Lorenzo Sani

IL SUDARIO insanguinato sfida occhi privi di pietà. Gente di borgata osserva gli sbirri al lavoro. Sotto quel telo le spoglie di Pier Paolo Pasolini invocano ancora giustizia, a quasi 40 anni dalla morte violenta. Un pallido sole rischiara la mattina dell’Idroscalo di Ostia, il 2 Novembre 1975, ma non la scalda. Quell’ultimo, gelido saluto all’intellettuale controverso e poco amato, anche dalla sinistra conservatrice del Pci, è una sorda richiesta di verità che ha attraversato la storia recente dell’Italia dei misteri.
Il regista Abel Ferrara, che ha girato un film sugli ultimi giorni di Pasolini, ha dichiarato testualmente al settimanale Oggi: «So chi ha ucciso Pier Paolo Pasolini e ne farò il nome». L’avvocato Stefano Maccioni, legale di Giulio Mazzon, cugino di Pier Paolo Pasolini e unica persona offesa nel procedimento giudiziario, ha chiesto alla procura di Roma di sentirlo per sommarie informazioni.
«Mi auguro che quanto sostenuto con tanta sicurezza dal regista sia vero, perché non potremmo sopportare ulteriori speculazioni su presunti quanto infondati scoop».
L’avvocato Maccioni ricorda che la famiglia ha chiesto e ottenuto «che fossero effettuate indagini scientifiche sui reperti custoditi al museo criminologico di Roma».

IL CASO Pasolini affiora alle cronache con regolarità, perché la verità giudiziaria che ha visto il ragazzo di vita Giuseppe Pelosi, detto Pino la rana, unico responsabile del delitto non ha mai convinto. Lo stesso Pelosi, più volte, si è contraddetto, ha dichiarato di essersi assunto tutte le colpe per le minacce ricevute e indirizzate anche alla sua famiglia, ma nella sostanza ha suscitato soprattutto una unanime impressione di inattendibilità.
Nel febbraio 1996 è stata richiesta l’archiviazione dell’istanza di riapertura del caso presentata l’Agosto 1995 dall’avvocato Nino Marazzita, sulla base di alcuni elementi che facevano sospettare la presenza di Giuseppe Mastini, detto Johnny lo zingaro, giostraio di etnia Sinti, all’Idroscalo di Ostia la notte in cui fu ucciso Pasolini. Nel respingere questa tesi la Procura fa riferimento a una nota della Squadra mobile di Roma che sottolinea «la totale assenza di qualunque elemento che possa far concludere per rapporti, o soltanto contatti di conoscenza tra il Pelosi e il Mastini all’epoca dei fatti».

IN VERITÀ Pino la rana e Johnny lo zingaro si erano conosciuti al minorile di Casal del Marmo e, una volta usciti, frequentavano lo stesso bar al Tiburtino. Che le indagini siano state sommarie è più di un sospetto: l’auto del poeta, per esempio, è rimasta aperta e sotto l’acqua per diverso tempo prima che le eventuali impronte venissero collazionate, la scena del delitto è stata isolata solo dopo quattro giorni e sullo spiazzo di terra battuta dove è stato assassinato il regista i ragazzi erano soliti giocare a pallone.

L’AVVOCATO Marazzita, legale della famiglia Pasolini, ha sempre ritenuto inverosimile la tesi dell’unico killer. Pelosi ha avuto almeno un complice. Ne è certo.
Di Johnny Lo Zingaro sarebbe l’anello con l’aquila americana perso da Pelosi nel luogo del delitto. Anche il plantare numero 41 ritrovato nell’auto di Pasolini potrebbe essere del Mastini, che sta scontando tre ergastoli.
Ne faceva uso dopo le ferite riportate in un conflitto a fuoco con la polizia.
Renzo Sansone, carabiniere che si era infiltrato negli ambienti in cui era maturato il delitto, è certo che la verità non sia mai venuta a galla: «La notte dell’omicidio con Pino c’erano anche i fratelli Giuseppe e Franco Borsellino (poi morti di Aids) e Giuseppe Mastini, conosciuto come Johnny Lo Zingaro. Erano quattro ladruncoli cresciuti insieme e volevano solo derubare lo scrittore».
Nel corso degli anni tre collaboratori di giustizia, Pasquale Mercurio, killer di camorra, il trafficante internazionale di stupefacenti Valter Carapacchi e Damiano Fiori, coinvolto in un sequestro di persona, hanno rivelato confidenze raccolte in carcere secondo cui quella notte tra il 1 e il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia ci fosse anche Mastini. Mitomani pure loro?