus. Detto questo, però, una trasformazione è evidente".

A che cosa sta pensando?
"Al fatto che Bergoglio dal momento in cui è stato eletto, pare ringiovanito di dieci anni e in questi dodici mesi ha dimostrato di avere un’energia impressionante".

Addirittura?
"Sì, negli ultimi tempi del suo episcopato argentino a molti sembrava spento. Aveva già rassegnato le dimissioni, in quanto oltre i 75 anni di età, e si era prenotato la stanza numero 13 della Casa di riposo per i preti anziani a Flores, il quartiere di Buenos Aires in cui è cresciuto. Come persona profondamente spirituale e gesuita, Francesco è convinto che, se non è andato in pensione, ma è diventato Papa, è perché lo ha voluto Dio. Questo gli dà un’energia, una serenitá e una pace che adesso trasmette a tutti".

Di certo da Papa Bergoglio non ha perso ‘il vizio’ della cornetta: quante volte le ha telefonato quest’anno?
"Mi ha chiamato anche la mattina seguente la sua elezione".

Che cosa le ha detto?
"Me lo chiedono in tanti, ma, senza essere scortese, preferisco non rivelarlo".

Nel suo libro lei non nasconde l’entusiasmo per questo pontificato inclusivo, che sprona la Chiesa a essere ‘povera per i poveri’ e ‘ospedale da campo’ dopo la battaglia. Tuttavia sottolinea anche due errori di Francesco: le nomine di Francesca Chaoqui (Commissione finanza) e di Battista Ricca (prelato Ior). Il Papa è stato mal consigliato da una fronda interna alla Santa sede?
"Non ho parlato di errori, semmai di passi falsi. È chiaro che in Curia c’è chi non vede di buon occhio questo pontificato che rappresenta una radicale rottura dello status quo. Bergoglio non vuole coorti, né cortigiani, sta cercando di fare pulizia, come gli hanno richiesto i cardinali nelle congregazioni generali prima del conclave. Tutto ciò inevitabilmente alimenta delle resistenze, magari sotto forma di consigli sbagliati".

Condivide la scelta del Papa di far partecipare alla vita della Chiesa il suo predecessore? Non vi è il rischio della nascita di una Chiesa parallela attorno a Benedetto XVI?
"Francesco ha dato una spiegazione esaustiva: per lui Ratzinger, che ha sempre avuto un atteggiamento coerente con la sua decisione umile e coraggiosa di farsi da parte, è ‘un nonno saggio’ che può dare ancora un grande contributo al popolo di Dio. Non vedo nessun rischio in questa scelta".

Una delle spine nel fianco del Papa è il cardinale Gerhard Ludwig Mueller, attuale prefetto della Congregazione della dottrina della fede?
"Bergoglio ha ereditato Mueller dal papato di Benedetto XVI. Hanno delle visioni diverse, penso alla questione dell’Eucarestia ai divorziati risposati. Ma questo non è un problema per Francesco, lui non vuole accanto a sé degli yes men. E non a caso ha riconfermato Mueller al vertice della Dottrina della fede".

Come finirà la partita della Comunione agli irregolari?
"Non lo so, nel senso che sono stati convocati un Sinodo per quest’anno e soprattutto uno per l’anno prossimo, chiamati a discutere anche su questo argomento. Personalmente penso che passerà la linea del cardinale Walter Kasper, favorevole all’Eucarestia ai risposati dopo un percorso penitenziale. Comunque alla fine deciderà Bergoglio in base agli orientamenti prevalenti fra i padri sinodali".

Secondo lei questo è un papato di sinistra?
"Certamente è molto sociale, missionario, chinato sugli ultimi della terra. Ma, come mi disse lo stesso Bergoglio nella nostra prima intervista tredici anni fa, a lui le etichette e le classificazioni non sono mai piaciute. Sono sempre fuorvianti e limitative".