Torino, 11 aprile 2014 - Una donna di 37 anni è morta all’ospedale Martini di Torino dopo un’interruzione di gravidanza tramite la pillola abortiva RU486. Il caso, anticipato stamattina da un quotidiano, è stato confermato all’Ansa dalla direzione dell’ospedale. La procura di Torino ha disposto l’autopsia, che sarà effettuata lunedì. L’esame autoptico è stato disposto dal pm Gianfranco Colace, titolare dell’inchiesta aperta dalla procura di Torino a cui si è rivolta la Asl To1, di cui l’ospedale Martini fa parte.

"Posso garantire che non sono stati fatti errori medici, sono stati rispettati tutti i protocolli, che si utilizzano sempre in questi casi". Così Flavio Carnino, primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Martini. Sulle cause del decesso i medici non si pronunciano, attendendo l’esito dell’autopsia. "Al momento - spiegano - non è possibile ricondurre quanto avvenuto alla pillola utilizzata o ad altri farmaci che sono stati somministrati". 

Il ginecologo Silvio Viale, considerato il padre dell’introduzione della RU486 in Italia, respinge “ogni strumentalizzazione”. Direttore del principale servizio italiano per Interruzione Volontaria di Gravidanza presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, Viale spiega in una nota che “l’episodio ricorda la prima e unica morte in Francia nel 1991, agli inizi del suo uso, che indusse a modificare il tipo di prostaglandina per tutti gli interventi abortivi introducendo il misoprostolo (Cytotec). Sono gli altri farmaci, gli stessi che si impiegano per le Ivg chirurgiche, i maggiori sospettati di un nesso con le complicazioni cardiache”.


Viale si dice “addolorato per quanto accaduto”, ma rileva che “non vi è alcun nesso teorico di causalità con il mifepristone (RU486), perchè non ci sono i presupposti farmacologici e clinici”, spiegando che il mifepristone è regolarmente autorizzato dall’Aifa anche per le Ivg chirurgiche del primo trimestre e per le Itg del secondo trimestre.


“A differenza del mifepristone - afferma Viale - sono gli altri farmaci utilizzati nelle interruzioni di gravidanza, sia mediche che chirurgiche, che possono avere effetti cardiaci, seppure raramente: la prostaglandina (gemeprost) in primo luogo, già individuata come responsabile di decessi e complicazioni cardiache, ma anche l’antidolorifico (ketorolac) ampiamente utilizzato off-label in gravidanza e l’antiemorragico (metilergometrina) utilizzato in Italia di routine in quasi tutti gli aborti in ospedale e a domicilio”.


“Anche la gravidanza di per sé è un fattore di rischio. In attesa che l’autopsia indichi la causa della morte ribadisco che ben difficilmente, per non dire con ragionevole certezza, la RU486 potrà essere chiamata come responsabile diretta o indiretta delle complicazioni che hanno portato al decesso.
Questa tragica fatalità dovrebbe indure ad abbassare il tono delle polemiche antiabortiste e favorire servizi specialistici adeguati dove le donne possano avere i migliori trattamenti”, conclude il medico.