DALL'INVIATO PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

BUENOS AIRES, 13 marzo 2014 - SE BERGOGLIO è una religione, padre Pepe è il suo profeta. Pepe Di Paola, cinquant’anni, grande carisma che lui sa di avere, faccia da attore hollywoodiano uscito dal film Mission, è ormai diventato una star. Una casa editrice italiana sta per pubblicare un libro su di lui, la giornalista argentina Silvina Prenat sempre su di lui ne ha già scritto uno molto famoso. Padre Pepe è il più noto «cura villero», ossia prete delle favelas, il simbolo della chiesa di periferia voluta da Bergoglio, da quindici anni braccio operativo del cardinale di Buenos Aires adesso sul soglio di Pietro. Padre Pepe ha lasciato la terribile Villa 21-24 nel 2009, da quando fu minacciato di morte dai narcos, e Bergoglio decise di spostarlo un po’ più lontano, dove svolge adesso la sua missione. «Lo chiamai subito al telefono. Rispose lui, come sempre. ‘Padre devo parlarle’. ‘È una corsa urgente?’. ‘Sì’, dissi io. ‘Allora vieni oggi stesso’. Gli raccontati quanto era accaduto, della minaccia inequivocabile che avevo ricevuto la sera prima, e restò colpito. ‘Se deve succedere qualcosa a qualcuno dei miei, voglio che ammazzino me’. Qualche giorno dopo mi spostò in una diocesi vicina. La domenica successiva all’omelia in cattedrale accusò il potere: ‘Un mio sacerdote è sotto minaccia di morte. Mi salvò».

Che rapporto avevano i curas villeros con il cardinale?
«Non avevamo mai avuto l’esperienza di un vescovo così vicino. Se avevi un problema potevi chiamarlo al telefono anche tutti i giorni, lui si dava subito da fare. Da quando è arrivato lui il numero dei preti nelle villas è triplicato, ha creato una vicaria apposta per le villas, ci seguiva settimana per settimana».

La scelse lui per Villa 21-24?
«Lavoravo in diocesi con i giovani, lui aveva bisogno nella favela di Villa 21-24, che era in pratica abbandonata. Ma non mi disse: ‘Vai, io ti appoggio’. No, venne con me, e non mi lasciò mai solo».

Bergoglio frequentava le villas?
«In continuazione. Arrivava in autobus, senza annunciarsi. Si fermava con la gente. Guidava sempre la processione dell’8 dicembre, che iniziava la mattina alle nove e finiva la sera alle sette con la messa. Per tutto il giorno entrava in ognuna delle case della villa, e con ognuno degli abitanti una parola diversa».

Come lo vede ora, dopo un anno da papa?
«È lo stesso di prima, ma anche molto diverso».

Iniziamo dal primo aspetto.
«Si è portato a Roma le sue convinzioni, le sua idea di Chiesa e di ciò che serve alla Chiesa. Però adesso è molto più comunicativo. Qui a Buenos Aires non era bravo in quello».

Sarà un effetto dello Spirito.
«Di sicuro. Perché in realtà lui è un timido, un introverso. La gente lo apprezzava per le sue convinzioni, per il suo stile di vita, e non certo per le frasi o le battute. Quando l’ho visto glielo ho anche detto».

Nelle villas la maggior parte delle persone non sono sposate, eppure voi date la comunione a tutti. Il cardinale lo sapeva?
«Certo che lo sapeva. L’America Latina è così. Facevamo ritiri spirituali per le coppie, conviventi e no, partecipava anche lui, e sapevamo che molte non erano sposate. Però col tempo la maggior parte di loro si sposavano».

E i sacramenti li date senza problemi?
««Noi rispettiamo la gente. Se uno vuol fare la comunione gliela diamo, se vuole i sacramenti glieli amministriamo. Bergoglio ci diceva di usare un linguaggio propositivo senza iniziare il discorso dicendo ‘non si può far questo e non si può far quello’».

Quante favelas ci sono a Buenos Aires?
«E chi lo sa… La parrocchia in cui svolgo adesso la mia missione è formata da quattro villas. Io sono l’unico prete. In tutto parliamo di circa 35 mila abitanti, anche se quanti sono sul serio non lo sa nessuno. Ma le favelas in tutta la cintura urbana di Buenos Aires sono decine e decine. Il numero esatto lo conosce Dio».